Classificazione degli aggettivi

In linguistica, non solo in italiano, ma anche in greco, è frequente l’utilizzo degli aggettivi, parti integranti del discorso che servono a qualificarlo, specificarlo o determinarlo, aggiungendo informazioni che ne specificano l’identità.

Nell’italiano corrente gli aggettivi concordano con il soggetto a cui si riferiscono per genere e numero. Nella morfologia dell’antico greco, facendo parte di una lingua flessiva, predispone che l’aggettivo debba concordare con il soggetto corrispondente non solo in genere e numero, bensì anche nel caso.

Origine degli aggettivi

Gli aggettivi sono nati come risposta a una necessità comunicativa: non basta nominare un oggetto o una persona, spesso serve anche caratterizzarlo.
Ad esempio:

  • Dire “uomo” (ἀνήρ) identifica solo una categoria generica.
  • Dire “uomo saggio” (ἀνήρ σοφός) aggiunge un’informazione qualificante che orienta l’ascoltatore.

Storicamente, gli aggettivi derivano in gran parte:

  1. Da antichi participi verbali, usati in senso descrittivo (es. τρέχων = “corrente” → “che corre”).
  2. Da composti nominali che in origine erano frasi ridotte (es. φιλόσοφος = “amico della sapienza”).
  3. Da radici qualificative proprie, formate con suffissi specifici (-ος, -ής, -ύς, -ινός, ecc.).

Col tempo, queste forme si sono fissate come categoria autonoma, distinta dal verbo e dal nome, pur mantenendo stretti legami con entrambi:

  • Con il nome condividono la funzione di designare qualcosa.
  • Con il verbo condividono la possibilità di esprimere stati e proprietà.

Funzione nell’architettura linguistica greca

Nel greco antico, l’aggettivo svolge tre ruoli fondamentali:

  1. Distintivo → differenzia tra più entità (es. ὁ μικρὸς ναός vs ὁ μέγας ναός).
  2. Espressivo → carica emotivamente il discorso (epiteti omerici: πολύτροπος Ὀδυσσεύς).
  3. Sostitutivo → quando sostantivato, diventa esso stesso nome (οἱ σοφοί = “i saggi”).

Classificazione degli aggettivi nell’antico greco

1. Classificazione secondo la funzione

Dal punto di vista funzionale, gli aggettivi del greco antico si suddividono principalmente in:

1.1 Aggettivi qualificativi (ἐπίθετα ποιητικά)

  • Funzione: esprimono una qualità o caratteristica del sostantivo.
  • Esempi:
    • καλός (kalós) = bello
    • σοφός (sophós) = saggio
  • Possono essere:
    • Attributivi → accompagnano direttamente il sostantivo: ὁ καλὸς ἀνήρ (“il bell’uomo”).
    • Predicativi → collegati al sostantivo tramite un verbo: ὁ ἀνὴρ καλός ἐστιν (“l’uomo è bello”).

1.2 Aggettivi determinativi (ἐπίθετα ὁριστικά)

Questa categoria include aggettivi che non indicano qualità intrinseche, ma limitano, precisano o determinano il sostantivo.
Comprende sottocategorie come:

  1. Dimostrativi → οὗτος (“questo”), ἐκεῖνος (“quello”)
  2. Possessivi → ἐμός (“mio”), σός (“tuo”)
  3. Interrogativi → τίς; (“chi?”), ποῖος; (“quale?”)
  4. Indefiniti → τις (“qualcuno”), ἄλλος (“altro”)
  5. Numerali:
    • Cardinali: εἷς (“uno”), δύο (“due”)
    • Ordinali: πρῶτος (“primo”), δεύτερος (“secondo”)

2. Classificazione secondo la formazione e la declinazione

Dal punto di vista morfologico, nel greco antico, gli aggettivi vengono suddivisi in due classi fondamentali:

2.1 Prima classe:

Comprende:

  1. aggettivi a tre uscite: seguono al maschile e al neutro la seconda declinazione, al femminile la prima;
  2. aggettivi a due uscite: presentano un’unica forma per il maschile e per il femminile, seguendo esclusivamente il modello della seconda declinazione;
  3. aggettivi della declinazione attica;
  4. aggettivi contratti a tre uscite;
  5. aggettivi contratti a due uscite.

