Desinenze primarie dell’ottativo dei verbi in ω

Nel panorama della morfologia verbale del greco antico, l’ottativo (ὀπτικόν, optativum) è un modo che esprime desiderio, possibilità, eventualità lontana, condizionale ipotetico. Viene adoperato anche per una maggiore delicatezza semantica e raffinatezza formale.

Non essendo un tempo, ma, come esplicitato poc’anzi, un modo può apparire nel presente, nell’aoristo, nel perfetto, ecc. Qui ci concentriamo sulle forme tematiche (verbi in -ω) e sulle desinenze caratteristiche dell’ottativo.

Nel lessico grammaticale spesso si parla di desinenze primarie (cioè quelle caratteristiche del sistema presente/futuro) e desinenze secondarie (quelle dell’aoristo/imperfetto). L’ottativo ha specifiche desinenze sue; per i verbi tematici distinguiamo soprattutto:

  • ottativo presente (o ottativo del sistema tematico): formato con il suffisso ottativo -οι- + le desinenze personali ottative;
  • ottativo aoristo: formato con -αι- + desinenze personali ottative (simile per struttura ma con vocale ottativa diversa).

Nella pratica scolastica si presentano spesso due famiglie: ottativo del presente, e ottativo dell’aoristo. All’interno di quest’articolo ci occuperemo soprattutto del present optative dei verbi in -ω e delle loro desinenze personali (quelle che l’utente ha chiamato “primarie”).

Le desinenze primarie dell’ottativo attivo

Le desinenze attive dell’ottativo presente nei verbi in -ω, come riportato dal libro Il nuovo greco di Campanini, risultano eleganti e regolari. Esse sono:

  • -οιμι (1ª singolare)
  • -οις (2ª singolare)
  • -οι (3ª singolare)
  • οιτον (2ª duale)
  • -οιτην (3ª duale)
  • -οιμεν (1ª plurale)
  • -οιτε (2ª plurale)
  • -οιεν (3ª plurale)

Nota: la 2ª persona singolare, oscillante tra οιο e -ου, testimonia due tendenze opposte: una più antica e analitica (ionico-attica), l’altra più contratta e tendenzialmente ellenistica.

Accento e ritmo delle forme ottative

L’accentazione dell’ottativo segue le regole generali della prosodia greca, ma offre una curiosa particolarità: la tendenza della forma a privilegiare un andamento recessivo, con accento che spesso risale verso la radice del verbo.

La presenza del dittongo οι nella sillaba finale, lungo per natura, influisce sulla collocazione dell’accento e contribuisce alla “cadenza sospesa” che caratterizza questo modo.

L’ottativo nel sistema verbale e nella sintassi

Nella prosa attica l’ottativo appare:

  • nel discorso indiretto, quando la reggente è al passato:
    ἔλεγον ὅτι λύοι (“dicevano che avrebbe potuto sciogliere”);
  • nella potenzialità remota, spesso con ἄν:
    λύοι ἄν (“potrebbe forse sciogliere”);
  • nel desiderio cortese, tipicamente introdotto da particelle quali εἴθε o εἰ γάρ:
    εἴθε λύοιμι (“magari potessi sciogliere”).

Nel periodo ipotetico, l’ottativo compare nelle protasi più distanti dalla realtà, legate a condizioni quasi irreali o immaginate.

Origine indoeuropea del suffisso -οι-

L’ottativo greco, come riportato da A. Meillet nell’“Introduction à l’étude comparative des langues indo-européennes”, deriva da un’antica formazione indoeuropea marcata da un suffisso vocalico formato da -yē/-ih₁-, che in greco ha subito una serie di trasformazioni fonetiche fino a stabilizzarsi nel dittongo -οι-.

  • In proto-indoeuropeo, l’ottativo aveva valore desiderativo o potenziale, attestato per esempio:
    • nel sanscrito (optativo in -yā-, -īyā-bhavāyām, “possa essere”)
    • nell’antico iranico (ahyā, dāyā)
    • in forme isolate dell’antico slavo ecclesiastico e del baltico.

Il greco è una delle lingue indoeuropee in cui il sistema ottativo è rimasto più produttivo e morfologicamente coerente.

Come nasce il -οι- greco?

