Una scuola che sente, pensa, si prende cura. 

Sono un’insegnante della scuola primaria e pedagogista, da anni impegnata nel sostenere bambini, adolescenti e famiglie nei loro percorsi di crescita. 

Vorrei condividere una considerazione ispirata dalla lettura del libro “La scuola che vorrei” di Daniela Lucangeli, che ha saputo mettere parole chiare e scientificamente fondate a una visione educativa che sento profondamente mia. 

È necessario che la figura del docente abbia una rinnovata visione nel ruolo del magister, che non può più limitarsi a “insegnare, far apprendere e verificare”, ma deve diventare guida nella co-costruzione di conoscenze e nello sviluppo armonico delle competenze, accompagnando i bambini nell’apprendimento con attenzione agli aspetti emotivo-motivazionali. Il magister è oggi chiamato a educare nell’intersenso, ossia nella capacità di cogliere e restituire significato ai segnali spesso silenziosi che ogni studente comunica: uno sguardo, un gesto di incertezza, un’esitazione.

 È attraverso questa sensibilità educativa che si favorisce l’emergere dell’unicità di ciascuno. Il docente si fa così facilitatore del sapere, promotore di esperienze condivise, capace di riconoscere e sostenere i diversi funzionamenti e le traiettorie di sviluppo individuali, operando in un’ottica di intelligenza distribuita e di comunità educante. Come affermato in una delle riflessioni più illuminanti sul tema:

 “È necessario imparare a fare condividendo. Necessario per i bambini. Necessario per i magister.”

 C’è bisogno urgente di una scuola che metta al centro la persona, prima ancora della prestazione. Una scuola che riconosca l’importanza del sentire, dell’ascolto autentico, della cura come fondamento dell’apprendimento. 

Uno dei concetti più importanti trattati nel libro è quello dell’ingozzamento cognitivo: quando lo studente riceve troppe informazioni tutte insieme, senza poterle elaborare, entra in sovraccarico e si blocca. Questo è legato al tema del carico cognitivo, che si suddivide in:   

  • Carico intrinseco, legato alla complessità del contenuto;  
  • Carico estraneo, causato da modalità didattiche inadeguate o dispersive;   
  • Carico pertinente, quello utile e necessario per l’apprendimento.

 La scuola dovrebbe saper alleggerire il carico estraneo e valorizzare quello pertinente, permettendo agli studenti di apprendere con efficacia e serenità. Fondamentali anche le riflessioni sull’attivazione emotiva e corporea, che mostrano come mente e corpo siano inscindibili nei processi educativi. L’apprendimento non è solo un fatto mentale: coinvolge il corpo, le emozioni, la relazione. Concetti come il rispecchiamento emotivo, la sincronizzazione automatica tra docente e alunno, il contagio emotivo e il feedback corporeo sono sostenuti dalle neuroscienze e ci spiegano come l’ambiente emotivo e relazionale influenzi la memoria, l’attenzione e la motivazione. Ignorare tutto questo significa perdere il cuore della relazione educativa. 

Infine, credo sia doveroso portare nella scuola la conoscenza della neuroplasticità: la capacità del cervello di modificarsi in risposta all’esperienza. 

La Lucangeli spiega in maniera semplice concetti complessi riferiti alla neuroplasticità che si manifesta in tre forme: 

  • Experience-independent (sviluppo guidato dai geni),   
  • Experience-expectant (il cervello si aspetta esperienze fondamentali, come il legame affettivo),    
  • Experience-dependent (ogni singola esperienza scolpisce il cervello in modo unico). 

Tutto ciò è particolarmente rilevante nei primi 1000 giorni di vita, ma anche durante l’adolescenza, fase di profonda riorganizzazione e “potatura” delle connessioni cerebrali. 

Vorrei che queste conoscenze non restassero patrimonio di pochi, ma diventassero linee guida quotidiane in tutte le aule, accanto alla progettazione didattica.

 Perché educare non significa solo trasmettere conoscenze, ma creare legami, riconoscere le emozioni, favorire un apprendimento profondo e autentico.

 Adalgisa Muscari, insegnante e Pedagogista

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