2.2 Seconda classe:

Comprende aggettivi maschili, femminili e neutri vincolati da tutte le possibili sfaccettature della terza declinazione, che analizzeremo insieme negli articoli successivi.

Aspetti sintattici rilevanti

Gli aggettivi possono avere tre posizioni tipiche rispetto all’articolo e al sostantivo:

  1. Attributiva semplice:
    ὁ καλὸς ἀνήρ = l’uomo bello
  2. Attributiva articolata:
    ὁ ἀνὴρ ὁ καλός = l’uomo bello (ma con enfasi)
  3. Predicativa (senza articolo davanti all’aggettivo):
    ὁ ἀνὴρ καλός = l’uomo è bello

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Il nominativo

Nella grammatica greca antica, come già accennato nel precedente articolo relativo alla funzione dei casi, il nominativo è la forma fondamentale del nome e rappresenta il caso del soggetto, cioè colui o ciò che compie l’azione del verbo. Tuttavia, le sue funzioni non si esauriscono qui: questo caso riveste anche un ruolo centrale nelle determinazioni attributive e predicative del soggetto.

Oltre ai sostantivi veri e propri, possono comparire in funzione di soggetto anche altre parti del discorso sostantivate: aggettivi, participi, infiniti, avverbi, preposizioni, numerali e persino intere proposizioni. Un esempio tratto da Erodoto mostra chiaramente questa versatilità:τα λέγουσι δὲ πολλὰ καὶ ἄλλα ἀνεπισκέπτως οἱ Ἕλληνες – I Greci raccontano superficialmente molte altre cose.

All’interno di quest’articolo provvederemo a dare quanti più dettagli possibili e scenderemo nei particolari quanto serve per dare una prospettiva, non solo generale, bensì completa, di quello che è il concetto del nominativo.

Nominativi particolari

Oltre alla funzione di soggetto, il nominativo può ricoprire ruoli meno comuni ma altrettanto significativi, come:

Titolazione: usato per i titoli di opere, ad esempio Πέρσαι – I Persiani (tragedia di Eschilo).

Citazione: per riportare termini o nomi, come in συκοφάντης – sicofante.

Definizione: usato per esplicitare un’identità o una qualifica, ad esempio ἀνὴρ δὲ γενόμενος προσείλεψε… συκοφάντης – Fattosi uomo, prese il nome di sicofante.

Vocazione: utilizzato per rivolgersi a qualcuno, spesso nelle tragedie, come in ὦ τλάμων πάτερ… – O padre infelice….

Esclamazione: per esprimere emozioni forti, come in ἡ τάλας ἐγώ – Oh me infelice!

Enumerazione: quando si elencano termini in forma di soggetti, come in Aristofane: κριός, τράγος, ταῦρος, κύων, ἀλεκτρυών – montone, capro, toro, cane, gallo.

Il nominativo prolettico

Una costruzione interessante è il nominativo prolettico, che introduce un soggetto “logico” prima del soggetto grammaticale vero e proprio. Questa struttura, frequente nella lingua parlata e nella prosa vivace, produce un effetto anacolutico (cioè una rottura della coesione sintattica). Un esempio è fornito da Senofonte: οἱ δὲ φίλοι, ἂν τις ἐπίστηται αὐτοῖς χρῆσθαι… – Gli amici, se uno sa come usarli… In questo caso il soggetto “οἱ φίλοι” è anticipato rispetto al verbo e funge da elemento tematico più che da soggetto grammaticale.