Il passaggio ricostruito è il seguente:

  1. Suffisso indoeuropeo -yē- / -ih₁-
  2. Palatalizzazione e dittongazione → -yoi-
  3. Stabilizzazione attica → -οι-

Questa evoluzione spiega perché il dittongo οι sia percepito come intrinsecamente lungo, e dunque influenzi l’accentazione delle forme ottative.

L’evoluzione e declino dell’ottativo nella lingua greca

1 Età micenea e arcaica

Nel miceneo, l’ottativo esiste, ma è scarsamente attestato nelle tavolette in lineare B. Lo ritroviamo invece pienamente funzionante nell’Odissea e nell’Iliade, dove:

  • esprime frequentemente desideri e preghiere;
  • si combina con particelle come κέ o κε (valore potenziale);
  • presenta maggiore libertà fonetica, con alternanze come -οιη/-οιμι, più poetiche.

2 Greco classico

Nell’attico l’ottativo diventa:

  • uno strumento sintattico essenziale nel discorso indiretto al passato (regola del backshifting);
  • un marcatore di cortesia e desiderio;
  • la forma del “potenziale” remota con ἄν.

Le forme duali sono rare nella prosa classica (tranne Erodoto), ma perfettamente funzionanti in poesia.

3 Età ellenistica

In questo periodo si assiste al declino progressivo dell’ottativo:

  • il modo è sempre meno usato;
  • viene spesso sostituito dal congiuntivo con particelle modali;
  • nelle lingue della koiné (soprattutto nei Vangeli) quasi scompare.

Le forme duali diventano puramente letterarie.

4 Greco tardo e bizantino

L’ottativo sopravvive solo in:

  • formule fisse;
  • citazioni classiche;
  • testi poetici.

È completamente sostituito da nuove perifrasi modali, in particolare con θέλω + infinito.

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L’ottativo

La lingua greca antica, fra le più ricche e flessibili dell’antichità, offre un sistema verbale di straordinaria complessità, in grado di esprimere con finezza le sfumature del pensiero, del sentimento e dell’azione. All’interno di questo sistema, l’ottativo occupa un ruolo peculiare: è il modo della possibilità, del desiderio, della potenzialità.

La sua stessa denominazione deriva dal latino optativus, da optare, “desiderare”, e ciò rivela la sua natura originaria: l’ottativo nasce come modo espressivo del desiderio, ma nel corso dell’evoluzione del greco classico la sua funzione si amplia, assumendo anche valori ipotetici, potenziali e indiretti.

Se il congiuntivo, argomento trattato nel precedente articolo, tende a esprimere la volontà o l’eventualità nel presente e nel futuro, l’ottativo rappresenta invece un grado più debole di realtà, un’azione meno certa, più lontana o più desiderata che effettiva.

Pertanto, potremmo dire che l’ottativo non sia altro che il modo dell’“irrealtà possibile”: ciò che si potrebbe, vorrebbe o spererebbe che accadesse.

All’interno di quest’articolo troverai la sua origine, definizione, i vari tipi di ottativo esistenti e le funzioni che questo ricopre all’interno delle proposizioni

Origine dell’ottativo

Il greco antico, fra le lingue indoeuropee, è una delle pochissime a conservare integralmente l’ottativo nella sua struttura originaria e nel suo uso funzionale, accanto al sanscrito. Entrambe, infatti, mantengono vivo questo modo verbale che nelle altre lingue della stessa famiglia è andato via via perduto o confuso con altre modalità, come l’indicativo o il congiuntivo.

Questa fedeltà del greco alla forma indoeuropea primitiva rivela una spiccata sensibilità linguistica: la lingua greca ha saputo custodire, nei secoli, una distinzione sottile ma fondamentale tra ciò che è reale (espresso dall’indicativo), ciò che è possibile o voluto (espresso dal congiuntivo), e ciò che è solo desiderabile o ipotetico (espresso dall’ottativo).

Nelle epoche più antiche, e in particolare nel mondo epico omerico, l’ottativo è pienamente vitale. Esso risuona nelle invocazioni agli dèi, nei voti e nelle preghiere, ma anche nei discorsi dei personaggi, come segno di rispetto, speranza o timore. La poesia omerica, con la sua tensione costante tra destino e libertà, trova nell’ottativo lo strumento ideale per esprimere il desiderio umano di alterare un fato già scritto. In versi come εἴθε θάνοιμι πρὶν τοῦτον ἰδεῖν (“Magari morissi prima di vederlo!”), l’ottativo si fa voce del pathos e della disperazione, restituendo la profondità emotiva e la consapevolezza del limite umano.

