L’integrale nel ventre della matematica
La matematica che cresce e l’evoluzione dei suoi oggetti: il caso dell’integrale da Archimede a Riemann a Lebesgue. In che senso esiste una storia della matematica?
Si dice che una delle caratteristiche della matematica sia quella di risultare interamente cumulativa. Nulla, infatti, essa sconfessa mai delle proprie conquiste. Ciò che è stato riconosciuto vero continua ad esserlo: per sempre. In eterno!
I risultati si aggiungono ai risultati, in un processo che è decisamente accrescitivo. La matematica sembrerebbe così assimilabile a un grosso “sacco” che progressivamente si riempie, crescendo di volume e anche “di peso” — ammesso che il sapere abbia il suo peso.
Si potrebbe allora descrivere la storia della matematica come una successione di questi “sacchi” di saperi crescenti, ordinati cronologicamente e associati ciascuno alla testa del matematico più rappresentativo del tempo: Euclide, Archimede, Fermat, Newton, Gauss, Riemann, Poincaré, Hilbert… .
È una descrizione sorprendentemente realistica, che porta — tra l’altro — a chiedersi: quanta matematica può stare nella mente di un individuo? Poincaré e Hilbert sono universalmente riconosciuti come gli ultimi geni universali della matematica; dopo di loro, questo non è più accaduto. Eppure, in quel sacco, come nelle loro teste, i contenuti subiscono trasformazioni analoghe a quelle del cibo nel ventre di un organismo vivente: si scompongono, si combinano, si rinnovano. La matematica cresce proprio così — digerendo se stessa.
In effetti, quanto detto equivale anche ad affermare che gli oggetti della matematica, che riempiono quei “sacchi”, non sono sempre gli stessi: sono sottomessi alla storia, che