J. Fosse, Un bagliore

Jon Fosse e la vita dell’anima

di Antonio Stanca

   Un altro esempio della scrittura di Jon Fosse, autore norvegese Nobel per la Letteratura nel 2023, è comparso di recente con il breve romanzo Un bagliore, edito da La nave di Teseo e tradotto da Margherita Podestà Heir. L’edizione originale è del 2023 e rientra tra le tante opere di narrativa scritte dal Fosse insieme ad altre di teatro, di poesia, di saggistica, di traduzione, di letteratura per ragazzi. Ha sessantasei anni e molto e di diverso genere ha scritto.

   Nato a Strandebarm nel 1959, ha esordito nella narrativa nel 1983 e in questa ha continuato aggiungendovi altri generi. Prima del Nobel ha ottenuto notevoli riconoscimenti tra i quali quello di risiedere con la famiglia, moglie e figli, nella sede reale di Grotten a Oslo. Una figura importante è diventata la sua nel contesto culturale e artistico internazionale. Uno spazio proprio si è creato tra le personalità d’eccezione di tale contesto. A procurargli tanto successo è stata l’attualità degli argomenti trattati, la capacità di aderire ai problemi della vita, della società, della storia contemporanea, problemi legati soprattutto al passaggio dalla vecchia alla nuova generazione, alle difficoltà a volte insormontabili che ha comportato, all’incomprensione, all’incomunicabilità che ne sono conseguite, alla crisi dei rapporti famigliari, sociali, alla difficoltà di recuperare il passato, all’accettazione in molti casi di una condizione sospesa tra prima e dopo, incapace di stabilirsi perché continuamente esposta a quel flusso di coscienza che non le permette di farlo. Un flusso, cioè un movimento che tiene il pensiero sempre diviso tra passato e presente, tra quanto ricordato e quanto vissuto, quanto avvenuto e quanto avviene senza mai definirlo. A rendere questa instabilità, questa vastità interviene in Fosse un linguaggio non di espressioni compiute, ben costruite, ben collegate ma di parole isolate, scarne, essenziali, di parole che non vogliono spiegare, chiarire ma cogliere l’attimo, penetrare nell’intimo, rendere l’invisibile, l’indicibile, l’impossibile. Altra è la vita che Fosse si propone di rappresentare, è una vita più vasta, più ampia, una vita completa, totale perché dell’anima, dello spirito, è la vita del pensiero, quella che comprende anche il sogno, l’immaginazione, la visione, l’apparizione quando non il delirio. E quello delle parole essenziali è sembrato allo scrittore il modo più idoneo per dire di essa. Anche in Un bagliore si assiste a situazioni simili, a linguaggi simili. Qui si tratta, fin dagli inizi, di una vicenda strana, irreale, incomprensibile della quale si rende conto pure il protagonista senza, però, riuscire a porvi rimedio e rimanendone vittima. È un uomo che vive da solo, un uomo che è uscito con la macchina e si è inoltrato per strade poco frequentate alla periferia della città. È finito in un bosco, ha proceduto finché la macchina non si è impantanata tra solchi profondi. Impossibile liberarla, serve trainarla con una macchina più potente o un trattore. Alla ricerca di questi mezzi si mette quell’uomo, di una casa con una macchina o di una fattoria con un trattore. Si è incamminato sulle strade che crede di aver percorso poco prima senza rendersi conto che l’ora è tarda, che tra poco sarà buio completo, che nessuna casa, nessuna fattoria aveva notato prima e che intanto ha cominciato a nevicare. Si perderà in un bosco fitto di alberi e di sterpaglie, non saprà orientarsi tra il buio e la neve che cancelleranno ogni indizio. Avrà freddo, molto freddo, si scoprirà solo, senza nessun aiuto, nessun riferimento, solo e lontano dalla macchina in una oscurità senza limiti. Sarà allora che cominceranno a comparirgli delle immagini, delle figure: la prima sarà quella di un “bagliore” intenso, di forma umana o quasi, poi quella di un uomo con un vestito nero, senza volto e scalzo ed infine quelle dei genitori. Soprattutto la madre parlerà con lui, lo inviterà a muoversi, a seguirla, a tornare a casa. Glielo farà dire anche dal padre, cercherà di coinvolgere anche l’uomo in nero, di farli rientrare tutti in quel bagliore che era stata la prima apparizione e che sarebbe stata anche l’ultima nel senso che li avrebbe compresi, assorbiti e annullati tutti facendo di ognuno una parte, un aspetto di quell’anima infinita.    Sarà tra questi elementi e tra altri, ai quali alluderà senza farli vedere, che lo scrittore si muoverà nell’opera con parole accennate, abbozzate, appena capaci di farsi capire, di far capire se quelle presenze sono vere o inventate, immaginate, sognate, se le distanze tra loro o col protagonista sono lunghe o brevi, se di quanto dicono sono convinte. Si finirà di leggere senza distinguere tra vero e falso, senza sapere se credere o negare. Non ci sarà niente del quale non varrà pure il contrario. Tutto, anche il falso, l’ingiusto avrà motivo, ragione di esserci e in questo modo, con queste figure, concrete e astratte, con queste parole, dette e non dette, ha pensato Fosse di poter rappresentare quella totalità che per lui è propria dell’anima, della sua vita.

