Problemi e risolubilità

Parliamo di Matematica. Che significa oggi risolvere un problema? E quando un problema è irrisolubile?
«L’antichità classica ci ha tramandato famosi problemi irrisolti quali la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo, la trisezione dell’angolo.
Si tratta di una irrisolubilità particolare, dovuta alla limitazione imposta agli strumenti utilizzabili. Invece, oggi che significa risolvere un problema? E quando un problema è irrisolubile? Quali esempi sceglieresti per illustrare meglio la questione?»
Questo testo è uno dei temi che il Ministero della Pubblica Istruzione propose agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado nell’anno scolastico 2007/08. Otto tracce pensate e messe a punto da un gruppo di ispettori tecnici, «sulla base di analoghe tracce già elaborate qualche anno prima, nell’ambito delle iniziative tese a migliorare l’apprendimento degli studenti in matematica» e inviate alle scuole con la convinzione che avrebbero potuto stimolare il gusto di parlare, leggere e scrivere di matematica.
L’iniziativa di allora, denominata “Parliamo di matematica”, sarebbe auspicabile ancora oggi: le sue finalità restano immutate e dunque attuali, così come i temi proposti. Ne è prova la domanda contenuta nella traccia: che cosa significa oggi risolvere un problema?
I problemi classici dell’antichità
Paolo Ruffini (1765-1822)
L’antichità ci ha lasciato tre celebri esempi di problemi impossibili da risolvere con la riga e il compasso:
La loro impossibilità fu dimostrata solo in epoca moderna: Pierre Wantzel (1837) per i primi due casi, Ferdinand Lindemann (1882) per il terzo. Similmente, nel campo dell’algebra, Ruffini, Abel e Galois mostrarono che le equazioni di grado superiore
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