Scuola come ecosistema di apprendimento. Serve un nuovo paradigma gestionale

La scuola contemporanea si trova immersa in una fase storica di radicale trasformazione, in cui la complessità della società postmoderna impone una revisione profonda del modo stesso di intendere l’educazione. Le rapide evoluzioni tecnologiche, la globalizzazione culturale e le sfide ambientali ed etiche spingono a ripensare i sistemi formativi non più come luoghi di trasmissione di saperi, ma come contesti di costruzione di significati condivisi. In tale scenario, la scuola si configura come un ecosistema di apprendimento, un ambiente vitale dove la conoscenza si rigenera continuamente attraverso l’interazione di soggetti, esperienze e linguaggi. Essa non è più una struttura statica, ma un organismo dinamico, capace di adattarsi ai cambiamenti e di generare innovazione. Il compito educativo non si esaurisce nella trasmissione di contenuti, ma si realizza nella promozione di processi riflessivi, relazionali e creativi che contribuiscono allo sviluppo integrale della persona e al benessere collettivo.

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Learning Labs

Learning Labs

Il ruolo dei Learning Labs nell’innovazione educativa in Italia

 di Bruno Lorenzo Castrovinci

L’educazione è in continua trasformazione, plasmata dalle innovazioni tecnologiche e dalle nuove metodologie didattiche che emergono per rispondere alle esigenze della società contemporanea. In questo scenario, i Learning Labs si affermano come luoghi di sperimentazione e cambiamento, spazi in cui l’apprendimento si rinnova attraverso esperienze interattive, collaborazioni multidisciplinari e un uso consapevole della tecnologia. Non si tratta semplicemente di ambienti arricchiti da strumenti digitali, ma di veri e propri laboratori in cui gli studenti diventano protagonisti attivi del loro percorso formativo, sviluppando competenze critiche, creative e pratiche in un contesto dinamico e coinvolgente.

L’adozione dei Learning Labs rappresenta una rivoluzione pedagogica che ridefinisce il ruolo della scuola e degli insegnanti, ponendo al centro un approccio educativo più flessibile, adattivo e personalizzato. Grazie a questi ambienti, la didattica tradizionale si evolve, offrendo agli studenti un’esperienza immersiva che li prepara ad affrontare le sfide del futuro.

Cosa sono i Learning Labs

I Learning Labs rappresentano un’evoluzione fondamentale nel panorama educativo, concepiti per superare i limiti imposti dalle aule tradizionali e per dare vita a un’esperienza formativa profondamente trasformativa. Non si tratta semplicemente di spazi attrezzati con tecnologia avanzata, ma di ambienti progettati per stimolare la curiosità, il pensiero critico e la capacità di risolvere problemi complessi attraverso l’interazione attiva con il sapere. In questi contesti, la conoscenza non è più trasmessa in modo unidirezionale dall’insegnante allo studente, ma diventa un processo dinamico, partecipativo e contestualizzato.

Ogni Learning Lab è modellato sulla necessità di creare un legame autentico tra teoria e pratica, offrendo agli studenti la possibilità di sperimentare, costruire, sbagliare e correggere in un ambiente che valorizza la creatività e l’autonomia. La loro flessibilità non riguarda solo l’uso dello spazio fisico, ma anche la metodologia didattica adottata: gli studenti vengono guidati verso un apprendimento personalizzato, adattato alle loro capacità e ai loro interessi, con un approccio collaborativo e multidisciplinare che rompe la tradizionale separazione tra le discipline accademiche. In questo modo, i Learning Labs non solo rispondono alle esigenze della società contemporanea, ma plasmano una nuova visione dell’istruzione, orientata all’innovazione, all’inclusione e alla formazione di individui pronti ad affrontare le sfide del futuro con consapevolezza e competenza.

Tipologie di Learning Labs

I Learning Labs si configurano come ambienti di apprendimento dinamici e interattivi, in cui la conoscenza non è più un’entità statica da assimilare passivamente, ma un processo vivo e in continua trasformazione. Questi laboratori non sono semplicemente spazi dotati di tecnologie avanzate, ma contesti educativi in cui la sperimentazione diventa il cuore dell’esperienza formativa. Ogni tipologia di Learning Lab risponde a una specifica esigenza didattica, promuovendo lo sviluppo di competenze differenti attraverso l’interazione con strumenti e metodologie innovative.

I Maker Lab rappresentano luoghi in cui la manualità si fonde con la tecnologia, dando vita a un apprendimento basato sulla creazione concreta di oggetti e prototipi. Qui, il pensiero progettuale si sviluppa attraverso un ciclo continuo di ideazione, costruzione e miglioramento, in cui errori e fallimenti sono considerati parte integrante del processo di apprendimento. L’uso di strumenti come stampanti 3D, laser cutter e kit di elettronica consente agli studenti di trasformare concetti astratti in realtà tangibili, stimolando la creatività e la capacità di problem-solving.

Nei Media Lab, l’accento è posto sulla produzione di contenuti digitali e sulla narrazione multimediale. In questi ambienti, gli studenti non si limitano a consumare informazioni, ma imparano a crearle, manipolarle e comunicarle in modo efficace. La realizzazione di video, podcast e storytelling interattivi diventa un’opportunità per sviluppare una comprensione critica dei media e delle loro dinamiche, favorendo la capacità di interpretare e decodificare i messaggi nel panorama mediatico contemporaneo.

I Coding & Robotics Lab si concentrano sullo sviluppo del pensiero computazionale, un’abilità essenziale nell’era digitale. Attraverso la programmazione e la robotica educativa, gli studenti apprendono a scomporre problemi complessi in sequenze logiche, sviluppando una mentalità analitica e sistematica. In questi laboratori, il codice non è solo un linguaggio tecnico, ma un mezzo espressivo che permette di trasformare idee in azioni concrete, creando soluzioni innovative per sfide reali.

I Virtual Reality & Simulation Lab offrono un’esperienza di apprendimento immersiva, in cui la realtà virtuale e le simulazioni interattive permettono di esplorare scenari impossibili da ricreare in un’aula tradizionale. Questi spazi rivoluzionano il modo in cui si affrontano concetti complessi, offrendo agli studenti la possibilità di immergersi in contesti storici, scientifici o ingegneristici in modo diretto e coinvolgente. Attraverso l’interazione con ambienti virtuali, l’apprendimento diventa un’esperienza multisensoriale, capace di stimolare la curiosità e migliorare la comprensione profonda dei fenomeni studiati.