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J. Fosse, Mattino e sera

Jon Fosse, da tante opere al Nobel

di Antonio Stanca

Giovedì 5 Ottobre a Stoccolma dalla prestigiosa Accademia Svedese il Premio Nobel per la Letteratura 2023 è stato assegnato a Jon Fosse, noto autore norvegese dalle molte qualità e applicazioni. Gli è stato riconosciuto in particolare il merito di aver composto “opere innovative teatrali e in prosa che danno voce all’indicibile”. Nel 2007 gli era stato conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine Nazionale della Repubblica Francese. Dal Daily Telegraph è stato inserito tra i 100 geni viventi. Per meriti letterari ha ottenuto di risiedere con la famiglia, moglie e figli, nella sede reale di Grotten, Oslo. Al 2012 risale la sua conversione al cattolicesimo.

Della sua vasta e varia produzione ancora poco, tuttavia, è stato tradotto in italiano e tra questo rientra il breve romanzo Mattino e sera comparso in prima edizione nel 2019 e in seconda quest’anno sempre per conto de La nave di Teseo e con la traduzione di Margherita Podestà Heir. Fosse lo aveva pubblicato nel 2000.

Nato a Strandebarm, piccola città della Norvegia, nel 1959, ha esordito nella narrativa nel 1983, a ventiquattro anni, con il romanzo Rosso, nero. Ha continuato a scrivere impegnandosi in diversi generi. Oltre che di narrativa ha scritto di poesia, di teatro, di letteratura per ragazzi, è stato saggista e traduttore. In una produzione così vasta non cambiano solo i generi ma anche i modi espressivi, gli stili. Un autore multiplo può essere considerato Fosse, capace di dire molte cose e in molti modi. Anche i motivi, i temi sono tanti ma per questi è possibile ricondurli ad alcuni che ritornano, che appaiono con maggiore frequenza quali il passaggio avvenuto ultimamente dalla vecchia alla nuova generazione, i problemi che ancora adesso sta comportando, le difficoltà insorte nei rapportiindividuali, sociali, negli scambi, nella comunicazione compresa quella in famiglia, nella coppia, le contraddizioni che la segnano e che a volte diventano senza soluzione, il movimento, il flusso che avvienenella coscienza e che porta a ripercorrere il passato, che tiene sospesi tra quanto ricordato e quanto vissuto, traprima e dopo. Sia nella produzione narrativa che in quella teatrale Fosse ha concesso molto spazio a questi problemi. Sono della più recente attualità, di essi diconomolti drammi e molti romanzi. Drammi famosi sono E la notte canta, Io sono il vento, mentre per i romanzi celebri sono diventati i due che compongono Melancholia e i molti della serie Settologia. In molti teatri del mondo vengono rappresentati i drammi, in molte lingue tradotti i romanzi. Premiati sono stati spesso gli uni e gli altri. Grande interesse riscuotono i problemi che svolgono. Anche in Mattino e sera ritornano questi problemi, in particolare quello della famiglia, dei rapporti tra genitori e figli, tra figli, anche qui si verifica quel flusso di coscienza che fa stare tra passato e presente, che fa cadere ogni limite di tempo e di luogo, anche qui compare quella che è la manieraespressiva più ricorrente nel Fosse scrittore, una lingua, cioè, ridotta al minimo, scarna, incisiva, essenziale, fatta non tanto di frasi quanto di parole dirette a cogliere le contrarietà che insorgono nei rapporti, a mostrare quantodi oscuro si agita in fondo all’animo umano, quanto vi rimane di nascosto, di non detto, di non voluto.

