L’aumento nei verbi composti

L’aumento, come già accennato nei precedenti articoli, è uno degli elementi morfologici più caratteristici del verbo greco, soprattutto nella formazione dei tempi storici (imperfetto, aoristo e piuccheperfetto). Si tratta di un fenomeno che coinvolge soltanto l’indicativo e che ha una chiara funzione diacronica: serve a marcare la differenza tra il presente e i tempi che indicano un’azione passata. Non è dunque un segno di tempo in senso stretto, ma piuttosto un marchio di passato tipico della lingua indoeuropea, che il greco ha conservato e sviluppato in maniera peculiare.

Il meccanismo dell’aumento si presenta in due forme: l’aumento sillabico (una ε- prefissa davanti a radici che iniziano per consonante) e l’aumento temporale (allungamento della vocale iniziale nel caso di verbi che cominciano con una vocale o un dittongo). Entrambi hanno la funzione di segnalare il tempo storico, ma il loro comportamento non è sempre regolare, soprattutto nei verbi composti con preposizione.

È proprio in questo ambito che sorgono le questioni più complesse: dove va collocato l’aumento quando un verbo è preceduto da uno o più prefissi preposizionali? Davanti a tutto il composto o solo davanti alla radice verbale? Per rispondere, occorre analizzare l’evoluzione storica e le variazioni che la lingua greca conosce nelle sue diverse epoche e nei suoi diversi dialetti.

Il problema dell’aumento nei verbi composti

I verbi composti con preposizione pongono un problema fondamentale: se un verbo semplice come βάλλω diventa προσβάλλω, nel passato indicativo ci si deve chiedere se la forma corretta sia προσέβαλλον (aumento dopo la preposizione) oppure ἐπροσβάλλον (aumento prima della preposizione).

La tradizione grammaticale antica e la pratica degli autori ci mostrano che entrambi gli usi sono attestati, e ciò riflette un lungo processo di evoluzione linguistica. In origine, quando la preposizione era ancora un elemento relativamente indipendente e non completamente fuso con il verbo, l’aumento tendeva a collocarsi prima di tutto il gruppo, quindi davanti alla preposizione: ἐπροσβάλλον. Col tempo però, la fusione tra preposizione e verbo diventò sempre più stretta, e allora prevalse l’uso di collocare l’aumento immediatamente davanti al verbo, lasciando la preposizione inalterata: προσέβαλλον.

Questo spiega perché nei testi più antichi (soprattutto in Omero) si trovano frequentemente esempi di aumento proclitico posto davanti all’intero composto, mentre nei testi della prosa classica diventa normale l’aumento davanti alla radice verbale

L’uso omerico e la flessibilità arcaica

Nell’epica arcaica, e in particolare in Omero, l’aumento è spesso facoltativo e la sua posizione varia con grande libertà. Si possono trovare esempi come ἐπεβάλετο ma anche προσέβαλε. In certi casi, l’aumento manca del tutto, segno che nell’epoca omerica non era ancora percepito come obbligatorio.

Questa libertà riflette la fase in cui l’aumento non era ancora un elemento strettamente grammaticalizzato, ma piuttosto un segno temporale facoltativo, usato quando il poeta voleva evidenziare l’azione passata. Non a caso, nei verbi composti l’aumento iniziale davanti a tutta la parola poteva servire anche da risorsa metrica, permettendo una sillaba in più per l’esametro.

L’età classica e la regolarizzazione dell’uso

Con il V secolo a.C. e la fissazione della prosa attica, l’uso dell’aumento nei composti si stabilizza. L’aumento tende quasi sempre a porsi dopo la preposizione, quindi davanti al verbo vero e proprio. Ecco perché in testi come quelli di Tucidide, Senofonte o Platone si trovano sistematicamente forme come προσέβαλλον, κατέλυον, ἀπέστειλα.

Questo fenomeno testimonia che ormai la preposizione non è più sentita come autonoma, ma come parte integrante del verbo. Il legame morfologico è diventato indissolubile, e il greco classico ha cristallizzato questa fusione. L’aumento proclitico davanti a tutta la parola sopravvive solo in casi eccezionali o per ragioni stilistiche.