Il nominativo avverbiale

Alcuni termini in forma di nominativo hanno assunto valore avverbiale, divenendo elementi cristallizzati nel lessico. Alcuni esempi includono:

μόλις – a stento

εὐθὺς – subito

ἐγγὺς – vicino

Il doppio nominativo

Quando una frase contiene due nominativi, uno identifica il soggetto e l’altro ne specifica l’identità o lo stato: si tratta del cosiddetto nominativo predicativo. Questa struttura si trova spesso con:

Verbi stativi: indicano uno stato dell’essere o dell’esistere, non un’azione. Tra questi ricordiamo: εἰμί – essere, γίγνομαι – diventare, ὑπάρχω – esistere.

Appellativi: indicano il dare un nome o un titolo a qualcuno. Tra questi rientrano: λέγομαι – essere detto, καλούμαι – essere chiamato.

Estimativi: esprimono un giudizio o una valutazione su qualcuno. Tra essi si configurano: νομίζομαι – essere ritenuto, κρίνομαι – essere giudicato;

Elettivi: indicano una nomina, una proclamazione o una scelta ufficiale. In essi appaiono: καθίσταμαι – essere eletto, ἀποδείκνυμαι – essere proclamato.

Esempio da Erodoto:Τοὶ δὲ βασιλήιοι δικασταὶ κεκριμένοι ἄνδρες γίγνονται – I giudici regali risultano essere uomini scelti.

Il nominativo assoluto

Il nominativo assoluto è una costruzione rara in greco, che si incontra quasi esclusivamente con participi o verbi impersonali al participio, come ad esempio δεῖ (bisogna), δοκεῖ (sembra), χρὴ (è necessario). In questi casi, il participio assume il nominativo neutro singolare (se impersonale) o il nominativo maschile/femminile singolare (se personale ma sottinteso), restando scollegato dal soggetto della proposizione principale. È una costruzione simile all’ablativo assoluto latino, ma molto meno diffusa

Tra gli esempi più noti, possiamo fornire:

δεῖ ὄν: “essendo necessario” (con participio impersonale in nominativo neutro singolare);

χρὴ γενομένης: forma eccezionale in cui si può trovare un participio femminile in nominativo se collegato a un soggetto sottinteso femminile.

Nota: questa costruzione è definita “assoluta” proprio perché non ha legami grammaticali con il resto della frase, ma introduce un’informazione accessoria o temporale

Il nominativo con l’infinito

Questa è una costruzione tipica del discorso indiretto in greco. Quando si vuole riportare una dichiarazione, un pensiero, un’opinione o una percezione in forma indiretta, si usa spesso l’infinito accompagnato dal suo soggetto in nominativo. A differenza del latino, dove il soggetto dell’infinitiva va all’accusativo, in greco il soggetto resta al nominativo se è lo stesso della proposizione principale, oppure passa all’accusativo solo se è diverso.

È frequentemente utilizzato con alcuni verbi o locuzioni quali:

verba dicendi, declarandi, putandi, iubendi: ossia tutti quei verbi che esprimono un’affermazione, un giudizio o un comando. Vengono spesso usati impersonalmente;

verbi indicanti sembrare, apparire;

locuzioni costituite da un aggettivo + il verbo ειμί o γίγνομαι, come in αναγκαιός ειμί (è necessario che io).

Alcuni esempi sono:

λέγεται Σωκράτης σοφὸς εἶναι: “Si dice che Socrate sia saggio” (Socrate è soggetto dell’infinitiva, in nominativo);

νομίζω τὸν ἄνθρωπον σοφὸν εἶναι: “Penso che l’uomo sia saggio” (qui il soggetto è diverso: va in accusativo)

La concordanza soggetto-predicato

In greco antico, il soggetto e il predicato nominale (quando espresso da un sostantivo, aggettivo o participio) devono concordare in caso, genere e numero, come in latino. Questa regola vale anche quando il predicato precede il soggetto. Se il soggetto è un pronome neutro o un’infinità di cose neutre al plurale, il predicato può andare al neutro singolare, come spesso accade con i verbi impersonali.