Di una famiglia scrive Fosse in questo romanzo, della modesta famiglia di Johannes e della moglie Erna. Vivevano ad Holmen, piccolo centro su una delle tante isole del Mare di Norvegia, e si erano trasferiti in un posto più vicino alla città, nella periferia di questa. Avevano avuto sette figli, avevano fatto molti sacrifici per loro, per provvedere ai loro bisogni ma ora erano tutti adulti, indipendenti, e i genitori, ormai vecchi, in pensione. Improvvisamente, però, succederà che Erna venga a mancare, che muoia lasciando Johannes solo nella piccola casa. Lui era stato pescatore come il padre, il nonno e tanti altri della famiglia. Anche adesso continuava a farlo ma con minore frequenza ed interesse.È diventato vecchio, non si sente sicuro, è poco convinto di quello che fa, che pensa, di come trascorre il suo tempo. Ebbene del tempo di Johannes, di una sola giornata del suo tempo, si compone l’opera del Fosse. Sembra una giornata come le altre ma è diversa. Oltre alla moglie sono morti sull’isola tutti gli amici e vicini di Johannes, lui lo sa ma mentre compie, quel giorno, la solita passeggiata mattutina gli succede di imbattersi nelle persone che sapeva morte. Sono le loro ombre, le loro figure prive di spessore, ridotte a parvenze, senza consistenza, senza corpo. Gli sembra assurdo, incomprensibile. Con loro, tuttavia, quella mattina ha i rapporti di sempre, fa le cose di sempre e questo fino a sera, fin quando non saprà che anche lui è morto, anche se di recente, che anche lui è come loro, senza corpo. Così è tutto nel romanzo. Quello che Johannes vede, le persone con le quali si trova, lui stesso, tutto quanto èsospeso tra ricordo e sogno, realtà e visione, verità e immaginazione, materia e spirito, corpo e anima, vita e morte. È un mondo finito o quasi, è una situazione carica di misteri quella che Johannes scopre anche perché non capisce come a lui sia stato concesso di percorrerla, vederla, entrare nei suoi segreti compreso quello di Dio e del suo rapporto con gli uomini. A lui, alla sua coscienzaè stato concesso di sentire quel flusso che fa rivivere,recuperare, ricostruire il passato suo e degli altri, lo continua, non lo fa finire, lo rende eterno. È la sopravvivenza dello spirito, è l’immortalità dell’anima, èla sua vita eterna quella che Fosse vuole mostrare in questo modo? Alquanto singolare, geniale esso risulta sia perché immaginato nel giro di una sola giornata sia perché capace di indicare una soluzione per un problema così difficile.

La forza della poesia.

Gli alunni della scuola secondaria di primo grado, all’interno del progetto lettura d’Istituto, hanno celebrato la Poesia attraverso numerose iniziative: reading letterari, incontri in biblioteca, laboratori creativi di lettura e di scrittura. 

Il 21 marzo ricorre la Giornata Mondiale della Poesia, istituita dall’Unesco nel 1999 per promuovere la poesia, sia in quanto espressione artistica sia come strumento di dialogo tra culture.

Quattro giorni dopo, il 25 marzo, in Italia si festeggia il Dantedì, la giornata lanciata da Paolo Di Stefano sul “Corriere della Sera” e istituita nel 2020 per celebrare Dante Alighieri.

Due appuntamenti che esortano a prestare attenzione a una forma di scrittura che attraversa la storia dell’umanità e accompagna anche il nostro tempo distratto e sempre di fretta. 

Consapevoli dell’importanza della poesia quale ponte tra emozioni e parole gli alunni dell’I.C. “Antonio Gramsci” hanno dedicato il mese di marzo a celebrare la scrittura in versi.

