Educare alla bellezza

Educare alla bellezza

di Margherita Marzario

Donald Winnicott, pediatra e psicoanalista, già a metà Novecento, sosteneva che “il bambino non esiste” e spiegava che non esiste “il bambino” in astratto ma sempre in relazione con altri esseri umani e con un ambiente. Questa realtà è tuttora ignorata dai principali soggetti educativi, genitori e insegnanti, che invece considerano un bambino astratto, teorico, quello che loro presuppongono.

L’uomo, a furia di mirare al possesso o consumo di cose, ne è posseduto. E la mentalità consumistica prodotta dagli adulti consuma pure la bellezza dell’infanzia rendendo bambini e ragazzi prede del marketing e instillando atteggiamenti a rischio che possono portare durante la crescita a ludopatia, obesità o altri disturbi.

Lo storico dell’arte Gustav Schörghofer scrive: “L’arte moderna ha rinunciato a raffigurare cose che sono al di là della nostra percezione immediata: non ci presenta mondi fantastici, ma ci prepara a riconoscere la realtà e a percepire in essa l’illuminazione di uno splendore nascosto. Addestra i nostri occhi a riconoscere la bellezza di ciò che non è visibile, ci mostra che c’è una grande magia da scoprire in ciò che è scartato dagli altri. In questo senso, affrontarla e sforzarsi di farlo è un esercizio che corrisponde all’atteggiamento dei bambini, che sono sempre in grado di vedere qualcosa di speciale in tutte le cose”. I bambini sono espressione di arte, hanno bisogno di arte, fanno arte. I genitori devono dare loro meno costosi dispositivi tecnologici di cui fruire passivamente e più materiale da toccare, manipolare, trasformare.

“L’arte in genere, in tutte le sue manifestazioni, si rivolge, infatti, alla complessità della dimensione umana (corpo, affettività, mente) e consente, con maggior forza ed immediatezza, l’espressione di sentimenti, emozioni e vissuti, favorendo autentiche forme di contatto e relazione con se stessi e con gli altri. La musica, la danza, il teatro e l’arte si offrono, in particolare, come spazio per poter esprimere tale dimensione emozionale, come contenitori in grado di accogliere e dare senso alle emozioni, di dare spazio al processo creativo, inteso come area di pensabilità, dove possono prendere forma, in quanto note, in quanto gesti, in quanto colore, aspetti che hanno a che fare con il non detto, con il non ancora pensato” (cit.). L’arte è stata anche una forma di evoluzione della specie umana, dalla preistoria all’antropocene, per cui bisogna “dare” arte ai bambini e educarli all’arte per lo sviluppo della loro personalità, della loro manualità e delle loro abilità, altresì per educarli alla bellezza, che non è solo un dato estetico. “7. Diritto ad essere educati alla bellezza. Bellezza delle parole, bellezza delle immagini, bellezza delle relazioni, bellezza della natura. Città grigie e inquinate, canzoni e film pieni di situazioni e parole ostili e volgari; musei, cinema e teatri con costi elevatissimi per genitori che ci vogliono accompagnare i figli: come possono i bambini imparare ad amare il bello quando non è loro reso accessibile e disponibile?” (dal “Decalogo per proteggere i nostri bambini” elaborato dallo psicoterapeuta Alberto Pellai nel 2018).

“Se la bellezza non è un mero optional, un lusso superfluo, ma una caratteristica essenziale dell’essere, occuparsene non è una mera esercitazione accademica o di circostanza, ma questione di vita o di morte: essa è indispensabile per una vita degna di questo nome” (lo studioso gesuita Giovanni Cucci). I bambini sono la bellezza della vita, hanno bisogno di bellezza, hanno diritto alla bellezza (in passato si parlava di educazione estetica e etica). Indici normativi si trovano nell’art. 9 della Costituzione e in più punti della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

I bambini sono fiori che non vanno colti ma coltivati affinché diano polline alle api di passaggio che continueranno a impollinare e a farne miele, fiori da non recidere ma da lasciare in giardino affinché tutti ne possano godere e vi si possano posare farfalle e altri insetti impollinatori.

