Il congiuntivo del greco antico

Nel sistema verbale greco antico, il congiuntivo (ὑποτακτική) rappresenta il modo dell’eventualità, della possibilità e della volontà.

Diversamente dall’indicativo, che esprime fatti reali o certi, e dall’ottativo, che proietta desideri o eventualità più remote, il congiuntivo si colloca in una dimensione intermedia: indica ciò che potrebbe accadere, ciò che si vuole che accada o ciò che si teme possa accadere, mantenendo un saldo legame con la realtà del parlante.

Il suo valore non è meramente temporale o fattuale, ma modale: dipende cioè dall’atteggiamento mentale di chi parla nei confronti dell’azione.

In termini semantici, si potrebbe definire il congiuntivo come il modo della volizione e dell’incertezza ragionata.

Definizione

Come riporta il libro Introduzione scientifica allo studio del greco e del latino di Ferdinand Baur, il congiuntivo è il modo della possibilità e della necessità che si esprime al presente per indicare un’azione immanente, all’aoristo come azione momentanea,

Ambito sintattico: autonomia e dipendenza

Il congiuntivo si manifesta in due grandi categorie d’uso:

  1. Congiuntivo indipendente, dove il verbo regge da sé la propria proposizione;
  2. Congiuntivo dipendente, quando il verbo è subordinato a un altro e ne dipende logicamente o semanticamente.

Nel primo caso, il congiuntivo è più vicino al parlante e alla sua volontà; nel secondo, assume una funzione grammaticale o subordinativa, regolata da particelle o congiunzioni specifiche.

Funzioni del congiuntivo dipendente

Come afferma il libro Nuovi itinerari alla scoperta del greco antico: le strutture fondamentali della lingua greca di Francesco Michelazzo, il congiuntivo indipendente può avere varie funzionalità:

a) Congiuntivo esortativo

È la forma con cui il parlante esorta o invita a compiere un’azione.

Si tratta di un modo del comando gentile, alternativo all’imperativo, ma più sfumato e partecipato.

L’oratore non impone, ma coinvolge: “andiamo”, “facciamo”, “non dimentichiamo”.

Questa sfumatura è rivelatrice della profonda dimensione dialogica della lingua greca, in cui la volontà non è mai puramente autoritaria, ma parte di una comunione di intenti.

Esempio:

Ἴωμεν εἰς τὴν ἀγορὰν.
«Andiamo al mercato.»

Spiegazione:

Il parlante include sé stesso nell’invito (“andiamo noi”), con una tonalità più partecipata e meno imperativa dell’imperativo vero e proprio.

È tipico della prima persona plurale, poiché il congiuntivo qui indica volontà collettiva o condivisa.

b) Congiuntivo dubitativo o deliberativo

Esprime l’incertezza del parlante davanti a una decisione da prendere o a un’azione da compiere.

È tipico del discorso interiore o argomentativo: un modo per rendere linguisticamente la riflessione o la perplessità.

Il congiuntivo, in questo caso, si fa veicolo del pensiero in atto, della mente che oscilla tra possibilità e scelte.

Esempio:

Τί ποιήσω;
«Che cosa devo fare? / Che farò?»

Spiegazione:

Qui il congiuntivo non indica un ordine, ma una riflessione interiore: il soggetto si chiede quale azione sia giusta o possibile.

È frequente nei dialoghi tragici o nei discorsi politici, quando il parlante medita su una decisione difficile.

c) Congiuntivo potenziale (raramente autonomo)

Pur non essendo frequente in forma autonoma, può apparire in contesti dove il parlante esprime una possibilità non remota, un evento atteso o presunto.

In tal senso, anticipa alcune funzioni che nell’italiano moderno sono affidate al futuro o al condizionale.

Esempio:

Ἐὰν ἔλθῃ, χαρῶ.
«Se verrà, gioirò.»

Spiegazione:

Il congiuntivo qui dipende da una condizione futura (“se verrà”), e rende l’azione possibile ma non certa.

Si tratta di un valore potenziale o eventuale, che mostra l’apertura del parlante verso un evento futuro ma non garantito.