Col passare dei secoli, tuttavia, il suo impiego comincia gradualmente a ridursi. Nel greco classico, l’ottativo rimane ancora molto usato, ma la sua funzione si specializza: diventa lo strumento del discorso indiretto, delle ipotesi più remote, e del desiderio più attenuato. Filosofi come Platone e storici come Tucidide lo adoperano con maestria, sfruttandone il valore di ipoteticità e distanza, che ben si adatta al linguaggio dell’analisi e della riflessione.

Nel greco tardo, invece, soprattutto con l’avvento della koinè ellenistica — la lingua comune del mondo ellenistico e poi del periodo romano — l’ottativo inizia una lenta ma inesorabile estinzione funzionale. Le sue forme, sempre più percepite come arcaiche e letterarie, vengono sostituite da costruzioni più semplici e dirette: il congiuntivo ne prende il posto nelle proposizioni finali e nelle ipotesi, mentre nelle espressioni di desiderio si diffondono perifrasi modali o l’uso dell’imperfetto con valore ottativo.Nel Nuovo Testamento e nei testi cristiani, l’ottativo sopravvive quasi soltanto in rare formule arcaizzanti, come reliquia di una lingua ormai trasformata.

Questo processo di declino non rappresenta una perdita puramente morfologica, ma riflette una trasformazione profonda del pensiero linguistico e culturale: la lingua del mondo ellenistico, più pratica e comunicativa, tende a privilegiare l’immediatezza e l’efficacia rispetto alla sfumatura e all’allusione. L’ottativo, che apparteneva a un mondo poetico, religioso e filosofico più meditativo, cede il passo a una lingua più diretta e pragmatica, segno del mutamento della mentalità e delle esigenze comunicative dell’epoca.

Definizione e funzioni

L’ottativo esprime un fatto non reale nel presente, possibile nel futuro, o ipotetico nel passato, ma sempre in un contesto di incertezza, desiderio o eventualità.

Può dunque indicare:

Desiderio o augurio (ottativo desiderativo)

Possibilità o potenzialità (ottativo potenziale)

Fatti riportati nel discorso indiretto (ottativo obliquo o dell’attrazione)

Usi particolari in subordinate ipotetiche o temporali

Analizziamoli in dettaglio:

1. L’ottativo desiderativo

È l’uso più antico e “puro” del modo.

L’ottativo desiderativo esprime un augurio, un desiderio o una volontà, e può riferirsi al presente o al futuro, talvolta con valore ottativo anche negativo.

Si trova spesso con particelle come εἴθε o εἰ γάρ, traducibili con “magari”, “oh potesse…”, “voglia il cielo che…”.

Esempi:

Εἴθε γένοιτο ταῦτα. → Magari ciò avvenisse!

Εἰ γὰρ ἔλθοι φίλος. → Oh, potesse venire l’amico!

Il desiderio può essere:

Realizzabile, quando si spera in qualcosa di possibile;

Irrealizzabile, quando l’azione è ormai fuori dalla realtà, e allora l’ottativo può anche assumere un valore ipotetico o irreale.

2. L’ottativo potenziale

In questo uso, l’ottativo indica una possibilità, una eventualità incerta.

È sempre accompagnato dalla particella ἄν (a volte anche ἄν enclitico), che ne rafforza il valore modale.

Corrisponde spesso all’italiano “potrebbe”, “forse accadrebbe”, “probabilmente…”.

Esempi:

Ταῦτα ἄν εἴποι τις. → Qualcuno potrebbe dire ciò.

Οὐκ ἂν ἐποίησεν τοῦτο. → Non l’avrebbe fatto.

Questo uso è tipico del discorso diretto e ha una sfumatura logica: il fatto non è reale ma potenzialmente possibile.

Si oppone al congiuntivo con ἄν, che esprime invece una possibilità più viva o immediata.

3. L’ottativo obliquo

È uno degli usi più importanti e più caratteristici della lingua greca.

Quando un discorso diretto (in cui c’è un congiuntivo o un indicativo) viene riportato indirettamente in dipendenza da un verbo al tempo storico (imperfetto, aoristo, piuccheperfetto), il congiuntivo o l’indicativo vengono attratti nell’ottativo.

