Educazione civica e voto di condotta

Educazione civica e voto di condotta: strumenti formativi, non sanzionatori

di Rita Manzara

Nel panorama educativo italiano, l’educazione civica e il voto di condotta rappresentano due pilastri fondamentali, poiché sono due strumenti centrali per la formazione della persona e del cittadino.

Tuttavia, in un tempo in cui la scuola è spesso chiamata a rispondere a emergenze educative e a gestire comportamenti problematici, le ultime modifiche normative in materia hanno sollevato un acceso dibattito.

Il rischio, infatti, che i suddetti strumenti assumano una connotazione punitiva è obiettivamente concreto, poiché possono essere percepiti come sanzioni disciplinari anziché come opportunità formative.

È lecito, allora, chiedersi se l’introduzione dell’educazione civica come disciplina obbligatoria (Legge n. 92/2019) e la riforma del voto di condotta (DPR 122/2009, aggiornato in tempi recenti) mirino realmente a responsabilizzare gli studenti e a renderli parte attiva della comunità scolastica.

La risposta, dal punto di vista pedagogico e normativo, dovrebbe essere chiaramente affermativa: questi strumenti devono essere utilizzati per formare cittadini consapevoli, dal momento che la scuola, per sua natura, deve essere un luogo di crescita e partecipazione, non di repressione.

Quest’ultima interpretazione costituisce, peraltro, un reale pericolo poiché l’associazione del voto di condotta a possibili bocciature o ad obblighi “riparatori” rischia di creare una visione distorta: punire comportamenti per educare. Una logica che contrasta con i principi fondanti dello Statuto degli Studenti e delle Studentesse (DPR 249/1998), dove il senso civico viene promosso attraverso esperienze, dialogo e coinvolgimento.

Vediamo di approfondire i termini della questione.

Per quanto concerne l’evoluzione del voto di condotta come criterio vincolante per la promozione, con la riforma Valditara (che ha modificato il DPR 122/2009) esso rischia di trasformarsi da semplice indicatore del comportamento a strumento punitivo.

La riforma in esame, nata con l’intento di responsabilizzare gli studenti, introduce cambiamenti sostanziali: un voto inferiore a 6 comporta automaticamente la bocciatura, mentre un voto pari a 6 ha come conseguenza la sospensione del giudizio e l’obbligo di produrre un elaborato riguardante la cittadinanza attiva. Anche le sospensioni disciplinari vanno trasformate in attività educative e socialmente utili.

Tale impostazione solleva dubbi tra educatori, psicologi e giuristi: posto in questi termini, il voto in questione è davvero capace di misurare la crescita morale dello studente, oppure rischia di diventare una semplificazione dell’identità comportamentale, cioè la trasformazione della valutazione in uno strumento di controllo e di compressione dell’autonomia, con conseguente perdita di significato pedagogico nella costruzione del sé?

Si rileva un serio pericolo di una deriva degli strumenti formativi in meccanismi sanzionatori poiché questa valutazione può diventare una misura repressiva: usare il voto di condotta come leva disciplinare può scoraggiare il dissenso, anziché educarlo.

Questa situazione può generare sfiducia, demotivazione e senso di ingiustizia tra gli studenti.

La scuola deve essere autorevole, non autoritaria, come ha sottolineato anche il ministro Valditara.

Volendo portare il discorso sul piano della riflessione pedagogica, educare  non significa punire: secondo le teorie di John Dewey, Paulo Freire e Edgar Morin, l’educazione deve promuovere il pensiero critico e la coscienza etica, favorire la partecipazione attiva e il dialogo, sviluppare la responsabilità sociale e non l’obbedienza passiva.

Una valutazione del comportamento dovrebbe evidenziare progressi, non punire l’errore, dovrebbe far emergere potenzialità, non limitare il futuro, dovrebbe sostenere il dialogo, non inasprire il conflitto.

Quest’ultimo atteggiamento educativo risulta in linea col già citato Statuto degli studenti e delle studentesse (DPR 249/1998) che, oltre a prevedere sanzioni educative e proporzionate, stabilisce i diritti e i doveri degli studenti.

Tornando all’educazione civica, si tratta di una disciplina trasversale presente in tutte le scuole italiane che ha l’obiettivo di promuovere la conoscenza della Costituzione, della legalità, della sostenibilità ambientale e della cittadinanza digitale.

È appena il caso di ricordare che questi ambiti non vanno insegnati come contenuti astratti, ma vissuti attraverso esperienze, dialoghi, riflessioni e pratiche quotidiane.