Il greco ellenistico e la Koiné

Con l’avvento della Koiné ellenistica, l’aumento comincia a perdere forza. Già nei papiri del periodo alessandrino e poi nel Nuovo Testamento si trovano sempre più spesso forme senza aumento, segno di una tendenza alla semplificazione del sistema verbale. Nei composti, la forma più comune rimane quella con l’aumento davanti al verbo, come in προσέβαλον, ma la sua presenza diventa progressivamente meno regolare.

Questa evoluzione continua nel greco bizantino e moderno, dove l’aumento sopravvive solo in alcune forme fossilizzate o in contesti letterari arcaizzanti.

Regola generale

Come attesta Il nuovo greco di Campanini:

  • Nei verbi composti con una o più preposizioni l’aumento si colloca tra le preposizioni e il tema verbale:
    • εἰσβαίνω (imbarcarsi) → tema + aumento = εἰσεβαιν-
    • προεισφέρω (pagare in anticipo) → tema + aumento = προεισεφέρ-
  • Le preposizioni che terminano in vocale elidono la vocale finale davanti all’aumento:
    • ἀποβαίνω (scendere) → tema + aumento = ἀπεβαίν-
      • Fanno eccezione a questo proposito περί e ἀμπφί, che conservano la vocale:
        • περιβαίνω (avanzare) → tema + aumento = περιεβαιν-
        • ἀμφιβάλλω (cingere) → tema + aumento = ἀμφιεβαλλ-
      • La vocale finale di πρό talvolta si conserva, talvolta dà luogo a crasi con l’aumento (προὐ-):
        • προβαίνω (avanzare) → tema + aumento = προεβαίν-/προὐβαίν-
  • Le preposizioni che escono in consonante riprendono la loro forma originaria, se questa si è alterata nella formazione del composto. In particolare, questo avviene con le preposizioni σύν ed ἐν:
    • γγάφω (inscrivere) → tema + aumentato = ἐνεγραφ-
    • μμένω (rimanere) → tema + aumento = ἐνεμεν-
    • συλλαμβάνω (raccogliere) → tema + aumentato = συνελαμβαν-
    • συμβαινω (accadere) → tema + aumento = συνεβαιν-
      • La preposizione ἐκ davanti all’aumento assume la forma ἐξ:
        • ἐκβαινω (uscire) → tema + aumento = ἐξεβαιν-
  • I composti con δυσ- presentano:
    • l’aumento prima di δυσ- se il tema verbale inizia per vocale lunga o consonante:
      • δυσφορέω (mal sopportare) → tema + aumento = ἐδυσφορ-
    • l’aumento dopo di δυσ- se il tema verbale inizia per vocale breve:
      • δυσελπίζω (disperare) → tema + aumento = δυσηλπιζ-
  • Nei composti con εὐ- è possibile trovare l’aumento sulla vocale iniziale del tema verbale soltanto quando essa è breve; altrimenti, l’aumento o manca del tutto o cade sul prefisso:
    • εὐεργετέω (fare bel bene) → εὐεργετε-/εὐηργετε-
    • εὐλαβέομαι (stare in guardia) → εὐλαβε-; ηὐλαβε-

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Il presente indicativo

In ogni lingua, il tempo presente è uno degli strumenti fondamentali con cui l’uomo esprime la realtà. Esso permette di collocare l’azione nel momento in cui si parla, ma non solo: descrive abitudini, stati permanenti, verità universali e persino azioni che stanno per cominciare. Per questo il presente è spesso il primo tempo verbale che si apprende e costituisce il punto di partenza per l’intero sistema verbale.

Nelle lingue moderne, come l’italiano, il presente verbale tende ad avere un significato prevalentemente cronologico: indica cioè un’azione che si svolge “ora” (es. scrivo una lettera). Tuttavia, già nel latino e ancor più nel greco antico, il concetto di presente non si limita al solo riferimento temporale, ma si intreccia con un’altra nozione fondamentale: l’aspetto verbale.