I bambini colgono la luce della primavera, i bambini sono la luce dell’imperitura primavera, la dolcezza della vita.

Il pedagogista Daniele Novara richiama: “Lasciamo ai bambini la bellezza del pensiero magico. Diventeranno adulti più equilibrati, solidi e creativi. Diamo spazio ai sogni”. Il diritto ai sogni trova il suo fondamento nel diritto all’ascolto (art. 12 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), nella libertà di espressione (art. 13 Convenzione) e nella libertà di pensiero (art. 14 Convenzione).

Oggi si parla frequentemente di “parità di genere, uguaglianza di genere, quote di genere…”, che, però, si rivelano formule vuote. Bisogna rispettare la bellezza del genere, perché è la vita stessa. I bambini vanno educati al rispetto reciproco, alla biunivocità di diritti e doveri, perciò all’essere rispettati e al rispettare, “in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi…” (dall’art. 29 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Stare con i bambini è l’elisir dell’eterna giovinezza e gioia di vivere. “Ogni bambino ci dice nella sua maniera la bellezza e le ferite della vita e ci richiama anche alla nostra responsabilità. La sua nascita rappresenta un’esperienza nuova per l’umanità che gli deve ciò che essa ha di meglio” (dalla Charte du Bureau International Catholique de l’Enfance “Pour chaque enfant, un avenir”, Parigi giugno 2007).

I bambini educati alla meraviglia e alla bellezza del mondo salveranno il mondo o quello che ne rimarrà. Gli adulti, però, continuano ad essere incoerenti: producono e provocano bruttezze e brutture e, poi, parlano di educazione allo sviluppo sostenibile.

“Chi ha avuto un’esperienza personale di espressione nell’amore poi riesce a donarla anche agli altri: tutto dipende dalle relazioni vissute nell’infanzia. Tutti i neonati sono predisposti e se fanno questa esperienza poi saranno adulti capaci di amare. Ogni bambino è migliore di come nasce: dentro di lui c’è qualcosa, una sua identità e qualità che prescinde dai genitori e dalle situazioni nelle quali è venuto al mondo. Tutti i bimbi sono bellissimi e sono sempre più forti della sovrastruttura che gli vogliamo imporre: loro la attraversano e la sovvertono, insegnandoci inconsciamente a ritrovare qualche traccia della straordinaria dimensione della nostra fanciullezza. Ma bisogna essere veramente forti per recuperare la nostra bellezza originaria e non perderla nella quotidianità. Generalmente abbiamo paura di ciò che ci mette in discussione e il bambino è colui che lo fa meglio: approfittiamone e non abbandoniamo mai i nostri sogni! Quello che resta è immaginare il futuro, pensandolo più giusto per le persone che amiamo” (Andrea Satta, pediatra, musicista e scrittore). Anche se non è formalmente sancito, ognuno ha diritto al futuro e, soprattutto, ogni bambino ha diritto al suo futuro.

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Luci e ombre della scuola dell’infanzia

Luci e ombre della scuola dell’infanzia

di Margherita Marzario

“La scuola, per esempio, è un’istituzione al servizio degli alunni. Lo diceva anche don Lorenzo Milani […], il quale affermava che per essere moderna una scuola deve avere la porta aperta sul mondo. Quindi, il principio secondo cui nessuno deve restare indietro e rimanere escluso è la condicio sine qua non perché una scuola sia davvero accogliente” (il giornalista Claudio Imprudente). La scuola che corrisponde a quest’immagine è la scuola dell’infanzia in cui l’accoglienza è un aspetto sostanziale che, invece, dovrebbe essere presente in ogni scuola perché la scuola è un ambiente di vita quotidiana in cui ogni bambino o ragazzo ci entra e ci rimane non solo come alunno ma come persona in fase di crescita (si legga, tra l’altro, l’art. 2 Cost.).

