Elogio dei maestri e delle maestre
Il valore umano, civile e pedagogico della figura del maestro. Dai magister dell’antica Roma ai maestri di oggi: elogio di una missione che resiste all’epoca delle macchine.
“La scuola la fanno i maestri, non i ministri”
Manara Valgimigli
Felice Casorati, Gli scolari (1928)
Non appare inopportuno in apertura un rapido excursus storico. Nell’Enciclopedia Treccani in rete per la voce Maestro, affidata a un team di cinque autori, la qual cosa denota la particolare importanza riconosciuta tradizionalmente alla figura del maestro, si parte dall’etimologia latina: magister ha in sé magis, più, in contrapposizione a minister che ha in sé minus, meno. Etimologicamente il maestro è superiore al ministro per autorità. Già presso i Romani il termine passò dall’indicare il comandante in campo militare ad indicare chi si dedicava scolasticamente ad educare i fanciulli, il magister puerorum.
Con l’avvento del cristianesimo teologi della statura di Agostino di Tagaste e Tommaso d’Aquino composero entrambi un De magistro. Per Agostino maestro è soltanto Dio, mentre per Tommaso è maestro l’uomo guidato da Dio verso la verità. Nel passaggio dal Medioevo all’Umanesimo l’istruzione fu affidata sempre più ai maestri, che nel Seicento cominciarono ad essere formati per l’istruzione popolare. Nel Settecento si afferma come “maestro dei maestri” Enrico Pestalozzi. I tempi erano ormai maturi per il riconoscimento fra Ottocento e Novecento dell’utilità sociale del maestro in campo internazionale.
Nel secondo dopoguerra durante alcuni decenni l’Italia si distinse per la volontà di recupero di valori morali e civili, destinata purtroppo ad essere contrastata in seguito