Che cos’è la cardinalità?


Il numero naturale e la cardinalità. Teoria degli insiemi, cardinali transfiniti e programmi d’insegnamento.

La nozione matematica di cardinalità è nata con la teoria degli insiemi: è una misura della grandezza di un insieme, cioè di “quanti elementi contiene”.
Più precisamente, due insiemi si dicono avere la stessa cardinalità se esiste una biezione tra di essi, vale a dire una corrispondenza biunivoca che associa a ogni elemento del primo insieme uno e un solo elemento del secondo, e viceversa. Questa definizione permette di confrontare la grandezza degli insiemi in modo strutturale, indipendentemente dalla loro natura o dalla loro disposizione.

Per gli insiemi finiti, la cardinalità coincide con il conteggio usuale: un insieme ha cardinalità ( n ) se contiene esattamente ( n ) elementi. In questo ambito, l’idea di numero come misura della quantità non presenta particolari difficoltà concettuali e si accorda bene con l’intuizione.

Quando si passa agli insiemi infiniti, però, la situazione cambia radicalmente.

Ciò avviene perché per gli insiemi infiniti vale un principio tanto semplice quanto sorprendente: un insieme infinito può essere posto in corrispondenza biunivoca con una sua parte propria. In altri termini, se esiste un insieme infinito, esso ha la stessa cardinalità di un suo sottoinsieme. Ovviamente, a garantirne l’esistenza c’è un apposito assioma: Esiste almeno un insieme infinito. Questo assioma ha un ruolo fondativo, paragonabile a quello che afferma l’esistenza e l’unicità dell’insieme vuoto.

Prendiamo un insieme di cardinalità ( 3 ). Quanti altri insiemi di cardinalità ( 3 ) esistono? Naturalmente infiniti: qualunque terna di oggetti distinti, indipendentemente dalla loro natura e dal loro ordine, realizza la stessa struttura quantitativa. Tutti questi insiemi sono tra loro equipotenti: ciò che li accomuna non sono gli elementi che li compongono, ma la possibilità di metterli in corrispondenza biunivoca. È questa proprietà comune, astratta dagli oggetti concreti, che viene identificata intuitivamente con il numero ( 3 ).

Allora, assumendo, in modo ingenuo, l’esistenza di un universo ( U ) di tutti gli insiemi, si può immaginare di raggruppare i suoi elementi secondo la relazione di equipotenza. In questo modo, tutti gli insiemi con un solo elemento, con due elementi, con tre elementi e così via vengono identificati tra loro. Il risultato è un insieme quoziente ( U / R ), dove ( R ) indica la relazione di equipotenza, le cui classi rappresentano le diverse cardinalità finite. È in questa forma che l’insieme dei numeri naturali si presentò, inizialmente, nella riflessione di George Cantor: come insieme delle grandezze finite, indipendenti dalla natura degli oggetti contati.

Quando si passa agli insiemi infiniti, alcuni di essi possono essere messi in corrispondenza biunivoca con l’insieme dei numeri naturali. Tali insiemi si dicono numerabili (o numerabilmente infiniti). Tutti gli insiemi numerabili hanno la stessa cardinalità, indicata con ( aleph_0 ) (“aleph zero”). Ne sono
esempi l’insieme dei numeri naturali ( mathbb{N} ), dei numeri interi ( mathbb{Z} ) e dei numeri razionali ( mathbb{Q} ). Sebbene questi insiemi sembrino, a prima vista, “più grandi” dei naturali, essi hanno in realtà la stessa cardinalità, poiché è possibile stabilire una biezione con ( mathbb{N} ).

Sono numerabili anche l’insieme dei numeri pari e dei numeri dispari, dei numeri quadrati, l’insieme dei numeri primi e l’insieme dei numeri algebrici, cioè dei numeri che sono soluzioni di equazioni polinomiali a coefficienti interi. In questo senso, la nozione di numerabilità individua una prima, robusta classe di infiniti tutti della stessa grandezza.