Tuttavia, sono presenti alcune eccezioni:

è possibile che un aggettivo con valore di parte nominale si trovi al genere neutro, anche quando il soggetto sia maschile o femminile;

quando il soggetto è rappresentato da un nome collettivo, il predicato può essere sia al singolare che al plurale (come in latino);

quando il soggetto è al duale, il predicato può essere sia al duale che al plurale;

quando in una frase ci sono due soggetti singolari, il verbo può essere sia al duale che al plurale;

quando il soggetto è rappresentato da un neutro plurale, il verbo è molto spesso al singolare.

Tra gli esempi più noti ricordiamo:

ὁ ἀνὴρ σοφός ἐστιν → “L’uomo è saggio” (maschile singolare)

αἱ γυναῖκες καλαί εἰσιν → “Le donne sono belle” (femminile plurale)

τὰ παιδία ἐστὶν ἀγαθά oppure τὰ παιδία ἐστὶν ἀγαθόν → entrambi corretti: il primo con concordanza formale, il secondo per attrazione al neutro singolare (usato per collettivi o concetti).

Questa concordanza è importante anche nei discorsi indiretti e nei casi in cui il soggetto sia sottinteso o anticipato, perché permette di capire a quale termine ci si riferisce.

Conclusione

Il nominativo greco non è semplicemente un’etichetta grammaticale per indicare il soggetto, ma una vera e propria chiave di lettura del testo, in grado di rivelare sfumature emotive, logiche e stilistiche. Attraverso le sue molteplici funzioni, il nominativo si impone come un elemento vitale e dinamico all’interno della frase, capace di adattarsi ai contesti più vari – dalla narrazione storica alla tragedia, dalla filosofia alla comicità.

Comprendere a fondo le sue sfaccettature permette non solo di tradurre correttamente, ma anche di entrare nel vivo del pensiero e della sensibilità greca.

Ti invito, quindi, a continuare a leggere gli articoli che escono abitualmente nel nostro blog e ad immergerti nella comprensione del prossimo argomento: il genitivo.

La morfologia greca

La morfologia greca è la branca della linguistica che studia la struttura e le variazioni delle parole nella lingua greca antica. Essa comprende sia la morfologia flessionale, che analizza le modifiche delle parole per indicare categorie grammaticali, sia la morfologia derivazionale, che spiega la formazione di nuove parole attraverso prefissi e suffissi.

Il greco antico è difatti una lingua flessiva e sintetica, in quanto utilizza molte desinenze e modificazioni interne per esprimere le relazioni grammaticali tra le parole. Questo lo distingue dalle lingue più analitiche, come l’italiano moderno, dove il significato dipende maggiormente dall’ordine delle parole e dall’uso di preposizioni e ausiliari.

All’interno di questo articolo osserveremo insieme il concetto di morfologia, aiutandoti nella comprensione di quest’argomento, fornendoti numerose definizioni ed esempi. Presenteremo in modo generico i concetti di genere, numero, caso, persona e declinazione. Pertanto, qualora tu voglia approfondire in modo dettagliato ogni concetto qui presente ti invitiamo a restare attivo all’interno del nostro blog e attendere che vengano pubblicati i successivi.

Definizione

Come afferma il libro Nuovi itinerari alla scoperta del greco di Francesco Michelazzo, la morfologia è lo studio delle forme linguistiche e, in senso ampio, potrebbe riferirsi a qualsiasi aspetto del linguaggio, poiché esso stesso è un sistema di segni che trasmettono significati. Tuttavia, in ambito linguistico, il termine si concentra sull’aspetto delle parole, sulla loro classificazione in categorie grammaticali (come sostantivi, aggettivi, verbi, avverbi) e sui meccanismi che ne regolano le variazioni, come declinazioni e coniugazioni.