Il congiuntivo dipendente nelle proposizioni

Nel campo delle proposizioni subordinate, il congiuntivo greco è largamente impiegato, soprattutto quando la relazione tra la principale e la subordinata implica intenzione, scopo, condizione o temporalità eventuale. Ecco le principali proposizioni in cui possiamo trovare il congiuntivo:

a) Proposizioni finali

In queste, il congiuntivo traduce il fine o lo scopo di un’azione.

È legato alla volontà del soggetto principale e indica qualcosa che non è ancora avvenuto, ma che si desidera o si teme che accada.

Questa relazione di proiezione verso il futuro è tipica del congiuntivo: l’azione subordinata non è mai data per certa, ma resta in sospeso.

b) Proposizioni temporali e condizionali

Quando l’azione subordinata dipende da una condizione futura o incerta, il congiuntivo appare per marcare l’ipoteticità del legame.

È una funzione che condivide con l’ottativo, ma più vicina alla concretezza: mentre l’ottativo si spinge nel dominio dell’irreale, il congiuntivo resta plausibile.

c) Proposizioni completive

In certi casi, il congiuntivo si trova dopo verbi di timore, comando o impedimento, in relazione a un’azione non ancora realizzata.

Qui il suo valore si avvicina a quello del desiderio o della precauzione: “temo che accada”, “ordino che si faccia”, “impedisco che si vada”.

Il congiuntivo funge da ponte tra la volontà e l’evento, esprimendo il grado di controllo che il parlante tenta di esercitare sulla realtà.

La dimensione temporale

Un tratto fondamentale del congiuntivo greco è l’assenza di una vera temporalità autonoma.

Le sue forme non esprimono un tempo “oggettivo” (come passato, presente, futuro), bensì un tempo relativo rispetto alla principale.

Ciò che conta non è quando l’azione si svolge, ma come essa si rapporta alla certezza o alla volontà.
Il tempo verbale, quindi, si sottomette alla modalità: l’aspetto modale prevale sull’aspetto temporale.

Valore stilistico o filosofico

Nel pensiero greco — soprattutto nella prosa attica e nella tragedia — il congiuntivo diventa strumento di espressione dell’anima razionale.

È il modo dell’azione non ancora compiuta, dell’intenzione ancora sospesa, della volontà che si interroga.

Attraverso di esso, il linguaggio greco rivela una straordinaria finezza psicologica: non distingue soltanto ciò che è accaduto da ciò che accadrà, ma ciò che potrebbe o dovrebbe accadere.

Nel teatro, per esempio, il congiuntivo è spesso impiegato nei momenti di dubbio o di decisione morale: la parola, prima di divenire azione, attraversa lo spazio del congiuntivo, ossia la zona dell’animo dove l’uomo riflette sul proprio destino.

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L’ottativo

La lingua greca antica, fra le più ricche e flessibili dell’antichità, offre un sistema verbale di straordinaria complessità, in grado di esprimere con finezza le sfumature del pensiero, del sentimento e dell’azione. All’interno di questo sistema, l’ottativo occupa un ruolo peculiare: è il modo della possibilità, del desiderio, della potenzialità.

La sua stessa denominazione deriva dal latino optativus, da optare, “desiderare”, e ciò rivela la sua natura originaria: l’ottativo nasce come modo espressivo del desiderio, ma nel corso dell’evoluzione del greco classico la sua funzione si amplia, assumendo anche valori ipotetici, potenziali e indiretti.

Se il congiuntivo, argomento trattato nel precedente articolo, tende a esprimere la volontà o l’eventualità nel presente e nel futuro, l’ottativo rappresenta invece un grado più debole di realtà, un’azione meno certa, più lontana o più desiderata che effettiva.

Pertanto, potremmo dire che l’ottativo non sia altro che il modo dell’“irrealtà possibile”: ciò che si potrebbe, vorrebbe o spererebbe che accadesse.

All’interno di quest’articolo troverai la sua origine, definizione, i vari tipi di ottativo esistenti e le funzioni che questo ricopre all’interno delle proposizioni

Origine dell’ottativo

Il greco antico, fra le lingue indoeuropee, è una delle pochissime a conservare integralmente l’ottativo nella sua struttura originaria e nel suo uso funzionale, accanto al sanscrito. Entrambe, infatti, mantengono vivo questo modo verbale che nelle altre lingue della stessa famiglia è andato via via perduto o confuso con altre modalità, come l’indicativo o il congiuntivo.

