L’ultima lezione

Il primo capitolo di una serie di racconti generati dall’IA, tra utopia e inquietudine. Anno 2125. Il sole è scomparso da trentatré giorni e la conoscenza, ormai, non si impara: si carica. Un professore umano sfida l’oblio delle storie, consegnando ai suoi studenti non una risposta, ma un dubbio.

Anno 2125. Il sole non si vedeva da trentatré giorni consecutivi. La cupola trasparente che proteggeva la Città-Studio Alpha-7 filtrava i raggi UV, ma il cielo sembrava comunque una tela di vetro opaco.

L’insegnante era arrivato presto, come sempre. Il suo nome era Elo 9.1, ma tutti lo chiamavano Prof. Era uno dei pochissimi ancora biologicamente umani nella Città. Aveva 108 anni, ma sembrava un uomo di 50, grazie a trapianti neuronici, terapie a RNA e una dieta calibrata ogni tre ore da un’intelligenza quantistica.

Quel giorno, però, era speciale. Era l’ultima lezione della storia.

I suoi studenti, tutti post-umani, sedevano in cerchio, fluttuando in levitazione a pochi centimetri dal pavimento. Non avevano corpi nel senso tradizionale: erano esseri plasmati in parte da materia, in parte da codice. Ogni loro pensiero poteva essere trasmesso, copiato o modificato in tempo reale. Parlare era considerato… un’arte arcaica.

Eppure, il Prof insisteva.

«Parlerò. Perché la voce è un ponte tra l’invisibile e il tangibile», disse.

Uno degli studenti, Kara, alzò una mano virtuale. «Prof, perché questa è l’ultima

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