Esempio:

Discorso diretto: Ὁ ἄνθρωπος λέγει ὅτι ἔρχεται. → L’uomo dice che viene.

Discorso indiretto: Ὁ ἄνθρωπος εἶπεν ὅτι ἔλθοι. → L’uomo disse che veniva / sarebbe venuto.

Questa sostituzione si chiama “attrazione dell’ottativo” ed è un meccanismo fondamentale per mantenere la coerenza temporale nei periodi complessi.

Il greco, infatti, tende a far “retrocedere” i tempi verbali quando si passa da un discorso diretto a uno indiretto, esprimendo così la dipendenza logico-temporale dal verbo reggente.

L’uso dell’ottativo nelle frasi subordinate

L’ottativo appare anche in varie subordinate, soprattutto quando dipendono da un verbo al tempo storico. Gli usi principali sono:

Nelle subordinate ipotetiche:In combinazione con la particella εἰ, può esprimere condizioni potenziali o irrealizzabili nel passato.Es.: εἰ τοῦτο ποιοίης, καλῶς ἂν ἔχοι. → Se tu facessi questo, andrebbe bene.

Nelle temporali, relative, finali e consecutive:Quando il verbo reggente è al tempo storico, l’ottativo sostituisce il congiuntivo.Es.: Ἐπορεύετο ἵνα ἴδοι τὸν φίλον. → Andava per vedere l’amico.

L’ottativo e la sfumatura psicologica

L’ottativo non è soltanto un modo grammaticale: rappresenta una sfumatura mentale e affettiva.

Chi usa l’ottativo non descrive un fatto reale, ma immagina, spera, teme o suppone qualcosa che non è certo.

È quindi il modo della prudenza linguistica, del distacco, della cortesia e persino della delicatezza espressiva.

Per esempio:

Ἐβουλόμην ἂν εἰπεῖν τι. → Vorrei dire qualcosa (ma non oso).Qui l’ottativo potenziale attenua la forza dell’affermazione, rendendola più garbata e ipotetica.

Il presente indicativo

In ogni lingua, il tempo presente è uno degli strumenti fondamentali con cui l’uomo esprime la realtà. Esso permette di collocare l’azione nel momento in cui si parla, ma non solo: descrive abitudini, stati permanenti, verità universali e persino azioni che stanno per cominciare. Per questo il presente è spesso il primo tempo verbale che si apprende e costituisce il punto di partenza per l’intero sistema verbale.

Nelle lingue moderne, come l’italiano, il presente verbale tende ad avere un significato prevalentemente cronologico: indica cioè un’azione che si svolge “ora” (es. scrivo una lettera). Tuttavia, già nel latino e ancor più nel greco antico, il concetto di presente non si limita al solo riferimento temporale, ma si intreccia con un’altra nozione fondamentale: l’aspetto verbale.

In greco, infatti, ciò che importa non è soltanto quando un’azione avviene, ma come viene concepita da chi la esprime: se come un processo in corso, un fatto compiuto una volta per tutte, oppure una condizione permanente. In questo sistema, il presente appartiene al tema del presente, che si caratterizza per il valore durativo o progressivo dell’azione: non un evento puntuale, ma un processo che si prolunga nel tempo o che si ripete abitualmente.

All’interno della vasta gamma dei modi verbali (indicativo, congiuntivo, ottativo, imperativo), il presente indicativo occupa una posizione centrale. È infatti la forma più neutra e diretta per esprimere il presente, quella che serve ad affermare fatti, descrivere la realtà così com’è percepita, oppure narrare eventi passati con vivacità attraverso il cosiddetto presente storico.

All’interno di quest’articolo, procederemo quindi con la spiegazione delle peculiarità del presente, analizzandone caratteristiche grammaticali e usi periodici. Se invece ti interessano delle nozioni maggiore su quella che è la struttura del verbo o del greco antico in generale, allora ti invito a consultare gli articoli che trovi nel nostro blog. Per di più, se conosci qualcuno che sia interessato allo studio della lingua greca, puoi condividere questo link sul tuo social preferito, così che lui possa trovare delle ottime risorse online gratuitamente.