In greco, infatti, ciò che importa non è soltanto quando un’azione avviene, ma come viene concepita da chi la esprime: se come un processo in corso, un fatto compiuto una volta per tutte, oppure una condizione permanente. In questo sistema, il presente appartiene al tema del presente, che si caratterizza per il valore durativo o progressivo dell’azione: non un evento puntuale, ma un processo che si prolunga nel tempo o che si ripete abitualmente.

All’interno della vasta gamma dei modi verbali (indicativo, congiuntivo, ottativo, imperativo), il presente indicativo occupa una posizione centrale. È infatti la forma più neutra e diretta per esprimere il presente, quella che serve ad affermare fatti, descrivere la realtà così com’è percepita, oppure narrare eventi passati con vivacità attraverso il cosiddetto presente storico.

All’interno di quest’articolo, procederemo quindi con la spiegazione delle peculiarità del presente, analizzandone caratteristiche grammaticali e usi periodici. Se invece ti interessano delle nozioni maggiore su quella che è la struttura del verbo o del greco antico in generale, allora ti invito a consultare gli articoli che trovi nel nostro blog. Per di più, se conosci qualcuno che sia interessato allo studio della lingua greca, puoi condividere questo link sul tuo social preferito, così che lui possa trovare delle ottime risorse online gratuitamente.

Tema del presente

Il tema del presente, del quale le informazioni che riportiamo sono state tratte dal libro Introduzione scientifica allo studio del greco e latino di Ferdinand Baur, si costruisce in vari modi: può arricchirsi con vocali o consonanti aggiuntive, oppure subire ampliamenti della radice all’inizio, nel mezzo o alla fine. In certi casi questi mutamenti sono così marcati da rendere la forma molto diversa dalla radice originaria. Ogni formazione, in base al suffisso o all’infisso impiegato, porta con sé un valore particolare: può essere intensivo, durativo, incoativo (cioè indicare l’inizio dell’azione), iterativo (ripetizione), desiderativo, causativo, intransitivo o passivo.

Il presente si distingue dall’imperfetto grazie alle desinenze primarie, anche quando l’imperfetto non presenta l’aumento, mentre si differenzia dall’aoristo forte sia per la presenza dell’aumento sia per gli ampliamenti caratteristici della radice.

Valori e usi

Il presente indicativo esprime generalmente:

Azione attuale → ciò che accade nel momento in cui si parla.γράφω τὴν ἐπιστολήν → “scrivo la lettera (ora)”.

Azione abituale → ciò che si compie regolarmente o di solito.οἱ ἄνθρωποι ζητοῦσι τὴν εὐδαιμονίαν → “gli uomini cercano la felicità”.

Verità universali → leggi di natura o verità eterne.ὁ ἥλιος ἀνατέλλει → “il sole sorge”.

Valore storico (presente storico) → un’azione passata, narrata però al presente per vivacità.λέγει ὁ ποιητής → “disse il poeta” (letteralmente: “dice”).

Valore conativo (o incoativo) → esprime un’azione che sta per iniziare.βαδίζω → “sto per mettermi in cammino”.

Presente intensivoIl verbo, spesso con raddoppiamento, rafforza l’idea dell’azione, mostrando insistenza o energia.

δίδωμι → “do con insistenza / con forza”.

πίμπρημι → “incendio con violenza”.

Presente durativoRende l’azione come prolungata nel tempo, senza indicarne la conclusione.

μένω → “rimango, sto fermo”.

καθεύδω → “dormo (continuativamente)”.

Presente incoativo (nel senso originario)Non solo conativo, ma anche con valore di “cominciare a”.

γηράσκω → “comincio a invecchiare”.

ὀργίζομαι → “comincio ad adirarmi”.

Presente iterativoEsprime un’azione ripetuta più volte. Spesso si lega a suffissi o alla forma epica.

πάλλω → “scuoto ripetutamente”.

διώκω → “inseguo (più volte, insistentemente)”.