Ogni lingua deve affrontare il problema di rappresentare una realtà complessa e in continua evoluzione, fatta di eventi, concetti e situazioni potenzialmente infiniti. In teoria, esistono due modi per farlo:

creare una parola completamente diversa per ogni singolo elemento della realtà, ad esempio utilizzando termini distinti per cavallo, cavalli, cavalla, cavallino, cavalcare senza alcun legame tra loro.

utilizzare un sistema più flessibile, in cui un numero limitato di elementi di base viene combinato attraverso suffissi, desinenze e altre modifiche, permettendo di esprimere un’ampia gamma di significati a partire da una radice comune (come cavall- per le varianti precedenti).

La seconda soluzione è l’unica praticabile ed è proprio qui che entra in gioco la morfologia, che sarebbe superflua se ogni parola fosse completamente slegata dalle altre.

La modularità

L’organizzazione modulare, ossia quel principio strutturale secondo cui un sistema complesso è suddiviso in moduli indipendenti, ognuno dei quali svolge una funzione specifica e può essere combinato con altri per formare un’unità più ampia e flessibile, può avvenire in modi diversi. Nel greco antico, i principali meccanismi sono:

formazione di famiglie di parole attorno a una radice comune, che può subire variazioni fonetiche (fenomeno noto come apofonia o alternanza vocalica). Ad esempio, dalla radice leg/log derivano il verbo λέγω (“dire”) e il sostantivo λόγος (“parola, discorso”). A volte, la radice si amplia con l’aggiunta di suffissi, come nel caso di λέξις (“espressione, stile”), ottenuto dalla stessa base con il suffisso -σις;

sistema di flessione nominale e verbale, in cui un elemento stabile (tema) si combina con desinenze variabili per indicare categorie grammaticali come genere, numero e caso nei nomi (declinazione) o tempo, modo e persona nei verbi (coniugazione);

esistenza di forme espressive ridondanti, che vanno contro la tendenza all’economicità. Un esempio è la presenza di verbi politematici, che usano radici diverse per esprimere lo stesso concetto.

Mentre il sistema basato sulle radici influisce principalmente sulla morfologia e sul significato delle parole, la flessione ha un impatto più diretto sulla sintassi e sull’uso delle parole nel contesto comunicativo. Sono proprio questi gli aspetti su cui ci soffermeremo nei prossimi paragrafi.

La flessione nominale

Nello studio delle lingue classiche, un elemento centrale è la flessione nominale, un fenomeno che, a differenza della flessione verbale, è oggi molto meno sviluppato nelle lingue moderne. In greco e latino, i nomi non si distinguono solo per numero (singolare, duale, plurale) e genere (maschile, femminile, neutro), ma anche per caso, ovvero diverse forme che indicano la funzione sintattica all’interno della frase (soggetto, complemento oggetto, ecc.).

Per i parlanti moderni, questa caratteristica rappresenta una difficoltà significativa. Oltre alla necessità di memorizzare numerose forme e di riconoscere desinenze che possono corrispondere a più casi, il vero ostacolo è dato dalla grande libertà nell’ordine delle parole. Nelle lingue classiche, l’uso dei casi permette di disporre gli elementi della frase in modo molto flessibile, mentre nelle lingue moderne l’ordine delle parole è spesso fisso e strettamente legato al significato.

Le strategie

Le lingue prive di casi sviluppano due strategie principali:

Un ordine rigido delle parole, come in inglese, dove la sequenza soggetto-verbo-oggetto (SVO) è quasi obbligatoria (John loves Mary non equivale a Mary loves John).

Un ordine più flessibile, ma con variazioni che possono alterare il significato, come in italiano o francese (Giovanni ha offeso Stefano ≠ Stefano ha offeso Giovanni).

Le relazioni

Questa relazione tra ordine e significato si manifesta su due livelli:

Relazioni sintattiche → In italiano, la struttura SVO è quella più comune e variazioni invertono i ruoli logici all’interno della frase.

Relazioni pragmatiche e contestuali → La posizione degli elementi può cambiare il focus della frase. Ad esempio, L’anno scorso sono stato in Giappone risponde a Cosa hai fatto l’anno scorso?, mentre In Giappone sono stato l’anno scorso risponde a Quando sei stato in Giappone?.