La poesia abita in ognuno di noi anche se spesso trascuriamo la sua forza e il suo vigore capace di trasformare in voce le cose. 

Numerose le attività alle quali gli alunni hanno potuto partecipare. Nella Biblioteca Scolastica, ad esempio, hanno potuto trovare un’ampia selezione di libri, di albi illustrati, di saggi e di riviste che hanno offerto loro numerosi spunti per parlare di poesia.

I ragazzi hanno sfogliato i libri a loro disposizione, hanno letto le poesie e scelto alcuni versi più significativi che poi hanno trascritto su strisce ricavate dalle pagine di quotidiano.

Infine hanno donato le strisce poetiche agli altri alunni, al personale scolastico ed anche all’esterno della scuola, a parenti ed amici.  

Tra le attività proposte tra gli alunni ha trovato grande favore anche la ricerca della poesia nascosta con il metodo caviardage. 

Il testo proposto questa volta è stato quello della canzone di Martina Attili “Cherofobia” che ha guidato i ragazzi a riflettere sulle proprie paure, anche quella di essere felici. 

Tra i testi selezionati e proposti dalla professoressa Barbara Pedrazzi, referente del progetto lettura d’Istituto, l’albo illustrato Voglio scrivere una poesia di Bernard Friot con le illustrazioni di Arianna Papini ha spinto, invece, a trovare la poesia nelle piccole cose.

Il testo poetico che non affronta grandi temi né vuole trasmettere messaggi impegnati, sceglie di raccontare la poesia della quotidianità, la meraviglia che sta nelle piccole cose e la bellezza dei riferimenti che ogni giorno arricchiscono la nostra vita.

Tutto ciò che ci circonda è poesia, anche un volto come racconta Julie Morstad nell’albo Ogni viso è una poesia. L’autrice ci conduce ad un’esplorazione poetica e insieme giocosa di occhi, nasi, bocche, ciglia, lentiggini e tutti quei segni che rendono unico ogni individuo.

Guardare meglio, questo è l’invito del libro, guardare con più attenzione alla varietà che ci circonda, alla ricchezza delle differenze e delle sfumature emotive che i volti raccontano. “Forse il viso è come una finestra… Mostra quello che abbiamo dentro”, E dietro ognuno dei visi che popolano l’universo si nasconde un segreto, speciale nella sua unicità.

Le attività di poesie a ricalco, invece, che hanno coinvolto e divertito gli alunni hanno preso avvio dalla lettura del libro Canti dell’inizio canti della fine di Bruno Tognolini e Silvia Vecchini, edita da Topipittori con le illustrazioni discrete e perfette di Giulia Orecchia.

Ad ogni apertura l’inizio a sinistra ci regala la lingua ritmata e pregna di Tognolini con il suo tamburo a combustione metrica, e a destra la lingua sciolta e densa di Silvia Vecchini pronta a sorprendere con tagli di verso significanti e significativi.

Quella di Tognolini e Vecchini è come sempre una poesia delle piccole cose che si porta dentro quelle grandi, quelle esistenziali; ogni piccola fine e ogni piccolo inizio sono segno, simbolo e avvertimento ma anche preparazione agli inizi e alle fini più grandi.

In questa giornata, nata proprio con l’intento di promuovere il dialogo interculturale dei popoli, di andare oltre i confini, le lingue e le differenze, non potevamo non dedicare un ricordo ad Alda Merini nata appunto il 21 marzo. 

E proprio nella poesia “Sono nata il ventuno a primavera”, contenuta nella raccolta “Vuoto d’amore” (Einaudi, 1991), la poetessa, o meglio poeta come preferiva essere chiamata, celebra la propria data di nascita ma non solo; sembra concentrare in un breve componimento di soli nove versi tutto il significato della propria esistenza e la capacità di leggere la realtà attraverso la sua poesia.

Concludendo possiamo affermare che la poesia, così come la lettura, non deve rappresentare un evento all’interno della nostra vita ma una presenza quotidiana che è in mezzo a noi non solo il 21 marzo ma ogni giorno e ci aiuta ad ascoltare il suono delle parole. 

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