Questa fedeltà del greco alla forma indoeuropea primitiva rivela una spiccata sensibilità linguistica: la lingua greca ha saputo custodire, nei secoli, una distinzione sottile ma fondamentale tra ciò che è reale (espresso dall’indicativo), ciò che è possibile o voluto (espresso dal congiuntivo), e ciò che è solo desiderabile o ipotetico (espresso dall’ottativo).

Nelle epoche più antiche, e in particolare nel mondo epico omerico, l’ottativo è pienamente vitale. Esso risuona nelle invocazioni agli dèi, nei voti e nelle preghiere, ma anche nei discorsi dei personaggi, come segno di rispetto, speranza o timore. La poesia omerica, con la sua tensione costante tra destino e libertà, trova nell’ottativo lo strumento ideale per esprimere il desiderio umano di alterare un fato già scritto. In versi come εἴθε θάνοιμι πρὶν τοῦτον ἰδεῖν (“Magari morissi prima di vederlo!”), l’ottativo si fa voce del pathos e della disperazione, restituendo la profondità emotiva e la consapevolezza del limite umano.

Col passare dei secoli, tuttavia, il suo impiego comincia gradualmente a ridursi. Nel greco classico, l’ottativo rimane ancora molto usato, ma la sua funzione si specializza: diventa lo strumento del discorso indiretto, delle ipotesi più remote, e del desiderio più attenuato. Filosofi come Platone e storici come Tucidide lo adoperano con maestria, sfruttandone il valore di ipoteticità e distanza, che ben si adatta al linguaggio dell’analisi e della riflessione.

Nel greco tardo, invece, soprattutto con l’avvento della koinè ellenistica — la lingua comune del mondo ellenistico e poi del periodo romano — l’ottativo inizia una lenta ma inesorabile estinzione funzionale. Le sue forme, sempre più percepite come arcaiche e letterarie, vengono sostituite da costruzioni più semplici e dirette: il congiuntivo ne prende il posto nelle proposizioni finali e nelle ipotesi, mentre nelle espressioni di desiderio si diffondono perifrasi modali o l’uso dell’imperfetto con valore ottativo.Nel Nuovo Testamento e nei testi cristiani, l’ottativo sopravvive quasi soltanto in rare formule arcaizzanti, come reliquia di una lingua ormai trasformata.

Questo processo di declino non rappresenta una perdita puramente morfologica, ma riflette una trasformazione profonda del pensiero linguistico e culturale: la lingua del mondo ellenistico, più pratica e comunicativa, tende a privilegiare l’immediatezza e l’efficacia rispetto alla sfumatura e all’allusione. L’ottativo, che apparteneva a un mondo poetico, religioso e filosofico più meditativo, cede il passo a una lingua più diretta e pragmatica, segno del mutamento della mentalità e delle esigenze comunicative dell’epoca.

Definizione e funzioni

L’ottativo esprime un fatto non reale nel presente, possibile nel futuro, o ipotetico nel passato, ma sempre in un contesto di incertezza, desiderio o eventualità.

Può dunque indicare:

Desiderio o augurio (ottativo desiderativo)

Possibilità o potenzialità (ottativo potenziale)

Fatti riportati nel discorso indiretto (ottativo obliquo o dell’attrazione)

Usi particolari in subordinate ipotetiche o temporali

Analizziamoli in dettaglio:

1. L’ottativo desiderativo

È l’uso più antico e “puro” del modo.

L’ottativo desiderativo esprime un augurio, un desiderio o una volontà, e può riferirsi al presente o al futuro, talvolta con valore ottativo anche negativo.

Si trova spesso con particelle come εἴθε o εἰ γάρ, traducibili con “magari”, “oh potesse…”, “voglia il cielo che…”.

Esempi:

Εἴθε γένοιτο ταῦτα. → Magari ciò avvenisse!

Εἰ γὰρ ἔλθοι φίλος. → Oh, potesse venire l’amico!

