L’imperfetto indicativo

Ti è mai capitato di dover parlare di un’azione passata che si svolgeva nel tempo, che continuava mentre accadevano altre cose? Probabilmente sì. Ti sei mai chiesto come si chiama quel tempo che usiamo in queste situazioni? In italiano lo conosciamo come imperfetto. Ma sapevi che un concetto simile esisteva già nel passato, ai tempi dei Greci?

L’imperfetto (παρατατικός) in greco antico rappresenta un tempo verbale del passato caratterizzato dalla durata o ripetizione dell’azione. Esso differisce nettamente dall’aoristo, che indica un evento compiuto e puntuale, spesso senza sottolineare la durata o la continuità. L’imperfetto mette quindi in evidenza il processo, l’azione in corso nel passato, o l’abitudine.

All’interno di quest’articolo analizzeremo insieme i vari casi.

Significato fondamentale

Il valore principale dell’imperfetto è quello di azioni passate continuative o iterative. Quando l’autore greco lo utilizza, non sta semplicemente narrando che qualcosa è avvenuto, ma che si svolgeva nel tempo. Questo lo rende uno strumento essenziale nella narrazione storica, epica e narrativa, poiché permette di creare immagini vivide del passato.

Esempi tipici di uso includono:

  • Azioni che duravano nel tempo: l’imperfetto enfatizza il processo, il movimento, lo svolgimento.
  • Azioni ripetute o abituali: ciò che si verificava regolarmente, come consuetudini o comportamenti tipici di un personaggio.
  • Azioni simultanee ad altre: quando due eventi passati accadono nello stesso arco temporale, uno può essere espresso con l’imperfetto per sottolineare la continuità.

Funzioni narrative o descrittive

L’imperfetto è spesso impiegato per dipingere lo sfondo, mentre l’aoristo descrive i fatti principali:

  • Descrizione di stati o situazioni: può indicare il contesto in cui avviene un evento puntuale. Ad esempio, lo stato emotivo di un personaggio o la disposizione di un luogo.
  • Narrazione parallela: quando più azioni si svolgono contemporaneamente nel passato, l’imperfetto consente di mostrare la loro durata o continuità.
  • Sfumature psicologiche o drammatiche: l’imperfetto può enfatizzare la lentezza di un processo, la ripetizione ossessiva di un comportamento o la persistenza di uno stato d’animo.

Valori temporali e aspettuali

In greco antico, l’imperfetto è un tempo passato con valore aspettuale durativo, quindi non si limita a indicare “quando” avveniva l’azione, ma anche come essa si svolgeva:

  • L’aspetto durativo è centrale: l’azione è vista dall’interno, nel suo sviluppo.
  • Può anche esprimere continuità temporale rispetto a un altro evento passato, fungendo da sfondo rispetto ad azioni puntualizzate da altri tempi.

Uso con i verbi di stato e movimento

I verbi che esprimono stati o condizioni persistenti si combinano naturalmente con l’imperfetto per enfatizzare la stabilità o la durata di questi stati nel passato. Ad esempio, verbi che indicano conoscenza, emozione, essere o stare si prestano all’imperfetto per creare un quadro duraturo.

I verbi di movimento o azioni fisiche, invece, con l’imperfetto trasmettono la sensazione di continuazione o progressione dell’azione, più che la semplice sequenza di eventi.

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L’ottativo

La lingua greca antica, fra le più ricche e flessibili dell’antichità, offre un sistema verbale di straordinaria complessità, in grado di esprimere con finezza le sfumature del pensiero, del sentimento e dell’azione. All’interno di questo sistema, l’ottativo occupa un ruolo peculiare: è il modo della possibilità, del desiderio, della potenzialità.

La sua stessa denominazione deriva dal latino optativus, da optare, “desiderare”, e ciò rivela la sua natura originaria: l’ottativo nasce come modo espressivo del desiderio, ma nel corso dell’evoluzione del greco classico la sua funzione si amplia, assumendo anche valori ipotetici, potenziali e indiretti.