Tema del presente

Il tema del presente, del quale le informazioni che riportiamo sono state tratte dal libro Introduzione scientifica allo studio del greco e latino di Ferdinand Baur, si costruisce in vari modi: può arricchirsi con vocali o consonanti aggiuntive, oppure subire ampliamenti della radice all’inizio, nel mezzo o alla fine. In certi casi questi mutamenti sono così marcati da rendere la forma molto diversa dalla radice originaria. Ogni formazione, in base al suffisso o all’infisso impiegato, porta con sé un valore particolare: può essere intensivo, durativo, incoativo (cioè indicare l’inizio dell’azione), iterativo (ripetizione), desiderativo, causativo, intransitivo o passivo.

Il presente si distingue dall’imperfetto grazie alle desinenze primarie, anche quando l’imperfetto non presenta l’aumento, mentre si differenzia dall’aoristo forte sia per la presenza dell’aumento sia per gli ampliamenti caratteristici della radice.

Valori e usi

Il presente indicativo esprime generalmente:

Azione attuale → ciò che accade nel momento in cui si parla.γράφω τὴν ἐπιστολήν → “scrivo la lettera (ora)”.

Azione abituale → ciò che si compie regolarmente o di solito.οἱ ἄνθρωποι ζητοῦσι τὴν εὐδαιμονίαν → “gli uomini cercano la felicità”.

Verità universali → leggi di natura o verità eterne.ὁ ἥλιος ἀνατέλλει → “il sole sorge”.

Valore storico (presente storico) → un’azione passata, narrata però al presente per vivacità.λέγει ὁ ποιητής → “disse il poeta” (letteralmente: “dice”).

Valore conativo (o incoativo) → esprime un’azione che sta per iniziare.βαδίζω → “sto per mettermi in cammino”.

Presente intensivoIl verbo, spesso con raddoppiamento, rafforza l’idea dell’azione, mostrando insistenza o energia.

δίδωμι → “do con insistenza / con forza”.

πίμπρημι → “incendio con violenza”.

Presente durativoRende l’azione come prolungata nel tempo, senza indicarne la conclusione.

μένω → “rimango, sto fermo”.

καθεύδω → “dormo (continuativamente)”.

Presente incoativo (nel senso originario)Non solo conativo, ma anche con valore di “cominciare a”.

γηράσκω → “comincio a invecchiare”.

ὀργίζομαι → “comincio ad adirarmi”.

Presente iterativoEsprime un’azione ripetuta più volte. Spesso si lega a suffissi o alla forma epica.

πάλλω → “scuoto ripetutamente”.

διώκω → “inseguo (più volte, insistentemente)”.

Presente desiderativoIndica la volontà o il desiderio di compiere un’azione, a volte tramite forme particolari.βουλομαι → “voglio”ἐθέλω → “ho l’intenzione, desidero”

Presente causativoIl verbo non esprime più l’azione diretta, ma il fatto di “far fare” a qualcun altro.καθίζω → “faccio sedere” (da κάθημαι = “siedo”)δείκνυμι → “mostro, faccio vedere”

Presente intransitivoAlcuni verbi indicano stati o azioni che non passano a un oggetto.ἔρχομαι → “vado”ἵσταμαι → “mi fermo, sto in piedi”

Presente passivoEsplicita che il soggetto subisce l’azione.γράφεται → “è scritto”πείθομαι → “sono persuaso / obbedisco”.

Tema del presente coincidente con la radice

In alcuni casi il tema del presente coincide esattamente con la radice, senza l’aggiunta di vocali leganti.

Quando la radice termina in vocale, ad esempio con φα, nelle forme plurali si hanno esiti come ἴμεν, ἴτε, ἴασι oppure φαμέν, φατέ, φᾶσί (quest’ultima dal dorico φαντί);

al singolare, invece, la vocale della radice tende ad allungarsi: così si spiegano forme come εἶμι e φημί. La differenza tra singolare e plurale è antichissima: nel singolare la radice viene rafforzata per compensare la brevità delle desinenze, mentre nel plurale, essendo le desinenze più pesanti, la radice resta più debole.

Un caso analogo si trova con le radici consonantiche: ad esempio ἐς, da cui deriva εἰμί (= ἐσμί), con la variante eolica ἐμμί.

Quando invece c’è una vocale di collegamento, troviamo verbi come τίω (onorare), φέρω, λέγω.