Il desiderio può essere:

Realizzabile, quando si spera in qualcosa di possibile;

Irrealizzabile, quando l’azione è ormai fuori dalla realtà, e allora l’ottativo può anche assumere un valore ipotetico o irreale.

2. L’ottativo potenziale

In questo uso, l’ottativo indica una possibilità, una eventualità incerta.

È sempre accompagnato dalla particella ἄν (a volte anche ἄν enclitico), che ne rafforza il valore modale.

Corrisponde spesso all’italiano “potrebbe”, “forse accadrebbe”, “probabilmente…”.

Esempi:

Ταῦτα ἄν εἴποι τις. → Qualcuno potrebbe dire ciò.

Οὐκ ἂν ἐποίησεν τοῦτο. → Non l’avrebbe fatto.

Questo uso è tipico del discorso diretto e ha una sfumatura logica: il fatto non è reale ma potenzialmente possibile.

Si oppone al congiuntivo con ἄν, che esprime invece una possibilità più viva o immediata.

3. L’ottativo obliquo

È uno degli usi più importanti e più caratteristici della lingua greca.

Quando un discorso diretto (in cui c’è un congiuntivo o un indicativo) viene riportato indirettamente in dipendenza da un verbo al tempo storico (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto), il congiuntivo o l’indicativo vengono attratti nell’ottativo.

Esempio:

Discorso diretto: Ὁ ἄνθρωπος λέγει ὅτι ἔρχεται. → L’uomo dice che viene.

Discorso indiretto: Ὁ ἄνθρωπος εἶπεν ὅτι ἔλθοι. → L’uomo disse che veniva / sarebbe venuto.

Questa sostituzione si chiama “attrazione dell’ottativo” ed è un meccanismo fondamentale per mantenere la coerenza temporale nei periodi complessi.

Il greco, infatti, tende a far “retrocedere” i tempi verbali quando si passa da un discorso diretto a uno indiretto, esprimendo così la dipendenza logico-temporale dal verbo reggente.

L’uso dell’ottativo nelle frasi subordinate

L’ottativo appare anche in varie subordinate, soprattutto quando dipendono da un verbo al tempo storico. Gli usi principali sono:

Nelle subordinate ipotetiche:In combinazione con la particella εἰ, può esprimere condizioni potenziali o irrealizzabili nel passato.Es.: εἰ τοῦτο ποιοίης, καλῶς ἂν ἔχοι. → Se tu facessi questo, andrebbe bene.

Nelle temporali, relative, finali e consecutive:Quando il verbo reggente è al tempo storico, l’ottativo sostituisce il congiuntivo.Es.: Ἐπορεύετο ἵνα ἴδοι τὸν φίλον. → Andava per vedere l’amico.

L’ottativo e la sfumatura psicologica

L’ottativo non è soltanto un modo grammaticale: rappresenta una sfumatura mentale e affettiva.

Chi usa l’ottativo non descrive un fatto reale, ma immagina, spera, teme o suppone qualcosa che non è certo.

È quindi il modo della prudenza linguistica, del distacco, della cortesia e persino della delicatezza espressiva.

Per esempio:

Ἐβουλόμην ἂν εἰπεῖν τι. → Vorrei dire qualcosa (ma non oso).Qui l’ottativo potenziale attenua la forza dell’affermazione, rendendola più garbata e ipotetica.

Emergenza Coronavirus COVID-19: notizie e provvedimenti

Ordinanza del 2 giugno 2021 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. 

Ordinanza 29 maggio 2021 Ai fini del contenimento della diffusione del virus Sars-Cov-2, le attività economiche e sociali devono svolgersi nel rispetto delle “Linee guida per la ripresa delle attività economiche e sociali”, elaborate dalla Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome, come definitivamente integrate e approvate dal Comitato tecnico scientifico, che costituiscono parte integrante della presente ordinanza

Ordinanza 21 maggio 2021 Protocollo condiviso di aggiornamento delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus SARS-Cov-2/COVID-19 negli ambienti di lavoro.

Ordinanza 21 maggio 2021 Linee guida per la gestione in sicurezza di attivita’ educative non formali e informali, e ricreative, volte al benessere dei minori durante l’emergenza COVID-19.

Ordinanza 21 maggio 2021 Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19.

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