Presente desiderativoIndica la volontà o il desiderio di compiere un’azione, a volte tramite forme particolari.βουλομαι → “voglio”ἐθέλω → “ho l’intenzione, desidero”

Presente causativoIl verbo non esprime più l’azione diretta, ma il fatto di “far fare” a qualcun altro.καθίζω → “faccio sedere” (da κάθημαι = “siedo”)δείκνυμι → “mostro, faccio vedere”

Presente intransitivoAlcuni verbi indicano stati o azioni che non passano a un oggetto.ἔρχομαι → “vado”ἵσταμαι → “mi fermo, sto in piedi”

Presente passivoEsplicita che il soggetto subisce l’azione.γράφεται → “è scritto”πείθομαι → “sono persuaso / obbedisco”.

Tema del presente coincidente con la radice

In alcuni casi il tema del presente coincide esattamente con la radice, senza l’aggiunta di vocali leganti.

Quando la radice termina in vocale, ad esempio con φα, nelle forme plurali si hanno esiti come ἴμεν, ἴτε, ἴασι oppure φαμέν, φατέ, φᾶσί (quest’ultima dal dorico φαντί);

al singolare, invece, la vocale della radice tende ad allungarsi: così si spiegano forme come εἶμι e φημί. La differenza tra singolare e plurale è antichissima: nel singolare la radice viene rafforzata per compensare la brevità delle desinenze, mentre nel plurale, essendo le desinenze più pesanti, la radice resta più debole.

Un caso analogo si trova con le radici consonantiche: ad esempio ἐς, da cui deriva εἰμί (= ἐσμί), con la variante eolica ἐμμί.

Quando invece c’è una vocale di collegamento, troviamo verbi come τίω (onorare), φέρω, λέγω.

Rafforzamento della vocale radicale

La vocale della radice semplice può anche essere rafforzata nel presente:

Quando non c’è vocale legante, questo rafforzamento si trova in particolare nelle forme del singolare indicativo dei verbi primitivi. Ad esempio, la radice ει dà origine a εἶμι, εἰς, εἶ (= εἰσι), con la 2ª singolare εἶσθα e la 3ª singolare εἶσι. In greco, nei verbi della serie in -ημι, la η rimane anche nelle forme del plurale. Lo stesso si nota in alcune varianti dialettali di verbi originariamente in -έω, come ὅρημι, φόρημι, αἴτημι;

quando il presente si forma con una vocale legativa, l’allungamento della radice è molto frequente. Alcuni esempi:φεύγω da φυγ-λείπω da λιπ-λήθω da λαθ-τήκω da τακ-τεύχω da τυχ-τρώγω da τραγ-τίω da τις-

per i verbi in -έω, come ῥέω, χέω, πλέω, derivati da radici in υ (ρυ, χυ, πλυ), il presente originariamente mostrava un allungamento della υ in ευ. Con il tempo, tuttavia, la combinazione ευ subì un’ulteriore trasformazione: l’υ si indebolì, mutandosi in ϝ (digamma), e poi andò perduto. Un fenomeno analogo si nota in γλυκύς (dolce), genitivo γλυκέος, da una forma più antica γλυκερος. Inoltre, alcuni verbi svilupparono un allungamento ulteriore, ad esempio:πλώω, ῥώω, χώομαι rispetto al più frequente epico πλείω.

Presente con raddoppiamento

Un altro processo tipico è la formazione del presente tramite raddoppiamento della radice, spesso accompagnato dall’allungamento della vocale radicale al singolare. Questo tipo di presente ha valore intensivo o durativo.

Esempi:

Radice δο- → presente δίδωμι (sing. δίδω, δίδως, δίδωσι).

Radice στα- → ἵστημι (“porre, collocare”).

Radice θε- → τίθημι (“porre”).

Radice ἱε- → ἵημι (“mandare”).

Radice ζη- → δίζημαι (“cercare”).

Al plurale, queste forme non hanno l’allungamento:δίδομεν, ἵσταμεν, τίθεμεν, ἵεμεν.

Anche nei poemi omerici troviamo esempi arcaici di questo fenomeno, come διδέντων (Il. XI, 105) o διδόντων (Od. XII, 54).

Ci sono poi radici come βα- (βιβάζω → “far salire”), oppure χρα- e κίχρημι, che mostrano forme analoghe.