Infine, i STEAM Lab rappresentano un punto di incontro tra scienza, tecnologia, ingegneria, arte e matematica, proponendo un approccio interdisciplinare alla conoscenza. In questi spazi, l’apprendimento avviene attraverso progetti che integrano diverse discipline, promuovendo la capacità di pensiero laterale e la risoluzione creativa dei problemi. Il valore aggiunto di questi laboratori risiede nella loro capacità di superare la frammentazione del sapere, favorendo una visione olistica e interconnessa della realtà.

Ogni Learning Lab, indipendentemente dalla sua specifica declinazione, non si configura solo come un luogo di apprendimento, ma come un ecosistema educativo in cui gli studenti diventano protagonisti attivi del proprio percorso formativo. L’esperienza pratica, il lavoro collaborativo e l’interazione con strumenti innovativi trasformano la didattica in un viaggio esplorativo, in cui la conoscenza non è un punto di arrivo, ma un processo continuo di scoperta e costruzione.

La Rete Future Classroom Lab (FCL) e la sua formazione

Il Future Classroom Lab (FCL) è un’iniziativa nata nel 2012 grazie a European Schoolnet, un consorzio di Ministeri dell’Istruzione europei, con l’obiettivo di ripensare radicalmente l’ambiente di apprendimento e introdurre nuovi modelli educativi basati sulla tecnologia e sulla sperimentazione metodologica. La sua visione non si limita alla semplice integrazione di strumenti digitali nelle aule, ma mira a una trasformazione profonda del rapporto tra studenti, docenti e conoscenza, ridefinendo gli spazi fisici e pedagogici della scuola del futuro.

La rete FCL connette istituzioni scolastiche, università e centri di ricerca a livello internazionale, creando una comunità di pratica che facilita la condivisione di buone pratiche e lo sviluppo di strategie didattiche all’avanguardia. Questo ecosistema dinamico di collaborazione e innovazione consente agli educatori di sperimentare nuovi modelli pedagogici, adattandoli ai contesti locali e alle esigenze degli studenti. Non si tratta solo di un’adesione formale, ma di un processo continuo di aggiornamento, riflessione e adattamento che coinvolge scuole di ogni ordine e grado, trasformando le aule tradizionali in ambienti flessibili, interattivi e immersivi.

Attraverso eventi, workshop e collaborazioni con partner tecnologici, la rete ha permesso la creazione di numerosi laboratori avanzati in tutta Europa, laboratori che oggi rappresentano modelli di eccellenza nell’educazione del futuro. Questi spazi, ispirati alle metodologie attive e all’apprendimento esperienziale, non solo offrono agli studenti strumenti innovativi, ma ripensano la didattica come esperienza partecipativa e orientata alla costruzione del sapere, dove la conoscenza si sviluppa attraverso la pratica, la collaborazione e l’esplorazione critica del mondo circostante.

Aula 3.0 – IIS Luca Pacioli di Crema

L’Aula 3.0 dell’IIS Luca Pacioli di Crema rappresenta un esempio di spazio didattico flessibile e adattabile alle diverse esigenze educative. Qui, l’ambiente scolastico non è più uno sfondo statico, ma un elemento attivo del processo di apprendimento. Grazie alla modularità degli arredi e all’impiego di dispositivi digitali avanzati, l’aula può essere riconfigurata in tempo reale, adattandosi a metodologie didattiche differenti, dalle attività di gruppo al lavoro individuale. Questo modello didattico si basa sull’idea che la forma dell’ambiente influenzi il modo in cui gli studenti apprendono: una disposizione aperta stimola la collaborazione, mentre un’organizzazione più strutturata favorisce la concentrazione e l’attenzione. L’integrazione della tecnologia, inoltre, consente agli insegnanti di personalizzare i percorsi formativi, creando esperienze di apprendimento su misura che rendono lo studente protagonista attivo della propria formazione. In questo modo, l’Aula 3.0 non solo supera il concetto tradizionale di classe statica, ma ridefinisce la didattica come esperienza immersiva e dinamica.

Future Learning Labs – Lucca e ISIS Majorana di Brindisi

I Future Learning Labs di Lucca e dell’ISIS Majorana di Brindisi rappresentano un modello avanzato di didattica innovativa, fondendo sperimentazione tecnologica e ricerca metodologica per ridefinire l’esperienza educativa. Il cuore di questi laboratori è la creazione di ambienti dinamici che trasformano il modo in cui gli studenti interagiscono con la conoscenza, permettendo un apprendimento attivo che va oltre il tradizionale modello frontale.

Attraverso l’Agorà, gli studenti sono coinvolti in dibattiti e confronti che sviluppano il pensiero critico e la capacità argomentativa, elementi fondamentali per la loro crescita personale e professionale. Le aree Teal/Debate incentivano un metodo di insegnamento basato sull’apprendimento collaborativo, nel quale i ragazzi lavorano insieme per analizzare problemi complessi e trovare soluzioni condivise, esercitando competenze cognitive di alto livello. I laboratori immersivi, inoltre, sfruttano strumenti di realtà virtuale per simulare scenari realistici e applicare le conoscenze teoriche in contesti pratici.

La progettazione di questi spazi non si limita alla semplice integrazione di tecnologie avanzate, ma si configura come un ecosistema pedagogico dove la sperimentazione didattica si evolve costantemente. In questi ambienti, il problem-solving diventa un’esperienza concreta, e gli studenti imparano ad affrontare situazioni reali con strumenti innovativi, sviluppando competenze trasversali che li preparano alle sfide del futuro. Così, i Future Learning Labs non solo rivoluzionano l’insegnamento, ma creano un nuovo paradigma educativo centrato sull’autonomia, la partecipazione e la sperimentazione.

Leonardo’s Lab – Circolo Didattico San Filippo di Città di Castello

Il Leonardo’s Lab rappresenta un ambiente in cui la tecnologia e la creatività si incontrano per dare vita a un’esperienza educativa trasformativa. Il suo approccio interdisciplinare non si limita all’integrazione di coding, robotica e pensiero computazionale, ma crea un ecosistema in cui la sperimentazione diventa il motore dell’apprendimento. Qui gli studenti non si limitano a eseguire esercizi preconfezionati, ma sviluppano progetti autonomi che li portano ad affrontare problemi complessi con soluzioni innovative.

L’apprendimento basato sull’esperienza diretta (learning by doing) è al centro della metodologia adottata nel laboratorio. Gli studenti hanno la possibilità di esplorare, creare e testare le loro idee attraverso prototipi funzionanti, sperimentando direttamente i principi della scienza e dell’ingegneria in modo pratico e coinvolgente. Questo processo rafforza non solo le competenze tecniche, ma anche la capacità di lavorare in team, di adattarsi a sfide inaspettate e di affinare il pensiero critico e creativo.

