L’aumento temporale

Lo studio delverbo greco antico rivela un sistema complesso e ricco di sfumature, in cui ogni elemento morfologico concorre a esprimere non soltanto il tempo dell’azione, ma anche il suo aspetto e la sua modalità. Tra questi elementi spicca l’aumento, un prefisso che appare nei tempi storici dell’indicativo e che, a prima vista, potrebbe sembrare un semplice segno grafico. In realtà, esso racchiude una lunga evoluzione storica e linguistica: nato come particella avverbiale con valore temporale, è divenuto nel greco classico un tratto distintivo del passato verbale.

La sua presenza è fondamentale per riconoscere e distinguere le forme verbali nei testi, e permette di cogliere immediatamente la collocazione temporale dell’azione. L’aumento non si limita, però, a un unico schema: la lingua greca ha elaborato diverse modalità di applicarlo, a seconda che il verbo inizi con consonante o vocale, con un sistema di regole preciso ma non privo di eccezioni.

Comprendere il funzionamento dell’aumento significa, quindi, entrare nel cuore della morfologia verbale greca, dove il passato non è soltanto un tempo cronologico, ma una categoria linguistica segnata da trasformazioni fonetiche e da un’elegante coerenza interna.

Definizione

Nel greco antico l’aumento è un prefisso che si aggiunge al tema del verbo nei tempi storici dell’indicativo (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto).

Non si tratta dunque di una desinenza personale, ma di un elemento che funge da marcatore temporale, indicando che l’azione è avvenuta nel passato.

Questa caratteristica differenzia i tempi storici dagli altri (presente, futuro, perfetto), i quali non presentano aumento.

Origini storiche

L’aumento ha un’origine indoeuropea, ma la sua forma si è sviluppata soprattutto nel greco. In origine non era obbligatorio: veniva usato come particella avverbiale con valore di “già, allora”.
Con il tempo, nel greco classico, l’aumento è diventato obbligatorio nell’indicativo dei tempi storici, mentre non compare mai nel congiuntivo, ottativo, infinito e participio.

Tipi di aumento

Somma Risultato Verbo originale Verbo con l’aumento
ἐ- + α η ἄγω “condurre” ἠγ-
ἐ- + αι o ἐ- + ἐ- ᾳ αἰσχύνω “screditare” ᾐσχυν-
ἐ- + αυ ηυ αυξάνω “accrescere” ηὐξαν-
ἐ- + ε η o ει ἐρίζω “litigare”
ἔχω “avere”
ἠριζ-
εἰχ-
ἐ- + ει ῃ ο ει εἰκάζω “supporre” ᾐκαζ- ο εἰκαζ-
ἐ- + ευ ηυ ο ευ εὑρίσκω “trovare” ηὑρισκ- o εὑρισκ-
ἐ- + ο ω ὀρύσσω “scavare” ὠρυσσ-
ἐ- + οι οἰμώζω “lamentarsi” ᾠμωζ-
ἐ- ου ου οὐτάζω “ferire” οὐταζ-
ἐ- ι ι ἰσχύω “essere forte” ἰσχυ-
ἐ- υ υ ὑβρίζω “essere insolente” ὑβριζ-

Considerazioni

Come riporta il libro Il nuovo greco di Campanini:

  • La fusione dell’aumento ἐ- con la vocale o il dittongo iniziale del tema produce esiti parzialmente diversi da quelli previsti dalle regole della contrazione, che sembra costruire un fenomeno più recente.
  • Alcuni verbi inizianti per ε presentano l’allungamento in ει anziché in η. Tale fenomeno dipende dal fatto che questi verbi iniziavano originariamente per σ, Ϝ o σϜ, consonanti che in seguito all’aggiunta dell’aumento si sono venute a trovare in posizione intervocalica e sono cadute, provocando così la regolare contrazione tra l’ε dell’aumento e quella iniziale del nuovo tema. I verbi affetti da tale anomalia sono i seguenti:
    • ἐαω (permettere) → σεϜα- → ἐ-σεϜα- → εἰα-;
    • ἐθιζω (abituare) → σϜεθιζ- → ἐ-σϜεθιζ- → εἰθιζ-;
    • ἑλίσσω (arrotolare) → Ϝελισσ- → ἐ-Ϝελισσ- → εἱλισσ-;
    • ἕλκω (tirare) → σελκ- → ἐ-σελκ- → εἱλκ-;
    • ἕπομαι (seguire)→ σεπ- → ἐ-σεπ- →εἱπ-;
    • ἐργάζομαι (lavorare) → Ϝεργαζ → ἐ-Ϝεργαζ → εἰργαζ-;
    • ἕρπω (strisciare) → σερπ- → ἐ-σερπ- → εἱπρ-;
    • ἑστιάω (offrire un banchetto) → Ϝεστια- → ἐ-Ϝεστια- → εἱστια-;
    • ἔχω (avere) → σεχ- → ἐ-σεχ- → εἰχ.
  • I verbi inizianti per ει ed ευ, dal IV secolo a.C., non subirono alcuna modificazione a causa dell’aumento. Talvolta l’aumento temporale viene omesso anche con i dittonghi iniziali αυ ed οι.
  • Le vocali lunghe iniziali rimangono immutate nei seguenti verbi:
    • ἥκω (giungere) → tema + aumento ἡκ-;
    • ὠφελέω (essere utile) → tema + aumento ὠφελε-.
  • I verbi ὠθέω (spingere) e ὠνέομαι (comprare), originariamente inizianti per digamma, mantengono l’aumento ἐ- separato dalla vocale iniziale.
  • Il verbo ὁράω (vedere) presenta un apparente doppio aumento, sillabico, trattato già nel precedente articolo che ti invito calorosamente a leggere qualora tu non l’avessi ancora fatto, e temporale: ἑωρα-. In realtà, questa forma si spiega a partire dall’etimologia del verbo, che originariamente cominciava per digamma. Postulando un aumento in ἠ-, analogo a quello di βούλομαι, δύναμαι, e μέλλω, si ottiene la forma ἠϜορα- e poi, per caduta del digamma e metatesi quantitativa, ἐωρα-. Analogamente si spiega l’apparente doppio aumento di (ἀν)οίγω (aprire): (ἀν)ηϜοιγ- → (ἀν)εϜῳγ- → (ἀν)εῳγ-.