Rafforzamento della vocale radicale

La vocale della radice semplice può anche essere rafforzata nel presente:

Quando non c’è vocale legante, questo rafforzamento si trova in particolare nelle forme del singolare indicativo dei verbi primitivi. Ad esempio, la radice ει dà origine a εἶμι, εἰς, εἶ (= εἰσι), con la 2ª singolare εἶσθα e la 3ª singolare εἶσι. In greco, nei verbi della serie in -ημι, la η rimane anche nelle forme del plurale. Lo stesso si nota in alcune varianti dialettali di verbi originariamente in -έω, come ὅρημι, φόρημι, αἴτημι;

quando il presente si forma con una vocale legativa, l’allungamento della radice è molto frequente. Alcuni esempi:φεύγω da φυγ-λείπω da λιπ-λήθω da λαθ-τήκω da τακ-τεύχω da τυχ-τρώγω da τραγ-τίω da τις-

per i verbi in -έω, come ῥέω, χέω, πλέω, derivati da radici in υ (ρυ, χυ, πλυ), il presente originariamente mostrava un allungamento della υ in ευ. Con il tempo, tuttavia, la combinazione ευ subì un’ulteriore trasformazione: l’υ si indebolì, mutandosi in ϝ (digamma), e poi andò perduto. Un fenomeno analogo si nota in γλυκύς (dolce), genitivo γλυκέος, da una forma più antica γλυκερος. Inoltre, alcuni verbi svilupparono un allungamento ulteriore, ad esempio:πλώω, ῥώω, χώομαι rispetto al più frequente epico πλείω.

Presente con raddoppiamento

Un altro processo tipico è la formazione del presente tramite raddoppiamento della radice, spesso accompagnato dall’allungamento della vocale radicale al singolare. Questo tipo di presente ha valore intensivo o durativo.

Esempi:

Radice δο- → presente δίδωμι (sing. δίδω, δίδως, δίδωσι).

Radice στα- → ἵστημι (“porre, collocare”).

Radice θε- → τίθημι (“porre”).

Radice ἱε- → ἵημι (“mandare”).

Radice ζη- → δίζημαι (“cercare”).

Al plurale, queste forme non hanno l’allungamento:δίδομεν, ἵσταμεν, τίθεμεν, ἵεμεν.

Anche nei poemi omerici troviamo esempi arcaici di questo fenomeno, come διδέντων (Il. XI, 105) o διδόντων (Od. XII, 54).

Ci sono poi radici come βα- (βιβάζω → “far salire”), oppure χρα- e κίχρημι, che mostrano forme analoghe.

Esiste infine un tipo di raddoppiamento con nasale, come in πίμπλημι (“riempio”) e πίμπρημι (“accendo”), derivati da radici πλα, πρα (cfr. πλήθω, πρήθω).

Temi raddoppiati con vocale legativa

Alcuni verbi mostrano raddoppiamento unito a vocale di collegamento:

γίγνομαι (da rad. γεν-, “nascere, diventare”),

πίπτω (da rad. πετ-, “cadere”),

μίμνω (da rad. μεν-, “rimanere”),

ἵζω (da rad. ἐδ-, “sedere”).

Altri derivati con suffisso -σκ- (con valore iterativo o ingressivo) mostrano anch’essi raddoppiamento:λιλαίομαι, γιγνώσκω, διδράσκω, τιτύσκομαι, πιφαύσκω.

Raddoppiamenti conservati in altri tempi

Il raddoppiamento può apparire anche in altri tempi verbali. Ad esempio:

ἰαύω da rad. ἀξ,

ἰάπτω, ἰάχω, ἰάλλω,

διδάσκω (insegnare), con futuro διδάξω (Odissea XIII, 358).

Raddoppiamenti particolari

Esistono raddoppiamenti con dittongo (δαιδάλλω, παιπάλλω, παιφάσσω, ποιπνύω, δείδω, δειδίσκομαι), oppure con nasale e semplificazione della radice (παμφαίνω).

Altri esempi irregolari si conservano in forme come:παπταίνω (da rad. πτα-), πτήσσω, ἀραρίσκω, μαρμαίρω, μερμηρίζω, καχλάζω, παφλάζω.

Suffisso in -νυμι e varianti

Il tema del presente può formarsi con il suffisso -νυμι, spesso accompagnato da un allungamento della vocale radicale:

con allungamento → ζεύγνυμι (congiungere), δείκνυμι (mostrare), ῥήγνυμι (spezzare), πήγνυμι (fissare).

senza allungamento → ὄρνυμι (alzare), ἕννυμι (rivestire).

