25 novembre 2025: la violenza di genere è scritta nel DNA maschile?

Pubblicato il 24 Novembre 2025 da • Ultima revisione: 24 Novembre 2025

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La violenza di genere è un’emergenza gravissima nel nostro paese, radicata in modelli culturali che attribuiscono da sempre agli uomini una posizione di superiorità e alle donne un ruolo subordinato, in ogni campo della vita sociale.

Per questa ragione, che da anni anima fortemente il dibattito pubblico, appare ancora più incredibile la dichiarazione del Ministro della Giustizia Carlo Nordio alla Conferenza internazionale contro il femminicidio.

Durante il suo intervento, il Ministro ha affermato nello sconcerto generale che gli uomini mostrano una forte resistenza ad accettare la parità di genere perché questa sarebbe «scritta nel loro DNA». L’affermazione è documentata e verificabile attraverso le più disparate cronache politiche e nazionali.

Questa dichiarazione, ben lungi dal poter essere liquidata come un’opinione personale del Ministro e provenendo dal principale responsabile dell’indirizzo governativo in materia di giustizia, introduce un nodo cruciale: attribuire alla biologia una parte della responsabilità nella radice della disuguaglianza, agita talvolta con profili anche di rilevanza penale, rischia di trasformare un fenomeno storico, sociale e culturale in un destino naturale e inevitabile. Quindi, inarrestabile per sua natura.

E con il dovuto rispetto per l’autorità istituzionale che il Ministro rappresenta, questo articolo ha l’obiettivo di precisare – qualora ce ne fosse bisogno, ma ci pare di capire che ve n’è davvero, molto, bisogno – tutte le ragioni per cui tale impostazione è del tutto infondata sul piano scientifico, pericolosa su quello politico e distorsiva sotto il profilo concettuale.

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Radice genetica della violenza di genere: quali prove ci sono?

L’idea che la violenza di genere o la resistenza alla parità siano ”radicate nel DNA maschilenon trova alcun sostegno nelle evidenze scientifiche attualmente disponibili.

Non esiste ad oggi alcuna prova che comportamenti complessi come il dominio, la manipolazione o la sopraffazione siano determinati geneticamente o collegabili a un patrimonio biologico specificamente maschile.

Al contrario, la ricerca internazionale converge sul fatto che tali comportamenti dipendano da dinamiche culturali, educative e ambientali, non da predisposizioni innate.

Le implicazioni culturali dell’affermazione del Ministro sono, quindi, particolarmente rilevanti.

Se la disparità di genere viene interpretata come un tratto naturale degli uomini, si legittima l’idea che la violenza sia una conseguenza inevitabile di una natura biologica, e non il prodotto di modelli educativi, di ruoli sociali e di sistemi di potere che possono — e devono — essere trasformati.

Presentare la resistenza alla parità come un dato inscritto nel corredo genetico maschile significa creare i precedenti per assolvere gli uomini violenti, o quantomeno attenuare la loro responsabilità penale, morale e sociale, sul presupposto che non sia per loro possibile agire diversamente da così.

Le reali cause della disparità e violenza di genere

Checché ne dica il Ministro, e forse sarebbe il caso che chi di competenza lo chiamasse a rendere conto del fondamento delle sue affermazioni senza nascondersi dietro il solito mantello de “avete capito male, voleva dí n’artra cosa’’, la resistenza alla parità di genere e la violenza contro le donne sono fenomeni esclusivamente culturali e sociali, frutto di una secolare educazione al sessismo, alla supervalutazione di un genere in danno dell’altro, alla radicata convinzione che ci siano ruoli e modelli sociali cui uomini e donne devono attenersi perché è così che è scritto.

Ci sono almeno tre fattori determinanti a dimostrarlo:

  1. Lombroso è morto nel 1909 e le sue teorie erano già scientificamente infondate quando era vivo.
    Nessuno studio riconosciuto in ambito genetico, antropologico o neuroscientifico ha mai potuto dimostrare l’esistenza di un “gene della discriminazione e della violenza” o di un gene che induca gli uomini a opporsi alla parità. Più in generale, le istituzioni scientifiche internazionali hanno più volte ribadito che il comportamento violento non può essere attribuito a fattori genetici deterministici. Non esistono al momento dati che colleghino il sesso biologico a una predisposizione verso l’autoritarismo o la sopraffazione nelle relazioni
  2. Le statistiche sociali parlano
    Nei Paesi con livelli più alti di parità di genere, educazione al rispetto e politiche di prevenzione, i tassi di violenza domestica e di femminicidio sono generalmente più bassi rispetto ai Paesi con modelli culturali obsoleti e gerarchici. Questo dimostra che la violenza cambia con i contesti culturali, non con la biologia degli individui. Le variazioni territoriali dei fenomeni violenti non sono spiegabili da differenze genetiche — che non esistono — ma da differenze normative, educative e culturali. I Paesi scandinavi (Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Islanda) compaiono stabilmente ai primi posti del Global Gender Gap Report del World Economic Forum per equità di genere, istruzione, partecipazione economica, welfare familiare e prevenzione della violenza. Questi Paesi registrano tassi più bassi di omicidi femminili commessi da partner o ex partner rispetto alle medie globali (fonte: United Nations Office on Drugs and Crime – Global Study on Homicide 2019) e livelli più elevati di educazione al consenso e al rispetto, tematiche introdotte nei programmi scolastici già dagli anni ’90.
  3. Per i Paesi dell’Europa meridionale ed est-europea molte analisi comparate, basate su fonti ONU, chiariscono che le aree con: minore parità economica, minore indipendenza femminile, modelli familiari più tradizionalisti e minore welfare e accesso ai servizi, tendono a registrare più alta incidenza di violenza domestica (fonte: UN Women – Progress of the World’s Women, WHO Report on Violence Against Women “prevalence estimates 2000–2018”, UNODC Homicide Study).

Non esiste alcuna differenza genetica nel DNA degli uomini nativi di Paesi nordici e Paesi mediterranei o balcanici: cambiano solo norme culturali, ruoli sociali e condizioni strutturali offerte dalla politica e dal welfare di ciascuno Stato.

Quindi, come vogliamo concludere.. Sig. Ministro?

Vogliamo concludere ribadendo con forza che la violenza di genere – come la resistenza ad accettare la piena parità, che ne è una manifestazione specifica –  non ha alcun legame con il DNA maschile. È un fenomeno culturale costruito nel tempo, alimentato da stereotipi, diseguaglianze e rapporti di potere che possono essere modificati attraverso politiche pubbliche, educazione e trasformazione sociale.

Attribuirle una matrice biologica rappresenta una semplificazione priva di fondamento, un messaggio pericoloso per le nostre future politiche in tema di giustizia e, non ultimo, ha tanto il sapore di un tentativo maldestro di trovare una giustificazione a fatti sempre più ingravescenti, per l’incapacità di questo Stato di fornire una risposta forte, univoca e immediata al bisogno di giustizia delle vittime.

Per affrontare e contrastare efficacemente il gender gap e la violenza sulle donne occorre ribadire una verità essenziale: le radici sono culturali e ciò che è culturale può essere cambiato solo con interventi educativi e strutturali, soprattutto di matrice Statale e di welfare.

Dare la colpa alla biologia è soltanto un modo di indicare la luna dicendo a tutti che, se non splende abbastanza, è colpa del dito che le fa ombra.

Siamo più intelligenti di così, e questo sì: è scritto nel DNA.

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