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L’ottativo

La lingua greca antica, fra le più ricche e flessibili dell’antichità, offre un sistema verbale di straordinaria complessità, in grado di esprimere con finezza le sfumature del pensiero, del sentimento e dell’azione. All’interno di questo sistema, l’ottativo occupa un ruolo peculiare: è il modo della possibilità, del desiderio, della potenzialità.

La sua stessa denominazione deriva dal latino optativus, da optare, “desiderare”, e ciò rivela la sua natura originaria: l’ottativo nasce come modo espressivo del desiderio, ma nel corso dell’evoluzione del greco classico la sua funzione si amplia, assumendo anche valori ipotetici, potenziali e indiretti.

Se il congiuntivo, argomento trattato nel precedente articolo, tende a esprimere la volontà o l’eventualità nel presente e nel futuro, l’ottativo rappresenta invece un grado più debole di realtà, un’azione meno certa, più lontana o più desiderata che effettiva.

Pertanto, potremmo dire che l’ottativo non sia altro che il modo dell’“irrealtà possibile”: ciò che si potrebbe, vorrebbe o spererebbe che accadesse.

All’interno di quest’articolo troverai la sua origine, definizione, i vari tipi di ottativo esistenti e le funzioni che questo ricopre all’interno delle proposizioni

Origine dell’ottativo

Il greco antico, fra le lingue indoeuropee, è una delle pochissime a conservare integralmente l’ottativo nella sua struttura originaria e nel suo uso funzionale, accanto al sanscrito. Entrambe, infatti, mantengono vivo questo modo verbale che nelle altre lingue della stessa famiglia è andato via via perduto o confuso con altre modalità, come l’indicativo o il congiuntivo.

Questa fedeltà del greco alla forma indoeuropea primitiva rivela una spiccata sensibilità linguistica: la lingua greca ha saputo custodire, nei secoli, una distinzione sottile ma fondamentale tra ciò che è reale (espresso dall’indicativo), ciò che è possibile o voluto (espresso dal congiuntivo), e ciò che è solo desiderabile o ipotetico (espresso dall’ottativo).

Nelle epoche più antiche, e in particolare nel mondo epico omerico, l’ottativo è pienamente vitale. Esso risuona nelle invocazioni agli dèi, nei voti e nelle preghiere, ma anche nei discorsi dei personaggi, come segno di rispetto, speranza o timore. La poesia omerica, con la sua tensione costante tra destino e libertà, trova nell’ottativo lo strumento ideale per esprimere il desiderio umano di alterare un fato già scritto. In versi come εἴθε θάνοιμι πρὶν τοῦτον ἰδεῖν (“Magari morissi prima di vederlo!”), l’ottativo si fa voce del pathos e della disperazione, restituendo la profondità emotiva e la consapevolezza del limite umano.

Col passare dei secoli, tuttavia, il suo impiego comincia gradualmente a ridursi. Nel greco classico, l’ottativo rimane ancora molto usato, ma la sua funzione si specializza: diventa lo strumento del discorso indiretto, delle ipotesi più remote, e del desiderio più attenuato. Filosofi come Platone e storici come Tucidide lo adoperano con maestria, sfruttandone il valore di ipoteticità e distanza, che ben si adatta al linguaggio dell’analisi e della riflessione.

Nel greco tardo, invece, soprattutto con l’avvento della koinè ellenistica — la lingua comune del mondo ellenistico e poi del periodo romano — l’ottativo inizia una lenta ma inesorabile estinzione funzionale. Le sue forme, sempre più percepite come arcaiche e letterarie, vengono sostituite da costruzioni più semplici e dirette: il congiuntivo ne prende il posto nelle proposizioni finali e nelle ipotesi, mentre nelle espressioni di desiderio si diffondono perifrasi modali o l’uso dell’imperfetto con valore ottativo.Nel Nuovo Testamento e nei testi cristiani, l’ottativo sopravvive quasi soltanto in rare formule arcaizzanti, come reliquia di una lingua ormai trasformata.