La dimensione innovativa del Leonardo’s Lab non si esaurisce nell’utilizzo delle tecnologie avanzate, ma si esprime anche nella capacità di stimolare una mentalità progettuale e imprenditoriale nei giovani. Attraverso il confronto con problemi reali e la necessità di trovare soluzioni efficaci, il laboratorio si configura come un autentico incubatore di idee e di talenti, in grado di preparare gli studenti alle sfide del mondo contemporaneo.

Spazio LEO – Istituto Comprensivo 3 di Modena

Lo Spazio LEO dell’Istituto Comprensivo 3 di Modena si distingue come un innovativo laboratorio educativo in cui il sapere non è un insieme di nozioni statiche, ma un flusso in continuo movimento. Il concetto di “Rafts of Knowledge” (ZAC) diventa il principio fondante di un ambiente di apprendimento che rompe con la tradizionale separazione tra discipline, favorendo la costruzione di competenze attraverso la contaminazione reciproca dei saperi.

In questo spazio, la robotica non è solo un esercizio tecnico, ma una porta d’accesso a una riflessione più ampia sul rapporto tra uomo e macchina, sulle implicazioni etiche della tecnologia e sul suo impatto nella società contemporanea. La narrazione digitale non si riduce alla creazione di contenuti multimediali, ma diventa un mezzo attraverso il quale gli studenti apprendono a dare forma alle loro idee, a esprimersi in maniera critica e a costruire percorsi di senso all’interno del flusso informativo digitale. Il web/video making non è solo un’attività pratica, ma un laboratorio di pensiero critico, in cui le immagini e le parole si intrecciano per creare nuove forme di comunicazione e rappresentazione della realtà.

Il valore di questo laboratorio risiede nella sua capacità di offrire agli studenti un’esperienza formativa che va oltre l’accumulo di conoscenze, promuovendo un’intelligenza flessibile, capace di adattarsi ai cambiamenti e di affrontare le sfide del futuro con spirito critico e creativo. L’interazione tra saperi, la sperimentazione attiva e la possibilità di applicare ciò che si apprende in contesti pratici rendono lo Spazio LEO non solo un laboratorio di apprendimento, ma un vero e proprio incubatore di innovazione educativa.

Newsroom – Istituto Comprensivo Gaetano Salvemini di Torino

Il laboratorio Newsroom non è semplicemente uno spazio dedicato alla formazione giornalistica e alla comunicazione multimediale, ma un ambiente vivo in cui gli studenti sperimentano il ruolo di cittadini attivi e informati. Basato sulla metodologia EAS (Episodes of Located Learning), il laboratorio replica fedelmente le dinamiche di una vera redazione, dove gli studenti assumono diversi ruoli editoriali, dall’inviato sul campo all’editor, dal graphic designer al responsabile social media. Questo processo non si limita alla semplice produzione di articoli o contenuti multimediali, ma implica una comprensione approfondita dei meccanismi dell’informazione e del potere che essa detiene nella società contemporanea.

Attraverso l’esperienza diretta, i ragazzi imparano a valutare le fonti, a verificare l’attendibilità delle informazioni e a riconoscere le strategie di manipolazione mediatica. L’analisi critica diventa così un esercizio quotidiano, un’abitudine che stimola il pensiero autonomo e responsabile. La sfida non è solo scrivere una notizia, ma capire il contesto in cui si inserisce, il linguaggio più efficace per comunicarla e le implicazioni sociali ed etiche della diffusione dell’informazione. In questo senso, Newsroom non è solo un luogo di apprendimento tecnico, ma un vero e proprio laboratorio di cittadinanza digitale, dove gli studenti acquisiscono gli strumenti per interagire con il mondo dell’informazione in modo consapevole, critico e creativo.

Thinking Classrooms – Liceo Scientifico A. Diaz di Caserta

Le Thinking Classrooms del Liceo Scientifico Statale A. Diaz di Caserta rappresentano un ambiente didattico in cui il pensiero critico non è solo incoraggiato, ma diventa il fulcro di un processo di apprendimento trasformativo. Queste aule sono progettate per ribaltare l’approccio tradizionale alla didattica, sostituendo il modello passivo di ricezione delle informazioni con un’interazione dinamica e continua tra studenti e docenti. Attraverso strategie didattiche attive, gli studenti sono chiamati a confrontarsi con problemi complessi, a formulare ipotesi, a metterle alla prova e a rivederle in base ai risultati ottenuti.

Il valore di questo ambiente non risiede solo nella trasmissione delle conoscenze, ma nella capacità di sviluppare autonomia di pensiero, flessibilità cognitiva e abilità di problem-solving. Il confronto tra pari è un elemento essenziale del percorso formativo: attraverso il dialogo e la collaborazione, gli studenti imparano a difendere le proprie idee, ma anche a metterle in discussione e a modificarle grazie a nuove prospettive. Questo approccio promuove la co-costruzione della conoscenza, facendo dell’apprendimento un processo fluido e partecipativo, in cui il sapere non è un’entità statica ma un campo aperto all’esplorazione e alla riformulazione continua.

Laboratorio di Progettazione 3D Avanzato in CAD-CAM e Metaverso – ITT Majorana di Milazzo

L’ITT Majorana di Milazzo ospita un laboratorio altamente specializzato che rappresenta un crocevia tra innovazione tecnologica e formazione tecnica avanzata. Questo spazio non si limita a fornire strumenti all’avanguardia, ma diventa un vero e proprio ambiente di sperimentazione dove la tecnologia diventa un’estensione delle capacità cognitive e operative degli studenti. Attraverso l’utilizzo di macchine CAD-CAM, gli studenti apprendono non solo la progettazione avanzata, ma sviluppano un approccio critico all’ingegneria, comprendendo le implicazioni pratiche delle loro scelte progettuali e i processi produttivi a esse connessi.

L’integrazione di visori per il metaverso e sistemi di realtà aumentata amplia ulteriormente le possibilità di apprendimento, offrendo agli studenti la possibilità di immergersi in simulazioni avanzate che replicano scenari reali, dalla progettazione architettonica alla meccanica avanzata. Questo approccio non solo rende più concreta la formazione teorica, ma stimola la capacità di problem-solving in contesti multidimensionali.

L’utilizzo di robot collaborativi e bracci meccanici intelligenti porta la didattica a un livello superiore, permettendo agli studenti di interagire con sistemi automatizzati e di comprendere il funzionamento della produzione industriale moderna. In questo ambiente, la formazione non si riduce all’uso di tecnologie avanzate, ma si configura come un percorso di crescita che stimola il pensiero critico, la creatività e la capacità di lavorare in team, preparando i futuri professionisti a un mercato del lavoro sempre più orientato all’innovazione.