Esiste infine un tipo di raddoppiamento con nasale, come in πίμπλημι (“riempio”) e πίμπρημι (“accendo”), derivati da radici πλα, πρα (cfr. πλήθω, πρήθω).

Temi raddoppiati con vocale legativa

Alcuni verbi mostrano raddoppiamento unito a vocale di collegamento:

γίγνομαι (da rad. γεν-, “nascere, diventare”),

πίπτω (da rad. πετ-, “cadere”),

μίμνω (da rad. μεν-, “rimanere”),

ἵζω (da rad. ἐδ-, “sedere”).

Altri derivati con suffisso -σκ- (con valore iterativo o ingressivo) mostrano anch’essi raddoppiamento:λιλαίομαι, γιγνώσκω, διδράσκω, τιτύσκομαι, πιφαύσκω.

Raddoppiamenti conservati in altri tempi

Il raddoppiamento può apparire anche in altri tempi verbali. Ad esempio:

ἰαύω da rad. ἀξ,

ἰάπτω, ἰάχω, ἰάλλω,

διδάσκω (insegnare), con futuro διδάξω (Odissea XIII, 358).

Raddoppiamenti particolari

Esistono raddoppiamenti con dittongo (δαιδάλλω, παιπάλλω, παιφάσσω, ποιπνύω, δείδω, δειδίσκομαι), oppure con nasale e semplificazione della radice (παμφαίνω).

Altri esempi irregolari si conservano in forme come:παπταίνω (da rad. πτα-), πτήσσω, ἀραρίσκω, μαρμαίρω, μερμηρίζω, καχλάζω, παφλάζω.

Suffisso in -νυμι e varianti

Il tema del presente può formarsi con il suffisso -νυμι, spesso accompagnato da un allungamento della vocale radicale:

con allungamento → ζεύγνυμι (congiungere), δείκνυμι (mostrare), ῥήγνυμι (spezzare), πήγνυμι (fissare).

senza allungamento → ὄρνυμι (alzare), ἕννυμι (rivestire).

Alcune forme derivano da processi di assimilazione:

ὄλλυμι (distruggere) da una radice ὀλν-,

στορέννυμι da στορεσ- (rad. στορες).

Un altro suffisso affine è -να, che si trova in:

δάμνημι (domare),

κίρνημι = κεράννυμι (mescolare),

σκίδνημι (disperdere), accanto a σκεδάννυμι,

πίλναμαι (avvicinarsi).

Talvolta si combina con il suffisso -ja: ἱκνέομαι, κυνέω, δαμνάω.

Con il solo suffisso -ν troviamo: πίνω (bere), τίνω (pagare), κάμνω (faticare), δάκνω (mordere), τέμνω (tagliare), φθάνω (prevenire), φθίνω (consumarsi).

Con il suffisso -αν: ἱκάνω (giungere, da cui ἱκανός = sufficiente), κιχάνω (raggiungere), αὐξάνω (crescere), ἁμαρτάνω (sbagliare).

Vi sono anche casi di infisso nasale: λαγχάνω (ottenere), λανθάνω (sfuggire), λαμβάνω (prendere), θιγγάνω (toccare), μανθάνω (imparare), χανδάνω (contenere).

Suffisso -j- (yod) e sue trasformazioni

Il suffisso -j- può apparire in forme diverse:

come vocale stabile: δαίομαι (da rad. δα-, cf. ἐδασάμην), ἰδίω.

vocalizzato → βαίνω (= ant. βανjω, da rad. βα-), φαίνω, τείνω, πείρω, εἴλω, κρίνω, πλύνω, κλίνω.

fuso in suono doppio: ὄζω, ἔζομαι, φράζω, κράζω, τάσσω, πτήσσω, πτύσσω, φρίσσω, λίσσομαι.

assimilato: ἅλλομαι (cfr. lat. salio), βάλλω, θάλλω, πάλλω, σφάλλω, ἀγγέλλω, στέλλω, ὀφέλλω (a confronto con ὀφείλω).

caduto tra vocali: ὀπύω accanto a ὀπυίω, come φύω in eolico φυίω.