Lo psicologo Ezio Aceti ha proclamato: “La scuola dell’infanzia è la scuola più importante del mondo. È scuola, non università” (in una lectio magistralis a Matera il 9 ottobre 2023). In Italia la scuola dell’infanzia è l’unica a essere denominata con un complemento di specificazione e non con un aggettivo, come avveniva prima quando era chiamata “scuola materna”. Questo dovrebbe far riflettere genitori, operatori scolastici e adulti tutti.

La formatrice Maurizia Butturini afferma: “Educatori e insegnanti del nido e della scuola dell’infanzia, con un pensiero pedagogico, predispongono situazioni ed esperienze per rispondere ai bisogni di ciascun bambino e bambina, per conoscerlo nella propria unicità e per poi progettare in sintonia con potenzialità e interessi di tutti”. Lavorare con i bambini dagli 0 ai 6 anni d’età richiede pazienza, passione, professionalità, programmazione e progettazione. Non è un lavoro basato sull’improvvisazione o spontaneismo, ma deve tener conto della spontaneità e delle altre caratteristiche di quell’età. È una professione, però, che ha una scarsa considerazione sociale e scarso ascolto dalle autorità competenti nei vari settori (a cominciare dall’edilizia scolastica).

“La scuola dell’infanzia rappresenta il momento di massimo sbilanciamento tra il “cervello emotivo” pienamente funzionante e il “cervello razionale” deputato all’autoregolazione e ancora in via di sviluppo. Questi anni sono caratterizzati da continue turbolenze emotive che, se adeguatamente gestite dall’adulto, possono andare a formare la base per lo sviluppo di una personalità serena, autoconsapevole e flessibile. Se queste turbolenze emozionali non vengono gestite possono irrigidirsi, mutando in stili emotivi e relazionali segnati dall’impulsività, dalla labilità e da possibili condotte aggressive” (un team di esperti). La scuola dell’infanzia non è la Cenerentola delle scuole, pur essendo considerata tale altresì in sedi istituzionali. Non è né l’asilo né la scuola materna di una volta. È scuola alla base delle altre ma con la peculiarità di essere l’unica con la specificazione “dell’infanzia”, per cui deve essere appartenente e pertinente all’infanzia e non agli adulti (con la loro mentalità o le loro dietrologie) cui si richiede, invece, “qualificazione” (art. 3 par. 2 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia).

Anche secondo Pietro Di Martino, matematico ed esperto di didattica della matematica “[…] il percorso formativo su competenze significative, da coltivare in seguito nello specifico ambito della matematica, può beneficiare molto del lavoro svolto nella scuola dell’infanzia, in particolare sulla competenza del problem solving. La scuola dell’infanzia, infatti, rappresenta l’ambiente ideale nel quale far esplorare e scoprire il mondo alle bambine e ai bambini, facendo emergere le loro curiosità, cercando e discutendo insieme le possibili risposte in un contesto non valutativo”. Coltivare, competenze di base, curiosità, cercare, con-testo: tra gli elementi costitutivi della scuola dell’infanzia (e non asilo). Altro che “scuola del girotondo”!

“Nella scuola dell’infanzia bisogna adottare la pedagogia delle tre A: attenzione, affettività, arte” (l’autrice per l’infanzia Paola Fontana). Anche la famiglia, culla dell’infanzia, dovrebbe adottare la pedagogia delle tre A da cui, poi, sviluppare tutto l’alfabeto della vita.