Conclusione

I Learning Labs italiani incarnano un paradigma di trasformazione educativa, in cui la scuola non è più un semplice luogo di trasmissione di conoscenze, ma un laboratorio dinamico in cui si costruisce il sapere attraverso l’esperienza diretta. L’apprendimento diventa così un processo fluido, adattabile, capace di rispondere in tempo reale alle esigenze di una società in continua evoluzione.

L’adozione di tecnologie avanzate non è fine a sé stessa, ma diventa il mezzo attraverso cui gli studenti possono esplorare scenari complessi, sviluppare il pensiero critico e affinare le proprie competenze in un contesto di problem-solving reale. Le metodologie attive utilizzate all’interno di questi spazi abbandonano il modello trasmissivo dell’insegnamento tradizionale per privilegiare un approccio interattivo, in cui la collaborazione, la creatività e l’autonomia sono i pilastri fondamentali.

In questi ambienti, la scuola si configura come un ecosistema di apprendimento continuo, in cui ogni studente diventa protagonista del proprio percorso formativo, maturando la consapevolezza che il sapere non è mai statico, ma il risultato di una costruzione progressiva, condivisa e in costante evoluzione.

Una governance inadeguata

Una governance inadeguata e l’implosione della scuola italiana nella quarta rivoluzione industriale

di Pietro Boccia

La scuola italiana sta implodendo principalmente per l’inadeguatezza della governance, come procedura funzionale alla crescita di un’istituzione, e della leadership, come strategia per il perseguimento di obiettivi condivisi, ad ogni livello. In Italia, anche la lingua è messa ai margini con le stupidaggini dei made in Italy, degli open day e così via. La lingua inglese, imposta dalla democrazia totalitaria degli Stati Uniti per un controllo sui Paesi europei, dovrebbe, pure in Italia, essere impiegata soltanto per comunicare con quelli che non conoscono quella italiana. Non è pensabile che la lingua italiana, la quarta maggiormente adottata a livello mondiale, in Italia, venga, invece, trascurata. Perciò, nella scuola italiana serve una rivoluzionaria e coraggiosa riforma, come è avvenuto nel 1959 negli Stati Uniti con la Conferenza di Woods Hole, coordinata da Jerome Bruner. Già negli anni Novanta del Novecento la scuola italiana incomincia ad implodere. Con il comma 16 dell’art.21 della Legge n. 59/1997 e il relativo D.lgs. n. 59/1998, l’istituzione scolastica italiana viene immersa nel processo di aziendalizzazione neoliberista, producendo un forte appiattimento e, in generale, l’ilotizzazione del personale. La quarta rivoluzione industriale e la società complessa esigono, invece, l’effettiva autonomia non solo didattica e organizzativa ma anche di ricerca, sperimentazione e sviluppo delle istituzioni scolastiche. Solo in tal modo i livelli essenziali di prestazione potrebbero essere perseguiti e raggiunti. Il pensiero di ogni cittadino, all’interno delle società complesse, deve essere fluido, flessibile e critico per acquisire una cultura all’altezza dei tempi e poter rispondere adeguatamente alle gigantesche sfide odierne. In verità, la quarta rivoluzione industriale si è ormai affermata e la scuola italiana ancora non riesce a diventarne consapevole. 

Chi è destinato alla governance delle istituzioni scolastiche, nella società di oggi, complessa e liquida, deve possedere moltissime competenze (normativa riferita al sistema educativo di istruzione e di formazione e agli ordinamenti degli studi in Italia con particolare attenzione ai processi di riforma in atto; modalità di conduzione delle organizzazioni complesse, con particolare riferimento alla realtà delle istituzioni scolastiche ed educative statali; processi di programmazione, gestione e valutazione delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla predisposizione e gestione del Piano triennale dell’offerta formativa, all’elaborazione del Rapporto di autovalutazione e del Piano di miglioramento, nel quadro dell’autonomia delle istituzioni scolastiche e in rapporto alle esigenze formative del territorio; organizzazione degli ambienti di apprendimento, con particolare riferimento all’inclusione scolastica, all’innovazione digitale e ai processi di innovazione nella didattica; organizzazione del lavoro e gestione del personale, con particolare riferimento alla realtà del personale scolastico; valutazione ed autovalutazione del personale, degli apprendimenti e dei sistemi e dei processi scolastici; elementi di diritto civile e amministrativo, con particolare riferimento alle obbligazioni giuridiche e alle responsabilità tipiche del dirigente scolastico, nonché di diritto penale con particolare riferimento ai delitti contro la Pubblica amministrazione e in danno di minorenni; contabilità di Stato, con particolare riferimento alla programmazione e gestione finanziaria presso le istituzioni scolastiche ed educative statali e relative aziende speciali; sistemi educativi dei Paesi dell’Unione europea; elementi essenziali in campo socio-psico-pedagogico). Il possesso di tali competenze sono indispensabili per affrontare le numerose sfide che le istituzioni scolastiche quotidianamente sono costrette a risolvere. Oggi, la società vive la quarta rivoluzione industriale

(digitale o meglio di interconnessione e di convergenza tra la robotica, la genomica, l’intelligenza artificiale e le neuroscienze), e, in essa, si realizza pienamente la centralità non solo dell’aziendalizzazione di ogni istituzione ma anche della soggettiva imprenditorialità, attraverso il diventare ognuno imprenditore di se stesso e perfetto consumatore, destinati a sostituire i lavoratori delle precedenti rivoluzioni industriali. 