Alcune forme derivano da processi di assimilazione:

ὄλλυμι (distruggere) da una radice ὀλν-,

στορέννυμι da στορεσ- (rad. στορες).

Un altro suffisso affine è -να, che si trova in:

δάμνημι (domare),

κίρνημι = κεράννυμι (mescolare),

σκίδνημι (disperdere), accanto a σκεδάννυμι,

πίλναμαι (avvicinarsi).

Talvolta si combina con il suffisso -ja: ἱκνέομαι, κυνέω, δαμνάω.

Con il solo suffisso -ν troviamo: πίνω (bere), τίνω (pagare), κάμνω (faticare), δάκνω (mordere), τέμνω (tagliare), φθάνω (prevenire), φθίνω (consumarsi).

Con il suffisso -αν: ἱκάνω (giungere, da cui ἱκανός = sufficiente), κιχάνω (raggiungere), αὐξάνω (crescere), ἁμαρτάνω (sbagliare).

Vi sono anche casi di infisso nasale: λαγχάνω (ottenere), λανθάνω (sfuggire), λαμβάνω (prendere), θιγγάνω (toccare), μανθάνω (imparare), χανδάνω (contenere).

Suffisso -j- (yod) e sue trasformazioni

Il suffisso -j- può apparire in forme diverse:

come vocale stabile: δαίομαι (da rad. δα-, cf. ἐδασάμην), ἰδίω.

vocalizzato → βαίνω (= ant. βανjω, da rad. βα-), φαίνω, τείνω, πείρω, εἴλω, κρίνω, πλύνω, κλίνω.

fuso in suono doppio: ὄζω, ἔζομαι, φράζω, κράζω, τάσσω, πτήσσω, πτύσσω, φρίσσω, λίσσομαι.

assimilato: ἅλλομαι (cfr. lat. salio), βάλλω, θάλλω, πάλλω, σφάλλω, ἀγγέλλω, στέλλω, ὀφέλλω (a confronto con ὀφείλω).

caduto tra vocali: ὀπύω accanto a ὀπυίω, come φύω in eolico φυίω.

Suffisso -σκ- (incoativo e iterativo)

Il suffisso -σκ- serve a formare verbi con valore incoativo (inizio di un’azione) o iterativo (ripetizione). È paragonabile al suffisso diminutivo -ισκος (νεανίσκος = giovinetto).

Esempi:

incoativi → βάσκω, φάσκω, θνήσκω (morire).

con raddoppiamento → γιγνώσκω, διδράσκω, πιφαύσκω, μιμνήσκω.

con vocale ausiliaria → ἀρέσκω, ἁλίσκομαι, ἀραρίσκω, εὑρίσκω, ἐπαυρίσκω.

denominativi → γηράσκω (invecchiare).

In certi casi una consonante radicale è caduta prima del suffisso: διδάσκω (da rad. διδαχ), δειδίσκομαι (rad. δικ), εἴσκω (rad. ἰκ), τιτύσκομαι (rad. τυκ).

Forme speciali: πάσχω (da rad. παθ-), ἔρχομαι (da ἐρσκ-).

Suffisso dentale -τ- / -τα-

Il suffisso -τ- si aggiunge spesso dopo labiali, gutturali o vocali, con valore determinativo (simile al participio passivo):

τύπτω (colpire, da rad. τυπ-),

κρύπτω (nascondere, cf. κρύφα),

ῥάπτω (cucire, cf. ῥαφή),

θάπτω (seppellire, cf. ἔταφον),

βάπτω (immergere, cf. βαφή),

ἄπτω (attaccare, cf. ἀφή).

Dopo gutturali: τίκτω (generare, da rad. τεκ-), πέκτω (cuocere).Dopo vocali: ἀνύτω (portare a compimento, accanto a ἀνύω).

Suffisso aspirato

Alcuni presenti mostrano un suffisso aspirato, che funge da determinativo della radice:

πρήθω, πλήθω, φθινύθω, ἔσθω/ἐσθίω, ἀΐσθω, θαλέθω.Forme omeriche: ἠγερέθονται; esempi epici come ὀρέχθεον (da ὀρέγω).

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