Ebbene “[…] occuparsi di educazione dell’infanzia significa anche occuparsi delle famiglie, contesti primari di appartenenza dei bambini e delle bambine, per accompagnarli nei cambiamenti che caratterizzano la crescita e l’educazione dei figli e che impongono progressivi ripensamenti anche su se stessi e sui propri progetti esistenziali” (cit.). Tra i vari soggetti educativi la scuola dell’infanzia riveste un ruolo determinante non solo per i bambini ma anche per i genitori, in particolare per i genitori dei primogeniti o degli unigeniti (per i quali rappresenta il primo approccio con l’istituzione scolastica), perché si rivela spesso, una “scuola dei genitori”, come auspicata da vari esperti (in primis il pedagogista Daniele Novara) e come si ricava dalle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012), dove si legge: “L’ingresso dei bambini nella scuola dell’infanzia è una grande occasione per prendere più chiaramente coscienza delle responsabilità genitoriali” (nel paragrafo “Le famiglie”). Per esempio i genitori dovrebbero comprendere che costringere i propri figli all’anticipo scolastico, sin dalla scuola dell’infanzia (anche quando agli occhi dei genitori sembrano spigliati), potrebbe significare sottrarre loro il giusto tempo di crescita e altro ancora. Altro che anticipare opportunità! Spesso sembra davvero una corsa che non porta da nessuna parte.

Inoltre, i genitori all’ingresso nella scuola dell’infanzia non dovrebbero chiedere di progetti di lingua inglese o altri progetti extracurriculari ma preoccuparsi piuttosto che i figli imparino a e possano esprimersi (art. 13 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) e comunicare tenendo conto anche dei crescenti disturbi del linguaggio o altri disturbi e difficoltà. Conoscere e parlare la lingua madre è fondamentale per la costruzione della propria identità per, poi, rispettare ogni altra cultura.

Bambini: chi li vizia, chi li sevizia. E può avvenire anche con un intervento educativo (o pseudo-tale) o con qualsiasi cosa quando si dice di volere loro bene o di farlo nel loro bene. Avviene sempre più spesso perché si sta perdendo (o si è perso) lo spirito di osservazione e conservazione dell’infanzia. Sembra che si stia realizzando la “profezia” della fiaba “Il pifferaio magico”.

Non si consente più ai bambini di essere bambini, che consiste anche nella gioia di scoprire le cose gradualmente e pure inconsapevolmente: nella scuola dell’infanzia si comincia precocemente con metodi di letto-scrittura, a seguire educazione sessuale e gender, progetti scolastici di ogni sorta, attività extracurricolari, quasi tutto con una visione adultocentrica. I bambini sono quel che sono, nel bene e nel male, fin quando si consente loro di essere così, nel bene e nel male. Se si smettesse di essere bambini si smetterebbe di crescere, di avere la gioia, l’entusiasmo, la curiosità dei bambini: dovrebbe essere questo il senso e il contenuto della tutela dei diritti dei bambini e non difenderli o difendersi “a spada tratta” in una continua “guerra” tra adulti: genitori e insegnanti, padre e madre, genitori e psicologi o assistenti sociali o altri esperti.

La pedagogista Rosalba Merola richiama: “Prevenire è meglio che curare. I problemi di apprendimento e di comportamento rappresentano un’importante sfida per gli insegnanti della scuola primaria, che devono affrontarli con attenzione e cura. Tuttavia, gli insegnanti della scuola dell’infanzia rivestono un ruolo altrettanto fondamentale, in quanto coinvolti nel processo di crescita e di apprendimento dei giovani allievi, e diventano agenti di prevenzione in quanto inseriti nell’intreccio di relazioni significative degli stessi. Al fine di preparare al meglio i bambini per il passaggio alla scuola primaria, è importante porre attenzione ai requisiti che permettono un apprendimento sereno e proficuo”. La scuola dell’infanzia è una scuola a tutti gli effetti ma non bisogna dimenticare il complemento di specificazione “dell’infanzia” che la distingue. Prepara al passaggio alla scuola della primaria ma non è l’anticamera della scuola primaria, ha una sua identità e specificità.