La società attuale è caratterizzata soprattutto dai processi di imprevedibilità, di velocità e di impatto immediato su tutte le discipline e su tutte le organizzazioni del lavoro. Gli effetti imprevedibili e immediati sui saperi e sul mercato del lavoro non si riesce, ancora, a comprendere e definire. Quello che è chiaro è che alcune professionalità sono destinate a scomparire. Bisogna, perciò, predisporsi, a sostituirle. La sostituzione di una professionalità con un’altra è stata storicamente normale nelle altre rivoluzioni industriali. Nella prima rivoluzione industriale agli artigiani sono subentrati gli operai; nella seconda e nella terza gli impiegati e i consumatori sostituiscono gradualmente il proletariato. Agli inizi della quarta rivoluzione industriale non solo i Paesi dell’Est, ma anche le aree del Sud del mondo sono entrate in conflitto con quelle del Nord. Tali aree calde si sono, così, dislocate, dopo la caduta del muro di Berlino, altrove. Il superamento dei conflitti armati s’intreccia, dunque, con il problema della pace e della tutela dei diritti individuali e collettivi. Le democrazie totalitarie e il capitalismo finanziario si sa che remano contro, perché sono ben consapevoli che non si può mai costruire, quando ai singoli uomini e ai popoli sono negati tali diritti, un ordine mondiale, basato sulla pace. Soltanto le pochissime teste critiche e pensanti, ancora non arruolate ai totalitarismi, sanno che i diritti individuali e collettivi devono essere riconosciuti e garantiti, attraverso una forte e condivisa istituzione sopranazionale, dal diritto internazionale, anche se ciò, oggi, purtroppo, non è nemmeno più sufficiente, giacché è emersa una nuova forma di conflitto armato, ovverosia il terrorismo. Le azioni terroristiche, imprevedibili e, a volte, immotivate, mettono in discussione non solo ogni possibilità di risolvere in maniera razionale le controversie tra le parti in conflitto, ma anche il processo di globalizzazione. I protagonisti di tali azioni sono, tuttavia, ricondotti al fenomeno della globalizzazione, perché sono identificabili e vivono nei non-luoghi, teorizzati dall’antropologo francese Marc Augé. L’attacco dell’11 settembre 2001 alle Twin Towers, vale a dire contro il simbolo della moderne sofisticazioni tecniche, rappresentate da gigantesche costruzioni, ha, da un lato, segnalato l’esistenza di un nemico senza volto, che è difficile rintracciare e combattere, e, dall’altro, l’impossibilità di reagire, in maniera immediata, per trasformare l’angoscia dell’avvenire in forza positivamente propulsiva, affinché le società acquisiscano la sicurezza indispensabile per progettare e per costruire un futuro di pacifica convivenza.

La globalizzazione sta ridisegnando l’ordine gerarchico del sistema mondiale e, contemporaneamente, sta incidendo profondamente sia sulla vita quotidiana degli uomini sia sulla consapevolezza dei problemi da risolvere, che, essendo universali, devono far acquisire una responsabilità condivisa. Essa è un fenomeno complesso e si presenta, per il momento, solo come processo di integrazione economica; si auspica, però, che si diffonda anche come realtà culturale e sociopolitica. Il primo aspetto è prodotto per l’interdipendenza, a livello mondiale, tra i vari Paesi sia per l’esistenza delle multinazionali sia per l’esigenza di importazione e di esportazione delle materie prime e delle merci. Il secondo potrebbe essere rappresentato dall’integrazione culturale di alcuni popoli nei confronti di altri. Il terzo aspetto (sociopolitico) riguarda la nascita, a livello internazionale, di organizzazioni politiche (l’ONU, OCSE e così via) e sociali (OMS, UNESCO e così via). Il processo di globalizzazione ha, oggi, subito una forte accelerazione. Le spinte di liberalizzazione e di deregolamentazione, prima di tutto nel campo economico, hanno condotto, all’affermazione della concezione del neoliberismo e del capitalismo non solo totalitario, ma anche finanziario; quest’ultimo, dopo quello sperimentale (dal mondo classico al Settecento) e conflittuale (dalla prima rivoluzione industriale alla caduta del muro di Berlino – 1989 -), è riuscito, eliminando, al suo interno la classe della borghesia illuminante e degli intellettuali della “coscienza infelice”, ad affermarsi e a diffondersi fino a diventare, annebbiando tutte le coscienze, una modalità naturale per tutti. In tal modo, i capitali e le merci, circolando liberamente, facilitano e favoriscono la formazione, a livello globale, di un unico mercato. In un simile contesto, le banche e le imprese finanziarie hanno acquisito, emarginando gli scambi culturali e le comunicazioni interpersonali, un ruolo preminente. 

I cambiamenti negli apparati degli scambi economici accentuano, invece, di eliminare, a livello mondiale, sperequazioni e contrasti tra gli uomini all’interno delle società. Circa un terzo di cittadini è, infatti, costretto a vivere in totale povertà. Diventa, quindi, necessario, come molti sostengono, un forte impegno per affrontare e risolvere una tale iniquità. Solo in tal modo, il mercato globale diventerebbe, per l’intera umanità, un’opportunità. Gli Stati devono, per conseguire un tal risultato, sostenere, tramite intese e accordi di collaborazione, il processo di globalizzazione con politiche appropriate. Diversamente si producono conseguenze devastanti, come, ad esempio, l’omologazione mondiale dei mercati, e non si riesce a determinare in modo uniforme la distribuzione delle ricchezze. Il processo di globalizzazione ha, anzi, accentuato il divario tra i Paesi ricchi e le aree povere. Oggi, nel mondo, il 18% della popolazione dispone dell’83% del reddito mondiale, mentre l’82% della restante popolazione deve accontentarsi del 17% del reddito). Per Joseph E. Stiglitz, come ha scritto in La globalizzazione e i suoi oppositori, Einaudi editore, Torino 2002, p. 5, “se la globalizzazione non è riuscita a ridurre la povertà, non è riuscita neppure ad assicurare la stabilità”. In un recente censimento della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura) si sostiene addirittura che un miliardo e trecento milioni di persone non disponga, per la propria sopravvivenza, nemmeno di un dollaro al giorno. In tal modo, solo alcuni popoli vivono e partecipano al processo di globalizzazione; altri sono, invece, costretti, proprio perché le loro società non riescono a tenere il passo delle nuove tecnologie e dell’economia mondiale, a vivere ai margini o a essere esclusi dai canali di comunicazione e dai mercati internazionali.

Nel capitalismo finanziario e totalitario, per l’avvento della tecnologia informatica e digitale, tutte le attività economiche utilizzano, per essere efficacemente presenti sul mercato, esperti nella raccolta e nell’elaborazione di informazioni. Si sono, perciò, nelle società attuali, formate élites delle reti informatiche e gerarchie tra chi le rappresenta e quelli che sono costretti a subirle. Si produce, di conseguenza, un nuovo conflitto, perché le prime, vivendo nelle loro fortezze, non hanno alcun interesse per il territorio, e i secondi, pur non avendo, per il momento, alcuna possibilità di modificare la realtà, fanno, tuttavia, pressione per migliorare la loro condizione di vita e per riuscire a entrare nel sistema. Nelle società del capitalismo finanziario e totalitario si è, attraverso il processo di globalizzazione, tanto liberalizzato il capitale quanto asservita la vita della maggior parte delle popolazioni di quelle nuove periferie che si trovano nelle aree marginali. In verità, solo il denaro e il capitale sono diventati soggetti liberi. Se, ad esempio, una multinazionale decidesse, infatti, di trasferirsi dall’Europa o dagli Stati Uniti all’Asia o in altre aree emergenti, moltissimi si troverebbero all’improvviso senza lavoro. Non si può assolutamente pensare, in tal caso, a politiche sociali dell’occupazione, perché, mentre il denaro e il capitale si trasferiscono alla velocità dei nuovi mezzi di comunicazione, gli uomini si spostano lentamente o sono costretti a vivere segregati nei loro territori. 