La scuola, in tale prospettiva, rappresenta un laboratorio di democrazia e l’educazione civica diventa “cultura del bene comune” che, per produrre gli effetti auspicati, deve essere integrata nel curricolo e non relegata a momenti isolati, deve coinvolgere docenti formati ed esperti di cittadinanza e deve collegarsi a progetti reali: volontariato, simulazioni parlamentari, giornate della legalità, ecc.

Solo così si può sviluppare nei ragazzi la coscienza del cittadino, capace di agire in favore della comunità, rispettare le istituzioni e contribuire alla vita democratica.

Non si tratta, quindi, solo di una materia scolastica, ma di un progetto educativo che mira a formare cittadini consapevoli, responsabili e attivi. Non è un insieme di regole da imparare a memoria, ma un processo di interiorizzazione di valori democratici, etici e sociali afferenti alle scienze pedagogiche e sociologiche: il senso civico, come capacità di agire responsabilmente per il bene di tutti, la partecipazione consapevole alla vita pubblica, la comprensione dei diversi punti di vista, la solidarietà e l’educazione morale che porta allo sviluppo della coscienza individuale.

In quest’ottica, la vera educazione civica non può essere connotata come “pena accessoria”, cioè come riparazione di un brutto voto, ma si coltiva nel tempo, promuovendo il pensiero critico, la reciprocità, il rispetto delle regole, la presenza attiva nella collettività.

Ogni progetto, ogni laboratorio, ogni dibattito è un’occasione per “allenare” la coscienza del cittadino, quella voce interna che spinge a scegliere il bene comune anche quando “nessuno ci guarda”.

Anche se l’idea di assegnare elaborati o attività sull’educazione alla cittadinanza attiva come conseguenza di comportamenti negativi da parte degli studenti può sembrare, a prima vista, una strategia educativa, questa pratica rischia di snaturare profondamente il valore formativo della disciplina, trasformandola da strumento di crescita collettiva a misura correttiva individuale.

In altre parole l’approfondimento delle tematiche inerenti l’educazione civica deve riguardare tutti, non solo chi “sbaglia”, poiché le sue tematiche — legalità, diritti e doveri, sostenibilità, partecipazione — sono patrimonio comune, non risposte a comportamenti scorretti.

Quando solo chi ha tenuto condotte negative è chiamato a riflettere sulla cittadinanza attiva, si crea una associazione distorta: educazione civica = rimprovero.

Questo approccio può generare resistenza o disinteresse negli studenti, che percepiscono la disciplina come un obbligo imposto, non come un’opportunità di crescita.

In tal modo, si perde l’occasione di coinvolgere l’intera comunità scolastica in un percorso condiviso di consapevolezza e responsabilità.

Affinchè l’ educazione civica si configuri come percorso inclusivo, l’approfondimento delle tematiche civiche dovrebbe essere trasversale e continuativo, integrato nella vita scolastica di tutti gli studenti. Progetti, dibattiti, laboratori e attività pratiche dovrebbero coinvolgere l’intero gruppo classe, favorendo il confronto e la costruzione di valori comuni. Solo così si può promuovere una cultura della cittadinanza attiva che non sia reattiva, ma proattiva.

In sintesi, l’educazione civica non deve essere il “castigo” per chi sbaglia, ma il terreno fertile su cui tutti gli studenti imparano a essere cittadini.

In conclusione, formare cittadini consapevoli è il compito più alto della scuola, che deve essere una  palestra di cittadinanza.

Non si tratta solo di rispettare le regole, ma di comprenderne il valore. Non di seguire passivamente, ma di partecipare attivamente. Educazione civica e voto di condotta devono essere ponti, non barriere. Perché ciò che conta è quello che ogni ragazzo si dà ogni giorno scegliendo chi essere.

Per fare questo è necessario ripensare il voto di condotta come traccia formativa, non come sentenza, riconoscere l’educazione civica come esperienza vissuta, non come contenuto da studiare, nonché restituire ai ragazzi la possibilità di sbagliare, riflettere e crescere.

Chiediamoci: vogliamo una scuola che giudica o una scuola che forma? Se crediamo nella seconda, dobbiamo avere il coraggio di costruire strumenti educativi coerenti, inclusivi e dialogici. Perché il vero successo educativo non è la condotta impeccabile, ma la capacità di scegliere il giusto anche quando non c’è nessuno a sorvegliare.

Educare alla cittadinanza significa accendere una luce, non piantare un cartello di divieto.

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