Se il congiuntivo, argomento trattato nel precedente articolo, tende a esprimere la volontà o l’eventualità nel presente e nel futuro, l’ottativo rappresenta invece un grado più debole di realtà, un’azione meno certa, più lontana o più desiderata che effettiva.

Pertanto, potremmo dire che l’ottativo non sia altro che il modo dell’“irrealtà possibile”: ciò che si potrebbe, vorrebbe o spererebbe che accadesse.

All’interno di quest’articolo troverai la sua origine, definizione, i vari tipi di ottativo esistenti e le funzioni che questo ricopre all’interno delle proposizioni

Origine dell’ottativo

Il greco antico, fra le lingue indoeuropee, è una delle pochissime a conservare integralmente l’ottativo nella sua struttura originaria e nel suo uso funzionale, accanto al sanscrito. Entrambe, infatti, mantengono vivo questo modo verbale che nelle altre lingue della stessa famiglia è andato via via perduto o confuso con altre modalità, come l’indicativo o il congiuntivo.

Questa fedeltà del greco alla forma indoeuropea primitiva rivela una spiccata sensibilità linguistica: la lingua greca ha saputo custodire, nei secoli, una distinzione sottile ma fondamentale tra ciò che è reale (espresso dall’indicativo), ciò che è possibile o voluto (espresso dal congiuntivo), e ciò che è solo desiderabile o ipotetico (espresso dall’ottativo).

Nelle epoche più antiche, e in particolare nel mondo epico omerico, l’ottativo è pienamente vitale. Esso risuona nelle invocazioni agli dèi, nei voti e nelle preghiere, ma anche nei discorsi dei personaggi, come segno di rispetto, speranza o timore. La poesia omerica, con la sua tensione costante tra destino e libertà, trova nell’ottativo lo strumento ideale per esprimere il desiderio umano di alterare un fato già scritto. In versi come εἴθε θάνοιμι πρὶν τοῦτον ἰδεῖν (“Magari morissi prima di vederlo!”), l’ottativo si fa voce del pathos e della disperazione, restituendo la profondità emotiva e la consapevolezza del limite umano.

Col passare dei secoli, tuttavia, il suo impiego comincia gradualmente a ridursi. Nel greco classico, l’ottativo rimane ancora molto usato, ma la sua funzione si specializza: diventa lo strumento del discorso indiretto, delle ipotesi più remote, e del desiderio più attenuato. Filosofi come Platone e storici come Tucidide lo adoperano con maestria, sfruttandone il valore di ipoteticità e distanza, che ben si adatta al linguaggio dell’analisi e della riflessione.

Nel greco tardo, invece, soprattutto con l’avvento della koinè ellenistica — la lingua comune del mondo ellenistico e poi del periodo romano — l’ottativo inizia una lenta ma inesorabile estinzione funzionale. Le sue forme, sempre più percepite come arcaiche e letterarie, vengono sostituite da costruzioni più semplici e dirette: il congiuntivo ne prende il posto nelle proposizioni finali e nelle ipotesi, mentre nelle espressioni di desiderio si diffondono perifrasi modali o l’uso dell’imperfetto con valore ottativo.Nel Nuovo Testamento e nei testi cristiani, l’ottativo sopravvive quasi soltanto in rare formule arcaizzanti, come reliquia di una lingua ormai trasformata.

Questo processo di declino non rappresenta una perdita puramente morfologica, ma riflette una trasformazione profonda del pensiero linguistico e culturale: la lingua del mondo ellenistico, più pratica e comunicativa, tende a privilegiare l’immediatezza e l’efficacia rispetto alla sfumatura e all’allusione. L’ottativo, che apparteneva a un mondo poetico, religioso e filosofico più meditativo, cede il passo a una lingua più diretta e pragmatica, segno del mutamento della mentalità e delle esigenze comunicative dell’epoca.

Definizione e funzioni

L’ottativo esprime un fatto non reale nel presente, possibile nel futuro, o ipotetico nel passato, ma sempre in un contesto di incertezza, desiderio o eventualità.