La scuola dovrebbe condurre non a separare i saperi ma a sceverare il sapere, come previsto per la scuola dell’infanzia nella quale si sperimentano i cosiddetti “campi di esperienza” come primo approccio al sapere, alla cultura e come prima produzione della stessa. “I bambini hanno diritto ad avere un sistema integrato tra scuola e istituzioni artistiche e culturali, perché solo un’osmosi continua può offrire una cultura viva” (art. 10 Carta dei diritti dei bambini all’arte e alla cultura, Bologna 2011). “Osmosi continua” e “cultura viva” di cui non si è tenuto conto nella DAD e nei LEAD in tempi di emergenza sanitaria.

Tra l’altro nella scuola dell’infanzia si gettano i semi della storia. “Ai giovani consiglio di prepararsi sapendo che se non conosci la storia non sai dove vai. Essa serve per capire i discorsi dei politici e farsi un parere, come la storia di un amico serve per capire se ti vuole bene. La storia è un termine di confronto” (la regista Liliana Cavani). La storia non è una materia scolastica, è materia di vita, è patrimonio (art. 9 Cost.). La passione (o meno) dei bambini e ragazzi per la storia dipende anche dal modo di raccontare e raccontarsi nella scuola dell’infanzia, che è luogo narrativo per eccellenza in cui si comincia a tessere l’identità narrativa di ogni bambino.

A proposito di “produzione della cultura” il formatore Stefano Centonze spiega: “La creatività richiede tempo, pazienza, sperimentazione, pratica e allenamento continui; per questo deve diventare un’abitudine. Molti suggerimenti ed esempi pratici ci vengono forniti da illustri personaggi del passato, che hanno contribuito a rivoluzionare la scienza e l’arte con la loro sorprendente capacità d’innovare. L’esempio più emblematico ci viene offerto da Leonardo da Vinci, celebre talento universale, vera e propria icona e incarnazione del periodo rinascimentale. I suoi tratti distintivi erano una curiosità insaziabile, la continua voglia di sperimentare, una grande concentrazione e consapevolezza di sé”. Il diritto al gioco (art. 31 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia) è il “diritto principe” che caratterizza l’infanzia e che dovrebbe tener presente la scuola, in particolare la scuola dell’infanzia, ricordando il significato etimologico di “scuola”, “stare in ozio, riposarsi, aver tempo, aver tempo di occuparsi di una cosa per divertimento”, che non deve però indurre a rendere la scuola una ludoteca.

Per “aver tempo di occuparsi di una cosa per divertimento” i bambini hanno bisogno non tanto di cose materiali (che, alla fine, sono asettiche, industriali, uguali) o ambienti di apprendimento immersivi quanto di esperienze materiche in cui sporcarsi le mani, procurarsi anche qualche graffio o taglietto, provare brividi o ribrezzo. Tra le migliori esperienze quelle con la carta, che è un materiale molto duttile che si presta a essere utilizzato in diverse attività, da quelle manipolative e sensoriali a quelle legate alla sperimentazione e all’invenzione di nuove forme. Tutto ciò serve per stimolare il loro sviluppo sensoriale e integrale, della memoria e del cosiddetto problem solving. Non se ne tiene conto, però, né in famiglia né a scuola, particolarmente nella scuola dell’infanzia, dove tante volte si usa materiale confezionato, plastificato, omologato, comprato ad hoc.

Per fare esperienza i bambini si servono e devono servirsi innanzitutto del corpo. “Il corpo è un veicolo fondamentale per l’apprendimento, e la consapevolezza corporea rappresenta una chiave per migliorare la concentrazione, il benessere e lo sviluppo delle capacità cognitive nei bambini e ragazzi. L’imitazione dei movimenti naturali degli animali offre un approccio ludico e immediato per connettere mente e corpo, stimolando anche creatività e fantasia” (cit.). Occorre che i bambini imparino a conoscere, riconoscere e rispettare il proprio corpo per imparare a conoscere, riconoscere e rispettare l’altro. L’educazione corporea, del corpo e alla corporeità è importante ai fini non solo della crescita ma dello sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale del fanciullo (art. 27 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). E in tutto questo gioca un ruolo essenziale la scuola dell’infanzia.