Chi parla una lingua moderna è naturalmente portato a interpretare il significato di una frase in base all’ordine delle parole. Questo approccio, però, non è valido per le lingue classiche, dove la sintassi non è guidata da una struttura rigida, ma dalla flessione nominale. Per questo, comprendere una frase in greco o latino richiede un’analisi attenta della funzione di ogni parola, senza poter contare su un ordine prevedibile.

Campi della flessione nominale

Numero e persona

Sia nella morfologia nominale che in quella verbale ritroviamo le categorie di numero e persona.

Per quanto riguarda il numero, il greco, oltre alla classica distinzione singolare/plurale, possiede anche il duale, una forma particolare utilizzata – sebbene con alcune irregolarità – per indicare coppie di elementi strettamente legati tra loro. Tra gli esempi più comuni troviamo parti del corpo come gambe e orecchie, coppie mitologiche come Apollo e Artemide o espressioni che indicano il numero due (δύο) o entrambi (ἀμφότεροι).

Passando alla persona, un aspetto distintivo della lingua greca è l’assenza di un pronome personale specifico per la terza persona al nominativo e la scarsa frequenza di quelli riferiti agli altri casi.

Genere e caso

Caratteristiche singolari alla flessione nominali sono invece il genere e il caso.

Il genere, invece, si divide in maschile, femminile e neutro, con una distinzione tendenziale tra esseri animati (uomini, donne, animali) e cose (oggetti, idee, elementi astratti). Tuttavia, ci sono numerose eccezioni a questa regola, che vedremo pian piano nel corso degli articoli.

Il caso, in conclusione, è una delle caratteristiche più rilevanti del greco antico. La lingua presenta cinque casi principali: nominativo, genitivo, dativo, accusativo e vocativo. Questi sono il risultato di un processo di fusione (detto sincretismo) di funzioni casuali più antiche appartenenti alla lingua indoeuropea.

Distinzione dei casi

Nella morfologia nominale del greco antico, si distingue comunemente tra casi retti e casi obliqui.

Casi retti

I casi retti comprendono il nominativo, l’accusativo e il vocativo. Si definiscono così perché esprimono un legame più diretto con il verbo della frase. Il nominativo è tipicamente usato per il soggetto, mentre l’accusativo per il complemento oggetto. Il vocativo, invece, ha una funzione indipendente ed è usato per rivolgersi direttamente a qualcuno.

Casi obliqui

I casi obliqui includono il genitivo e il dativo. Questi sono considerati meno direttamente connessi con il verbo reggente e spesso introducono complementi indiretti. Il genitivo indica generalmente possesso, origine o relazione, mentre il dativo esprime destinatario, mezzo o vantaggio.

Sebbene questa distinzione possa avere una certa validità dal punto di vista morfologico, non deve influenzare eccessivamente l’analisi sintattica. Esistono infatti numerosi casi in cui anche un complemento retto in genitivo o dativo risulta strettamente legato al verbo, come avviene nei verbi reggenti il genitivo o il dativo (es. ἐπιμελοῦμαι “mi prendo cura di” con il genitivo).

Declinazioni

Il sistema della flessione nominale greca si articola in tre declinazioni principali, che raggruppano i nomi in base alla loro terminazione e alla modalità con cui subiscono le variazioni di caso e numero. In particolare riconosciamo:

prima declinazione: propria dei temi in -α;

seconda declinazione: propria dei temi in -o;

terza declinazione: propria dei temi in consonante, vocale debole o dittongo.

Parole eteroclite

Non tutti i nomi seguono un modello fisso: vi sono parole eteroclite, ovvero termini che presentano forme appartenenti a più declinazioni. Questi nomi irregolari derivano da evoluzioni linguistiche che hanno portato a una mescolanza di caratteristiche declinazionali, rendendo necessario studiarli singolarmente. Un esempio è il nome πατήρ (padre), che pur appartenendo alla terza declinazione, mostra alcune caratteristiche proprie della seconda declinazione.

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