Questo processo di declino non rappresenta una perdita puramente morfologica, ma riflette una trasformazione profonda del pensiero linguistico e culturale: la lingua del mondo ellenistico, più pratica e comunicativa, tende a privilegiare l’immediatezza e l’efficacia rispetto alla sfumatura e all’allusione. L’ottativo, che apparteneva a un mondo poetico, religioso e filosofico più meditativo, cede il passo a una lingua più diretta e pragmatica, segno del mutamento della mentalità e delle esigenze comunicative dell’epoca.

Definizione e funzioni

L’ottativo esprime un fatto non reale nel presente, possibile nel futuro, o ipotetico nel passato, ma sempre in un contesto di incertezza, desiderio o eventualità.

Può dunque indicare:

Desiderio o augurio (ottativo desiderativo)

Possibilità o potenzialità (ottativo potenziale)

Fatti riportati nel discorso indiretto (ottativo obliquo o dell’attrazione)

Usi particolari in subordinate ipotetiche o temporali

Analizziamoli in dettaglio:

1. L’ottativo desiderativo

È l’uso più antico e “puro” del modo.

L’ottativo desiderativo esprime un augurio, un desiderio o una volontà, e può riferirsi al presente o al futuro, talvolta con valore ottativo anche negativo.

Si trova spesso con particelle come εἴθε o εἰ γάρ, traducibili con “magari”, “oh potesse…”, “voglia il cielo che…”.

Esempi:

Εἴθε γένοιτο ταῦτα. → Magari ciò avvenisse!

Εἰ γὰρ ἔλθοι φίλος. → Oh, potesse venire l’amico!

Il desiderio può essere:

Realizzabile, quando si spera in qualcosa di possibile;

Irrealizzabile, quando l’azione è ormai fuori dalla realtà, e allora l’ottativo può anche assumere un valore ipotetico o irreale.

2. L’ottativo potenziale

In questo uso, l’ottativo indica una possibilità, una eventualità incerta.

È sempre accompagnato dalla particella ἄν (a volte anche ἄν enclitico), che ne rafforza il valore modale.

Corrisponde spesso all’italiano “potrebbe”, “forse accadrebbe”, “probabilmente…”.

Esempi:

Ταῦτα ἄν εἴποι τις. → Qualcuno potrebbe dire ciò.

Οὐκ ἂν ἐποίησεν τοῦτο. → Non l’avrebbe fatto.

Questo uso è tipico del discorso diretto e ha una sfumatura logica: il fatto non è reale ma potenzialmente possibile.

Si oppone al congiuntivo con ἄν, che esprime invece una possibilità più viva o immediata.

3. L’ottativo obliquo

È uno degli usi più importanti e più caratteristici della lingua greca.

Quando un discorso diretto (in cui c’è un congiuntivo o un indicativo) viene riportato indirettamente in dipendenza da un verbo al tempo storico (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto), il congiuntivo o l’indicativo vengono attratti nell’ottativo.

Esempio:

Discorso diretto: Ὁ ἄνθρωπος λέγει ὅτι ἔρχεται. → L’uomo dice che viene.

Discorso indiretto: Ὁ ἄνθρωπος εἶπεν ὅτι ἔλθοι. → L’uomo disse che veniva / sarebbe venuto.

Questa sostituzione si chiama “attrazione dell’ottativo” ed è un meccanismo fondamentale per mantenere la coerenza temporale nei periodi complessi.

Il greco, infatti, tende a far “retrocedere” i tempi verbali quando si passa da un discorso diretto a uno indiretto, esprimendo così la dipendenza logico-temporale dal verbo reggente.

L’uso dell’ottativo nelle frasi subordinate

L’ottativo appare anche in varie subordinate, soprattutto quando dipendono da un verbo al tempo storico. Gli usi principali sono:

Nelle subordinate ipotetiche:In combinazione con la particella εἰ, può esprimere condizioni potenziali o irrealizzabili nel passato.Es.: εἰ τοῦτο ποιοίης, καλῶς ἂν ἔχοι. → Se tu facessi questo, andrebbe bene.

Nelle temporali, relative, finali e consecutive:Quando il verbo reggente è al tempo storico, l’ottativo sostituisce il congiuntivo.Es.: Ἐπορεύετο ἵνα ἴδοι τὸν φίλον. → Andava per vedere l’amico.

L’ottativo e la sfumatura psicologica

L’ottativo non è soltanto un modo grammaticale: rappresenta una sfumatura mentale e affettiva.

Chi usa l’ottativo non descrive un fatto reale, ma immagina, spera, teme o suppone qualcosa che non è certo.

È quindi il modo della prudenza linguistica, del distacco, della cortesia e persino della delicatezza espressiva.

Per esempio:

Ἐβουλόμην ἂν εἰπεῖν τι. → Vorrei dire qualcosa (ma non oso).Qui l’ottativo potenziale attenua la forza dell’affermazione, rendendola più garbata e ipotetica.

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