La scuola intesa come “stare in ozio, riposarsi, aver tempo” richiama la serenità, il “diritto alla serenità”, che differisce dalla felicità e dal benessere di cui si parla nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ma, al tempo stesso, li costituisce; si parla espressamente della serenità dei bambini nelle “Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione” del 2012 nella parte relativa alla scuola dell’infanzia: le esperienze traumatiche segnano per sempre i bambini e quanto viene distrutto in loro non esce più dalle macerie.

Oltre alle esperienze, i bambini hanno bisogno (di) e diritto alle regole. Le regole mirano alla regolazione (necessaria come la termoregolazione) e non all’obbedienza, non è dare limitazioni ma indicazioni. Le regole non devono essere ganci, come le bretelle che si usavano per far camminare i bambini ai loro primi passi, ma lanci per farli andare. Regolare non è limitare ma indirizzare, guidare, orientare, come si ricava da più locuzioni della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Quelle regole più volte richiamate nelle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione (2012), specificatamente nella parte relativa alla scuola dell’infanzia perché le regole sono alla base del vivere sociale.

Regolazione che, nella scuola dell’infanzia, si dà pure alle emozioni. L’infanzia non è l’età dell’innocenza ma l’età dell’esplosione emozionale, per cui i bambini non hanno bisogno di faccine stereotipate o colori indicati dagli adulti, come per esempio “la fifa blu”, per esprimere le “loro” emozioni e dare loro un nome: “Ormai anche le emozioni sono “iconizzate”, già dalla scuola dell’infanzia, invece i bambini devono e possono esprimerle liberamente” (la formatrice Eva Pigliapoco in un webinar del 26-10-2021). I bambini hanno bisogno di un alfabeto emozionale e di qualcuno che faccia loro da specchio in un meccanismo di co-regolazione. Non a caso nell’art. 12 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia si parla di ascolto e nel successivo art. 13 di diritto alla libertà di espressione.

I bambini devono potersi esprimere liberamente con i colori, con ogni colore. Talvolta nella scuola dell’infanzia, invece, si continua a trasmettere stereotipi: i colori delle emozioni (rosso come la rabbia o l’amore, blu come la fifa, …), il cielo rappresentato come una striscia celeste solo in alto sul foglio del disegno, le nuvole bianche, le foglie arancioni prevalentemente in autunno, non devono superare i contorni e non devono lasciare spazi bianchi (attività comunque necessarie)… I bambini sono artisti (non necessariamente alla Michelangelo), originali e unici e hanno il diritto di esprimersi e esprimere, usare tutte le tecniche, inventarsene di nuove. I bambini stessi sono colore e danno colore alla vita. L’educazione non deve portare all’emulazione di un modello, come si continua a fare nelle scuole, sin dalla scuola dell’infanzia dove si adottano o propongono metodi precostituiti, kit didattici che emulano pittori già affermati, schede fotocopiate, “lavoretti” per le feste comandate, senza tener conto dei moniti di grandi “maestri” da Mario Lodi a Gianfranco Zavalloni, ma all’esalazione (letteralmente “soffiare, mandare fuori, uscire diffondendosi in alto”) della propria personalità.

I bambini hanno bisogno di armonia perché essi sono forieri di quell’armonia già insita nella natura (come ha sempre sostenuto Maria Montessori): l’infanzia è la biodanza della vita e la scuola dell’infanzia dovrebbe essere l’habitat di questo periodo unico e basilare per il resto della vita.

La scuola dell’infanzia, perciò, è un vero vivaio che esige tanta cura, equilibrio, specializzazione (e non solo titoli specialistici) e tempo da parte delle figure adulte.

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