Suffisso -σκ- (incoativo e iterativo)

Il suffisso -σκ- serve a formare verbi con valore incoativo (inizio di un’azione) o iterativo (ripetizione). È paragonabile al suffisso diminutivo -ισκος (νεανίσκος = giovinetto).

Esempi:

incoativi → βάσκω, φάσκω, θνήσκω (morire).

con raddoppiamento → γιγνώσκω, διδράσκω, πιφαύσκω, μιμνήσκω.

con vocale ausiliaria → ἀρέσκω, ἁλίσκομαι, ἀραρίσκω, εὑρίσκω, ἐπαυρίσκω.

denominativi → γηράσκω (invecchiare).

In certi casi una consonante radicale è caduta prima del suffisso: διδάσκω (da rad. διδαχ), δειδίσκομαι (rad. δικ), εἴσκω (rad. ἰκ), τιτύσκομαι (rad. τυκ).

Forme speciali: πάσχω (da rad. παθ-), ἔρχομαι (da ἐρσκ-).

Suffisso dentale -τ- / -τα-

Il suffisso -τ- si aggiunge spesso dopo labiali, gutturali o vocali, con valore determinativo (simile al participio passivo):

τύπτω (colpire, da rad. τυπ-),

κρύπτω (nascondere, cf. κρύφα),

ῥάπτω (cucire, cf. ῥαφή),

θάπτω (seppellire, cf. ἔταφον),

βάπτω (immergere, cf. βαφή),

ἄπτω (attaccare, cf. ἀφή).

Dopo gutturali: τίκτω (generare, da rad. τεκ-), πέκτω (cuocere).Dopo vocali: ἀνύτω (portare a compimento, accanto a ἀνύω).

Suffisso aspirato

Alcuni presenti mostrano un suffisso aspirato, che funge da determinativo della radice:

πρήθω, πλήθω, φθινύθω, ἔσθω/ἐσθίω, ἀΐσθω, θαλέθω.Forme omeriche: ἠγερέθονται; esempi epici come ὀρέχθεον (da ὀρέγω).

Verbi in ω e in μι

Il sistema verbale del greco antico si articola in due grandi categorie: i verbi tematici (in -ω) e i verbi atematici (in -μι). Questa distinzione non è solo scolastica, ma affonda le radici nell’indoeuropeo e riflette due diversi modi di coniugare i verbi. Comprendere a fondo questa differenza è essenziale per orientarsi tra le forme regolari e le irregolarità tipiche del greco classico.

Verbi in -ω (tematici)

Origine e definizione

I verbi in -ω sono detti tematici perché la radice verbale è sempre seguita dalla vocale tematica:

-ο- davanti a consonante,

-ε- davanti a vocale.

Questa vocale tematica deriva direttamente dall’indoeuropeo (-o / -e), che fungeva da “cuscinetto fonetico” tra radice e desinenza.

Struttura

Schema tipico:

Radice + vocale tematica (-ο-/ -ε-) + desinenza

Esempio: λύ-ο-μεν = radice λυ- + tema -ο- + desinenza -μεν

Desinenze tipiche (presente indicativo)

Attivo:

-ω, -εις, -ει, -ετον, -ετον -ομεν, -ετε, -ουσι(ν)

Medio-passivo:

-ομαι, -ῃ/-ει, -εται, -εσθον, -εσθον, -όμεθα, -εσθε, -ονται

Caratteristiche principali

Grande regolarità: i paradigmi seguono schemi uniformi;

enorme produttività: la maggior parte dei verbi greci appartiene a questa categoria;

sono la base delle forme più “standardizzate” della lingua, soprattutto in età ellenistica e nella koinè.

Meccanismo completo

Presente: radice + vocale tematica + desinenza.

Es.: λύ-ο-μεν.

Imperfetto: aumento sillabico o temporale + vocale tematica + desinenza.

Es.: ἔλυ-ο-μεν.

Futuro: radice + σ + vocale tematica + desinenza.

Es.: λύσω.

Aoristo sigmatico: radice + σα + vocale tematica + desinenza.

Es.: ἔλυσα.