Può dunque indicare:

Desiderio o augurio (ottativo desiderativo)

Possibilità o potenzialità (ottativo potenziale)

Fatti riportati nel discorso indiretto (ottativo obliquo o dell’attrazione)

Usi particolari in subordinate ipotetiche o temporali

Analizziamoli in dettaglio:

1. L’ottativo desiderativo

È l’uso più antico e “puro” del modo.

L’ottativo desiderativo esprime un augurio, un desiderio o una volontà, e può riferirsi al presente o al futuro, talvolta con valore ottativo anche negativo.

Si trova spesso con particelle come εἴθε o εἰ γάρ, traducibili con “magari”, “oh potesse…”, “voglia il cielo che…”.

Esempi:

Εἴθε γένοιτο ταῦτα. → Magari ciò avvenisse!

Εἰ γὰρ ἔλθοι φίλος. → Oh, potesse venire l’amico!

Il desiderio può essere:

Realizzabile, quando si spera in qualcosa di possibile;

Irrealizzabile, quando l’azione è ormai fuori dalla realtà, e allora l’ottativo può anche assumere un valore ipotetico o irreale.

2. L’ottativo potenziale

In questo uso, l’ottativo indica una possibilità, una eventualità incerta.

È sempre accompagnato dalla particella ἄν (a volte anche ἄν enclitico), che ne rafforza il valore modale.

Corrisponde spesso all’italiano “potrebbe”, “forse accadrebbe”, “probabilmente…”.

Esempi:

Ταῦτα ἄν εἴποι τις. → Qualcuno potrebbe dire ciò.

Οὐκ ἂν ἐποίησεν τοῦτο. → Non l’avrebbe fatto.

Questo uso è tipico del discorso diretto e ha una sfumatura logica: il fatto non è reale ma potenzialmente possibile.

Si oppone al congiuntivo con ἄν, che esprime invece una possibilità più viva o immediata.

3. L’ottativo obliquo

È uno degli usi più importanti e più caratteristici della lingua greca.

Quando un discorso diretto (in cui c’è un congiuntivo o un indicativo) viene riportato indirettamente in dipendenza da un verbo al tempo storico (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto), il congiuntivo o l’indicativo vengono attratti nell’ottativo.

Esempio:

Discorso diretto: Ὁ ἄνθρωπος λέγει ὅτι ἔρχεται. → L’uomo dice che viene.

Discorso indiretto: Ὁ ἄνθρωπος εἶπεν ὅτι ἔλθοι. → L’uomo disse che veniva / sarebbe venuto.

Questa sostituzione si chiama “attrazione dell’ottativo” ed è un meccanismo fondamentale per mantenere la coerenza temporale nei periodi complessi.

Il greco, infatti, tende a far “retrocedere” i tempi verbali quando si passa da un discorso diretto a uno indiretto, esprimendo così la dipendenza logico-temporale dal verbo reggente.

L’uso dell’ottativo nelle frasi subordinate

L’ottativo appare anche in varie subordinate, soprattutto quando dipendono da un verbo al tempo storico. Gli usi principali sono:

Nelle subordinate ipotetiche:In combinazione con la particella εἰ, può esprimere condizioni potenziali o irrealizzabili nel passato.Es.: εἰ τοῦτο ποιοίης, καλῶς ἂν ἔχοι. → Se tu facessi questo, andrebbe bene.

Nelle temporali, relative, finali e consecutive:Quando il verbo reggente è al tempo storico, l’ottativo sostituisce il congiuntivo.Es.: Ἐπορεύετο ἵνα ἴδοι τὸν φίλον. → Andava per vedere l’amico.

L’ottativo e la sfumatura psicologica

L’ottativo non è soltanto un modo grammaticale: rappresenta una sfumatura mentale e affettiva.

Chi usa l’ottativo non descrive un fatto reale, ma immagina, spera, teme o suppone qualcosa che non è certo.

È quindi il modo della prudenza linguistica, del distacco, della cortesia e persino della delicatezza espressiva.

Per esempio:

Ἐβουλόμην ἂν εἰπεῖν τι. → Vorrei dire qualcosa (ma non oso).Qui l’ottativo potenziale attenua la forza dell’affermazione, rendendola più garbata e ipotetica.

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