La spietata concorrenza sul mercato mondiale e l’apertura di nuovi canali di comunicazione nei mercati internazionali stanno producendo la scomparsa dei confini e delle barriere nazionali, perché il digitale e le reti informatiche interconnesse non hanno alcun bisogno di confini territoriali e rappresentano i valori reali della globalizzazione. Le imprese, con la globalizzazione, sono facilmente acquisite da grandi organizzazioni economiche senza patrie e transnazionali, perché hanno un’assoluta libertà di manovra, senza essere, a livello territoriale, vincolate e senza avere appartenenza culturale. Oggi le imprese globalizzate sono i colossi delle reti informatiche (Google, Facebook, Amazon e Microsoft). Esse hanno, come scrive Shoshana Zuboff nel libro Il capitalismo della sorveglianza, il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri, tradotto da Paolo Bassotti, Luiss University Press, Roma 2019, p. 105, costruito sistemi per trasformare i comportamenti umani attraverso attività pervasive, messe in atto dal capitalismo totalitario, non sfruttando più soltanto la natura, come è avvenuto con quello dialettico, ma, con i mezzi tecnologici, anche l’essere umano, asservendolo. “Il capitalismo industriale trasformava le materie prime naturali in prodotti; allo stesso modo il capitalismo della sorveglianza si appropria della natura umana per produrre le proprie merci.

La natura umana viene raschiata e lacerata per il mercato”. Il capitalismo finanziario e totalitario, attraverso un’architettura globale, agisce, attraverso informazioni e dati, di cui entra in possesso quando noi con un clic diamo il consenso, sui comportamenti umani, asservendo l’anima per i credenti e la mente per tutti gli altri. Già, nel 1980, Jeremy Rifkin in Entropia, Mondadori, Milano, 1982, p.

150, lamenta che “gran parte dell’energia consumata nelle moderne economie industriali rappresenta il prezzo che paghiamo per la velocità e che la categoria degli economisti non ha ancora compreso che la legge dell’entropia è la coordinata fisica di base della scarsità”.

Il sociologo Zygmunt Bauman riesce a cogliere, con la sua teoria di “società liquida”, il divario tra le imprese finanziarie e la politica, che, nella quarta rivoluzione industriale, permetterebbe alla globalizzazione di trasformarsi in una forza dirompente, a livello mondiale; egli, poi, ammonisce, riflettendo sul fatto che i politici, nella maggior parte dei casi, sono incompetenti. Le nuove generazioni, pertanto, non devono far prevalere l’emozione, perché questa non è utile per costruire ma per demolire qualcosa. Nell società liquida, l’esperienza individuale e le relazioni sociali sono contrassegnate da caratteristiche e da realtà fluide e volatili che si decompongono e ricompongono velocemente e in maniera continua. I giovani devono, perciò, assumere la consapevolezza che bisogna, a ogni livello, organizzare il terreno per costruire un nuovo gruppo dirigente. La paura propagata dall’incertezza umana non può durare a lungo. L’uomo, condotto in una situazione di fragilità del tutto inedita, sentirebbe, infatti, per Bauman, il bisogno di costruire qualcosa di “solido” e “vecchio”, come bussola quanto mai attuale, vale a dire “il socialismo”. In un’intervista al “Corriere della Sera”, Bauman afferma: “C’è più bisogno di socialisti da che è caduto il Muro di Berlino”. Egli continua: “Prima il comunismo è stato – Zygmunt Bauman, intervista di Serena Zoli al Corriere della Sera del 13 ottobre 2002 – con il fiato sul collo del capitalismo producendo un meccanismo di ‘controllo ed equilibrio’ che ha salvato il capitalismo stesso dall’abisso. Ora è indispensabile il socialismo: non lo ritengo un modello alternativo di società, ma un coltello affilato premuto contro le clamorose ingiustizie della società, una voce della coscienza finalizzata a indebolire la presunzione e l’auto-adorazione dei dominanti”. Non bisogna, in ogni modo, perdere di vista il liberalismo, perché – continua l’intervista – “la sicurezza dei mezzi di sussistenza e la libertà sono complementari”; per il sociologo polacco è il socialismo, come sintesi di società libera e giusta, l’apripista per la salvezza dell’umanità. Anzi, Bauman conclude nell’ultima sua opera Società, etica e politica, dichiarando nella stessa intervista “come la fenice, rinasce dal mucchio di ceneri lasciate dai sogni bruciati e dalle speranze carbonizzate degli uomini. E sempre risorgerà. Se è così, spero di morire socialista”. Sono idee importanti, espresse da un sociologo, ritenuto di spessore mondiale.

Nel società del capitalismo finanziario e totalitario, bisogna acquisire consapevolezza che gli ideali della democrazia e del socialismo, essendo fragili e precari (Bauman direbbe “liquidi”), sono di difficile attuazione. È più semplice e meno rischioso, a livello individuale, piegare la testa e diventare servili. Comporta meno rischi e minore responsabilità. Sono, tuttavia, i giovani, che, di norma, condividendo tutto quello che è necessario contestare e rifiutare, devono trovare una sintesi sulle risposte da dare a quello che desiderano realizzare, perché il comune denominatore è, oggi, rappresentato dalla precarietà economica e dall’insicurezza psicologica. Da più parti si afferma che ci sia ormai un legame stretto tra la crisi economica degli ultimi anni e quella sociale che sta imperversando un po’ ovunque. Molti sostengono che occorre passare quanto prima da un’economia del consumo a un’economia di produzione, sanando da un lato il debito sovrano dei Paesi in crisi