Perfetto: raddoppiamento + radice + κα + desinenza.

Es.: λέλυκα.

Importanza

I verbi in -ω costituiscono la coniugazione produttiva del greco: ogni nuovo verbo creato (anche in età ellenistica e bizantina) segue questo schema. Sono dunque la “spina dorsale” della lingua.

Verbi in -μι (atematici)

Origine e definizione

I verbi in -μι sono chiamati atematici perché non hanno la vocale tematica: la radice si lega direttamente alla desinenza.

Sono più antichi, conservano tratti arcaici dell’indoeuropeo e per questo appaiono irregolari e meno uniformi.

Struttura

Schema tipico:

Radice + desinenza (senza vocale tematica)

Esempio: δίδωμι = radice δο- con raddoppiamento δι- + desinenza -μι.

Desinenze tipiche

Attivo:

-μι, -ς, -σι(ν), -τον, -τον, -μεν, -τε, -ᾱσι(ν)

Passivo:

-μαι, -σαι, -ται, -σθον, -σθον, -μεθα, -σθε, -νται

Notare: le desinenze -μι, -σι, -σαι sono arcaiche e non si trovano nei verbi in -ω.

Meccanismi morfologici

Presente: radice semplice, con raddoppiamento + desinenza.

Es.: δίδωμι (δο- → δι + δω + -μι).

Imperfetto: aumento, radice con raddoppiamento + desinenza.

Es.: ε-διδου-ν.

Futuro: regolare con σ + desinenza.

Es.: δώσω.

Aoristo: aumento + radice modificata e senza la fine sigmatica.

Es.: ἔδωκα, ἔθηκα, ἧκα, ἔστηκα (Nota: questi aoristi vengono chiamati aoristi cappatici, poiché terminano con κ).

Perfetto: raddoppiamento + aumento + desinenza cappatica.

Es.: δέδωκα

Principali verbi in -μι

δίδωμι (dare);

τίθημι (porre, collocare);

ἵημι (mandare, scagliare);

ἵστημι (collocare / stare);

φημί (dire, affermare).

Tutti altissima frequenza nei testi.

Caratteristiche distintive

Assenza di vocale tematica.

Uso di raddoppiamento o allungamento della radice (δίδωμι, τίθημι).

Alternanza di vocali brevi e lunghe (ἵημι → ἧκα).

Desinenze proprie, spesso diverse da quelle dei verbi in -ω.

Differenze strutturali tra verbi in -ω e in -μι

AspettoVerbi in -ω (tematici)Verbi in -μι (atematici)Vocale tematicaPresente (ο/ε)AssenteDesinenzeRegolari, più uniformiArcaiche (-μι, -σι, -ᾱσι)ProduttivitàMolto produttiviNon più produttivi in epoca classicaFrequenzaLa maggior parte dei verbiPochi, ma molto frequenti nei testiAoristoSigmatico (ἔλυσα)Con radice modificata (ἔδωκα, ἔθηκα, ἔστην)PerfettoRegolare (λέλυκα)Spesso irregolare (δέδωκα, τέθηκα, ἕστηκα)

Evoluzione storica

Greco arcaico: grande vitalità dei verbi in -μι, eredità indoeuropea.

Greco classico: prevalgono i verbi in -ω, i verbi in -μι restano ma si riducono.

Koinè ed età successive: i verbi in -μι tendono a regolarizzarsi sulla coniugazione in -ω (es. δίδωμι → διδῶ, che si comporta come un verbo contr. in -ω).

Greco moderno: sopravvive solo il sistema dei verbi in -ω.

Consigli pratici per lo studio

Impara bene i verbi in -ω: sono la base, regolari e numerosi.

Memorizza i paradigmi principali dei verbi in -μι (δίδωμι, τίθημι, ἵημι, ἵστημι, φημί): pochi, ma fondamentali.

Fai attenzione all’aoristo: nei verbi in -μι è irregolare e diverso dal modello dei verbi in -ω.

Ricorda la storia: i verbi in -μι sono forme arcaiche, quindi più irregolari, ma proprio per questo conservano un grande valore linguistico.

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