Nei licei le discipline scientifiche sono considerate materie secondarie, la lettera indirizzata al ministro Valditara

Gentile Sig. Ministro,

Sono un giovane docente di matematica e fisica precario del centro-sud. Le scrivo per portare alla Sua attenzione un aspetto del quale mi sembra non si parli mai, ma che sono convinto essere una notevole criticità nella scuola attuale, alla pari di altre problematiche ugualmente importanti ed attualmente discusse.

Spesso svolgo la mia professione in istituti non scientifici, perlopiù licei, e constato ogni volta che le mie materie vengano viste dalla dirigenza (raramente di formazione non umanistica) un po’ come materie secondarie, quasi fonte di fastidio, per le quali può essere addirittura legittimo per uno studente essere insufficiente o, ancor peggio, esserlo per totale accantonamento della materia. Quello che più o meno esplicitamente la dirigenza si aspetta (per non dire pretende) da noi docenti è di accompagnare gli studenti in un percorso didatticamente molto fragile, senza nessun particolare approfondimento e soprattutto con una valutazione estremamente permissiva.

Nonostante in ogni classe vi siano indubbiamente delle difficoltà più o meno diffuse, non solo il rendimento delle varie classi è mediamente positivo ma spesso vi sono studenti che si appassionano ad una materia fino ad allora detestata e che si entusiasmano nel capire ed affrontare concetti e fenomeni nuovi o magari precedentemente presentati in maniera superficiale e nozionistica. Questo entusiasmo coinvolge anche i genitori che durante i colloqui mi esprimono parole di stima e gratitudine.

Com’è normale che sia, a fine anno vi sono alcune insufficienze, anche gravi, che vengono dal sottoscritto presentate agli scrutini finali come tali. Una volta agli scrutini, mi rendo conto che ben pochi colleghi hanno lasciato insufficienze, non per motivi di andamento scolastico, ma perché preferiscono mettere la sufficienza a tutti per “non avere scocciature”, ben consapevoli di ciò che accadrà di lì a poco. Durante lo scrutinio finale, alla presenza del dirigente, il consiglio dei docenti discute la situazione di ogni studente al fine di deciderne l’ammissione o meno alla classe successiva e l’attribuzione o meno di debiti (e quindi sospensione del giudizio finale) o carenze. La (discutibile) filosofia di valutazione è perlopiù sempre la stessa, ovvero quello di salvare il salvabile e, spesso, il non salvabile. Accade spesso che le insufficienze vengano messe in discussione dai dirigenti, che sollecitano la loro revisione attraverso il “voto di consiglio”. Senza nessuna motivazione didattico-educativa e spesso contro il parere del docente interessato, 4 e 5 vengono portati a 6 ed insufficienze molto gravi come 2 e 3 diventano dei 4. La decisione viene arbitrariamente presa (ed imposta) dal dirigente con il benestare solo apparente della maggior parte dei docenti, i quali affrontano passivamente questa decisione senza avere il coraggio di opporsi. A mio avviso, ciò non solo va a svilire la figura ed il lavoro del docente, sempre più portato ad essere un mero passacarte, ma è un vero e proprio abuso di potere da parte di una dirigenza sempre più noncurante degli aspetti didattici ed educativi e che sta a mio avviso creando una situazione dittatoriale in cui i docenti sono costretti a piegarsi per “sopravvivere” e non avere grane peggiori.

Questa dinamica è molto pericolosa anche da un punto di vista educativo, in quanto convince gli alunni che alla fine dell’anno si faccia “chiesa salva tutti”, deresponsalizzando gli studenti insufficienti, portando coloro che hanno raggiunto la sufficienza con sforzo e fatica a mettere in discussione la convenienza nello studiare rispetto ad avere una sufficienza ottenibile anche senza impegno e sviluppando tra gli studenti sufficienti un sentimento di ingiustizia ed iniquità di trattamento. D’altro canto, coloro che superano la scuola anno dopo anno a suon di indulgenze maturano il pensiero che tutto sia loro dovuto, pretendendo con prepotenza ed arroganza che venga loro dato tutto ciò che vogliono, indipendentemente dal merito.

A me piace molto insegnare e mi piace il bel rapporto che spesso si crea con gli studenti. Non sono un docente severo e distaccato, ma piuttosto cerco sempre di creare un ambiente dinamico, sereno e talvolta divertente (spesso riuscendoci). Ho iniziato questo percorso sei anni fa con l’illusione di voler essere l’insegnante che io avrei voluto da ragazzo nonché un professionista serio e corretto, ma mi trovo immerso in un ambiente che mi rema contro e mi spinge ad adeguarmi ed a smettere di lottare perché, come mi dicono alcuni colleghi: “Chi te lo fa fare? Smettila di lottare e soffrire! Prenditi lo stipendio ed evita le scocciature!”. Credo però che è proprio laddove in un popolo maturi questa mentalità che trovano terreno fertile le dittature e si pongono le basi per un futuro cupo e mediocre.

Ho deciso di scriverLe perché so che sa ascoltare chi ha qualcosa da dire. Sono un docente giovane ed i giovani, si sa, hanno spesso l’ambizione di voler cambiare le cose. Quello che perciò vorrei chiederLe è di abolire il voto di consiglio e, se possibile, di ridimensionare il ruolo dei dirigenti nelle decisioni di carattere didattico-valutativo, restituendo al docente una dignità ormai persa da tempo. Questa lettera probabilmente non risolverà i grandi problemi dell’istruzione italiana ma affrontare anche questioni apparentemente piccole può contribuire a costruire una scuola più giusta e meritocratica.

Grazie.
Distinti saluti.

Prof. P. M.

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