(Italia compresa) e, dall’altro, rilanciando lo sviluppo economico. Il divario tra i ricchi e i poveri è destinato ad aumentare se continuano a non essere messi sotto controllo dalla politica i mercati, le tecniche finanziarie e gli investimenti economico-capitalistici. All’avvento della cultura neoliberista, venuta fuori per occultare la visione del maltusianesimo, del darwinismo sociale e dell’eugenetica, anche l’Italia è diventata preda della strategia del capitalismo finanziario e totalitario. I partiti di centro-destra sono, in tal modo, costretti a governare decisioni assunte dalla concentrazione capitalistica-finanziaria di destra, mentre quelli di centro-sinistra a governare e scimmiottare le decisioni che assume la concentrazione capitalistica-finanziaria, che, grottescamente, si definisce di sinistra. La politica deve, pertanto, ritornare alla sua centralità. Oggi i politici, a livello globale, non hanno potere, ma assumono e governano decisioni imposte dai poteri finanziari ed economici. In Italia, tale condizione è ancora maggiormente accentuata. Dagli inizi degli anni Novanta, la politica italiana governa, in maniera eterodiretta, decisioni delle forze capitalistico-finanziarie internazionali. Nell’ultimo decennio del Novecento, se alla guida della politica italiana ci fossero stati politici di spessore e non ragionieri, spacciatosi per economisti, si sarebbe sicuramente aperto un dibattito sul ruolo dell’Italia di poter diventare testa e guida dei popoli del mediterraneo oppure di decidere, com’è avvenuto acriticamente, ad accodarsi nemmeno all’Europa dei cittadini, prefigurata dai democratici e socialisti del secolo scorso, ma dei mercati e della finanza. 

Agli inizi degli anni Novanta è, in Italia, presente un deficit economico del 7%. Il 65% del prodotto interno lordo (PIL) è, tuttavia, gestito in maniera diretta o indiretta dallo Stato, che ha, come welfare state, uno scopo sociale. Intanto si decide di entrare nell’Unione europea e secondo i parametri di Maastricht, occorre, per operare a tal fine, privatizzare e portare il deficit dello Stato al 3%.  La politica di allora ragionieristica e non di spessore, invece di confrontarsi sui parametri, fa due devastanti interventi per l’Italia, vale a dire lo smantellamento delle imprese con le privatizzazioni e la disgregazione sociale con la riduzione del deficit dal 7% al 3%. Per quanto concerne le privatizzazioni non c’era efficienza allocativa. Questa “ha a che fare – ha scritto Roberto Fazioli, Dalla proprietà alle regole, Franco Angeli, Milano, 1995, p. 100 – con la relazione fra prezzi e costi marginali di produzione: essa sarà massima quando i primi ricalcano i secondi, quando le quantità desiderate saranno pari a quelle offerte”. Con l’algoritmo della riduzione del debito di quattro punti (dal 7% al 3%) s’interviene con il 2% di aumento delle tasse (dal 27% sino al 53%), con la percentuale del 1,3% attraverso la diminuzione del costo della lira, attivando lo smembramento del ceto medio e, di conseguenza, permettendo l’arricchimento dei pochi e l’impoverimento di molti; infine, con la percentuale del 1,7% di taglio su ricerca e istruzione, vengono messe a repentaglio la cultura e la creazione, in Italia, di una futura classe dirigente. 

Non ci potranno, senza mettere al centro la palla della politica italiana, mai essere misure e interventi adeguati a far crescere il Paese e dare respiro alle nuove generazioni. Bisogna rompere la spirale e l’intreccio (solo i giovani possono farlo, perché non sono ancora socializzati al conformismo) tra la politica e il potere economico-finanziario del capitalismo totalitario. Dopo aver fatto acquisire alla politica un’adeguata autonomia, bisognerebbe intervenire non solo sulla riforma del mercato del lavoro, ma anche operare opportuni interventi sulle politiche fiscali e previdenziali, che, in qualche modo, dovrebbero avere lo scopo di ridurre le disuguaglianze sociali. Si migliorerebbero, di conseguenza, ridistribuendo adeguatamente la ricchezza, le condizioni di ognuno e di tutti. Bisogna, per riscoprire l’orizzonte e ritrovare il cammino, liberare le energie di ogni singolo soggetto e arginare la cultura politica del neoliberismo. La libertà è un processo, che si attua e si afferma in maniera graduale. Attraverso tale processo, la successione dei fenomeni e degli avvenimenti ha una propria forza storica, perché la libertà è interiorizzata e rivissuta, come risultato proiettivo, prima dall’individuo e, poi, dalla società. Questa perenne attività dell’uomo, nel suo cammino, incontra, per forza di cose, il mondo dell’ambiente sociale, che lo circonda e che diviene una sua parte integrante. É chiaro che gli esseri umani sono diversi gli uni dagli altri; essi vivono la diversità nella misura in cui la coscienza è in grado di allargare o di restringere il campo di svolgimento della libertà. Zygmund Bauman in Modernità liquida, Editori Laterza, Bari, 2002, p. 248, scrive, infatti che “gli individui fragili, condannati a vivere in una realtà porosa, si sentono come chi pattina su uno strato di ghiaccio”. Perciò, nei rapporti con la realtà oggettiva, l’uomo quanto più fortemente vive la sua libertà di azione tanto maggiormente comprende il mondo circostante come ostacolo o come risorsa per la sua stessa realizzazione. Il vincolo, posto all’individuo, è tutto ciò che non attiene alla sua libertà interiore.  L’umanità, per superare la condizione di una tale disumanizzante realtà, deve riappropriarsi del presente e, avvalendosi di un pessimismo solare e di un ottimismo crepuscolare, sottrarre il futuro al potere della tecnica e della finanziarizzazione della società. Si deve andare, dunque, verso una globalizzazione non solo economica, ma anche culturale, sociale e politica, attraverso una mobilitazione globale, vista quest’ultima come un processo di cambiamenti sociali, vale a dire disgregazione o rottura, spostamento o sganciamento individuale, mobilitazione psicologica (ritirata o disponibilità), mobilitazione oggettiva, reintegrazione. In un tale contesto, per l’incompetenza e l’insipienza politica che a cascata si espande all’intera società, la scuola italiana sta implodendo e i Dirigenti scolastici non possono più, per la complessità delle sfide quotidiane, governarne i processi. L’implosione della scuola italiana è ormai una realtà. La società attuale, complessa e in continua trasformazione, ha bisogno di più istruzione e formazione, per comprenderne i processi e governarli. La governance della scuola, soggiogata inconsapevolmente dalla democrazia totalitaria che governa l’Occidente, immagina, invece, di ridurre i tempi dell’istruzione e di fornire meno conoscenze e competenze alle future generazioni. Il senso della vergogna è il minimo che si possa provare. 

Sulla scuola bisogna intervenire con una riforma epocale attraverso una rivoluzione dal basso.

Servirebbe riorganizzare la scuola in 2 cicli d’istruzione dai 2 ai 18 anni. Un primo ciclo di 8 anni che dovrebbe comprendere la scuola dell’infanzia dai 2 ai 5 anni (3 anni) e primaria (5 anni); il secondo ciclo di 8 anni che dovrebbe includere la scuola secondaria di primo grado obbligatoria di 5 anni, di cui 3 dell’attuale scuola secondaria di primo grado e 2 del primo biennio della scuola secondaria di secondo grado con elementi di filosofia, letteratura greca e latina, radici della civiltà occidentale (i giovani a 12 anni hanno ormai acquisito un pensiero ipotetico/deduttivo -) e la scuola secondaria di secondo grado (3 anni, di cui 2 anni del secondo biennio e 1 anno del quinto anno della scuola secondaria di secondo grado). In tal modo non solo l’obbligatorietà e la certificazione delle competenze coinciderebbero e avrebbero un’intrinseca e logica conseguenza, ma anche i giovani italiani, come quelli di altri paesi dell’Unione europea, potrebbero affrontare un anno prima l’esame di Stato/maturità. 

Bisognerebbe, poi, abolire i carrozzoni ministeriali (i Dirigenti scolastici, i responsabili e gli Uffici degli ambiti scolastici territoriali), creando un diretto collegamento delle reti di scuole con gli USR e i Dipartimenti generali del Ministero della pubblica istruzione. L’autonomia delle istituzioni scolastiche e l’asfissia dirigenziale sono una contraddizione in termini. Sarebbe necessario introdurre, a tal proposito, l’elezione diretta e democratica di un coordinatore scolastico da parte del collegio dei docenti, perché la scuola dell’autonomia esige democrazia e partecipazione. Nello stesso tempo rafforzare e fortificare, per qualità professionali e competenze, il profilo del Direttore dei servizi generali e amministrativi (laurea in economia aziendale, giurisprudenza o equipollenti) per la governance giuridica-amministrativa delle scuole. Solo in tal modo si potrebbero invertire le proposte dell’accorpamento delle istituzioni scolastiche, finalizzate, nel compromettere ogni forma di didattica e nel sottrarre sedi di scuole alle piccole comunità, al risparmio economico. Si riconoscerebbe anche lo status delle scuole a rischio e di quelle di eccellenza. 

Si dovrebbe, poi, valorizzare massimamente il ruolo dei docenti sia riconoscendo l’insegnamento come una professione logorante e usurante sia equiparando i diritti e i doveri degli insegnanti italiani a quelli europei (compresi orario di lavoro e stipendio – in Germania, ad esempio, a fine carriera, i docenti percepiscono 80.378 euro annuali; invece, in Italia, a fine carriera, ne percepiscono annualmente appena 34.052 -). A proposito dei docenti si dovrebbe anche provvedere a dar vita a corsi specifici di specializzazione per gli insegnamenti STEM per ovviare agli errori, commessi negli anni Sessanta e Settanta del Novecento, nell’immettere in ruolo soggetti non in possesso di profili adeguati all’insegnamento di tali discipline. La scuola italiana, ancora oggi, specialmente nei Licei, ne sta pagando le conseguenze. Tra le altre cose, per far acquisire alla scuola italiana una certa centralità e prospettarne un futuro, è necessario:  

considerare gli allievi come soggetti di diritto e di doveri verso il mondo sociale e immaginare la scuola come un bene pubblico e condiviso. La scuola, in tutte le società democratiche, svolge, infatti, una funzione sociale;

far acquisire alle scuole la funzione di palestra della democrazia per costruire, attraverso una cittadinanza attiva, una società aperta e interculturale;

abolire il finanziamento delle scuole paritarie e private, rispettando l’art. 33 della Costituzione che recita: “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”. Negli ultimi dieci anni i fondi destinati dallo Stato alle scuole private si sono, invece, moltiplicati (nel 2012 – 286 milioni, nel 2022 – 626 milioni, quest’anno, nella Finanziaria, sono previsti ulteriori 50 milioni di euro per le scuole paritarie dell’infanzia). Gli allievi che intendono liberamente usufruirne dovrebbero con rette mensili pagarsi tale insegnamento;

valorizzare e non abolire i titoli di studio. Il mercato e i poteri forti aspirano ad abolire i titoli di studio per emarginare le classi sociali più deboli;

introdurre nella scuola primaria insegnanti per aree disciplinari. Non è umanamente immaginabile che un solo insegnante possa svolgere il ruolo di tuttologo;

prevedere che ogni docente di una classe di concorso (ad esempio A-12 – Materie letterarie e Storia) sia, dopo che la scuola si sia dato un rigoroso ed equilibrato regolamento, assegnato a un’aula. Gli studenti dovrebbero, in tal modo, scegliere responsabilmente e liberamente l’aula da frequentare. Il docente sarebbe, così, costretto a formarsi e qualificarsi continuamente; 

aspirare a un Ministero dell’istruzione che si converta in un Dicastero delle future generazioni per una crescita intelligente, democratica, inclusiva e pubblica.

Con riferimento alla scuola, il diritto amministrativo prefigura che l’interesse pubblico deve manifestarsi tramite il diritto vissuto non come fine ma come strumento. Questo è un principio che nella seconda Repubblica è stato smontato meticolosamente. Trasformare, poi, la scuola in azienda ha l’indiscutibile significato di forgiare le strutture che hanno come fine predominante l’attuazione, in contrapposizione alla “produzione” di un sapere critico, del profitto economico. Ciò avverrebbe, inoltre, in un sistema di spietata concorrenza ed emarginando, in tal modo, socialmente, economicamente e culturalmente i soggetti più deboli e svantaggiati.

La scuola, nella storia, è stata, al contrario, caratterizzata da una traiettoria e da un percorso lineare di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione, mettendo, al proprio interno, in moto i processi di: 

educazione universale (nel Seicento, pedagogia di Amos Comenio); 

scolarizzazione (illuminismo, Rivoluzione francese e istruzione pubblica con Condorcet); 

tendenza all’innalzamento dell’obbligo scolastico (legge Gabrio Casati, in Italia, nel 1859, e così via); 

orientamento all’unificazione dei sistemi educativi e formativi (riforma dei programmi “Brocca”, in Italia, 1992/1993); 

disponibilità all’individualizzazione e personalizzazione dell’insegnamento/apprendimento (riforma Moratti, in Italia, nel 2003); 

educazione permanente e inclusione (strategia di Lisbona, nel 2000, Europa/2020, nel 2010, Agenda 2030, nel 2015).

Con l’istruzione permanente e l’inclusione, il processo di democratizzazione dell’educazione, dell’istruzione e della formazione entra nella fase della massima espansione e realizzazione. La scuola deve, dunque, essere un concreto luogo di formazione ricorrente e continua di tutti i cittadini, affinché acquisiscano conoscenze adeguate ad interpretare la complessità della società e a conseguire le competenze, atte a governarne, in maniera autonoma e responsabile, i processi.

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