Non tutti gli insiemi infiniti, tuttavia, sono numerabili. L’insieme dei numeri reali ( mathbb{R} ) non è numerabile: non esiste alcuna biezione tra ( mathbb{R} ) e ( mathbb{N} ). La sua cardinalità è quindi strettamente maggiore di ( aleph_0 ) ed è indicata con ( 2^{aleph_0} ). Questa notazione non è puramente simbolica: riflette il fatto che ( mathbb{R} ) ha la stessa cardinalità dell’insieme delle parti di ( mathbb{N} ), cioè dell’insieme di tutti i suoi sottoinsiemi. Già a questo livello, dunque, l’idea ingenua di infinito
come semplice prosecuzione indefinita del finito si rivela insufficiente.

Il primo dei problemi posti da queste scoperte, è il primo dei grandi problemi di Hilbert: è noto come ipotesi del continuo: esiste una cardinalità intermedia tra ( aleph_0 ) e ( 2^{aleph_0} )? Dopo i risultati di Gödel, che ne mostrò la coerenza relativa con gli assiomi della teoria degli insiemi, Paul Cohen dimostrò nel 1963 che tale ipotesi è indipendente dagli assiomi di Zermelo–Fraenkel con l’assioma della scelta. In questo senso, il problema non ammette una soluzione definitiva nei termini di vero o falso all’interno di quella teoria.

Quello che dovrebbe emergere dal discorso che precede è che la nozione di cardinalità attraversa l’intera teoria degli insiemi e ne costituisce uno degli aspetti più fecondi, in particolare quando si estende al transfinito. Proprio per questo essa ha esercitato un’influenza profonda sull’insegnamento della matematica, soprattutto nella seconda metà del Novecento.

Il movimento della cosiddetta matematica moderna degli anni Cinquanta e Sessanta fu infatti improntato a una forte impostazione insiemistica, con proposte che, in molti casi — soprattutto a livello elementare — miravano addirittura a presentare il numero naturale come nozione derivata, secondaria rispetto a quelle di insieme e di corrispondenza. In questo contesto, pedagogisti e psicopedagogisti orientarono le loro ricerche verso l’individuazione delle idee ritenute più elementari e che, proprio per questo motivo, avrebbero dovuto essere introdotte per prime nell’insegnamento e costituirne le basi.

Una mappa precisa e condivisa di queste idee, atta a stabilire una subordinazione dei concetti — cioè una relazione di buon ordinamento tra di essi — anima per certi versi ancora quelle ricerche. Tuttavia, tali studi mettono sempre più in evidenza il loro interagire, piuttosto che l’esistenza di un ordine gerarchico univoco.

È vero, per molti, ad esempio, l’aspetto ordinale risulta più elementare di quello cardinale; per altri, ancora più elementare è l’atto del mettere in corrispondenza uno a uno. È infatti possibile confrontare le cardinalità di due insiemi senza contare esplicitamente i loro elementi, ma semplicemente stabilendo una corrispondenza biunivoca tra essi. In definitiva, è il loro interagire che libera il concetto di numero e ne favorisce la genesi e la formazione nella mente dei bambini.

A questo punto, dall’esposizione sviluppata fin qui — che ha toccato una molteplicità di questioni delicate — appare in piena luce il suo obiettivo di fondo: chiarire che cosa si intenda, oggi, per aspetto cardinale del numero naturale. Esso non va inteso come una proprietà intrinseca del numero, ma come una modalità del suo uso come misura della quantità, formalizzata attraverso la nozione di cardinalità.

Una sintesi particolarmente efficace di questa posizione epistemologica è stata formulata da Hao Wang, che nel suo Dalla matematica alla filosofia afferma: «Un numero naturale si può usare sia come ordinale sia come cardinale». L’osservazione chiarisce che ordinalità e cardinalità non esauriscono la natura del numero naturale così come il contare gli elementi di un insieme non esaurisce il significato stesso del contare. In questo contesto vanno ricordate anche le discussioni didattiche sull’opportunità che ordinali e cardinali fossero rappresentati mediante gli stessi simboli oppure mediante simboli distinti.

Negli ordinamenti ministeriali dell’insegnamento, un riferimento esplicito agli usi del numero naturale come ordinale e cardinale compare solo nei programmi Laeng del 1985. In essi si legge:

«Lo sviluppo del concetto di numero naturale va stimolato valorizzando le precedenti esperienze degli alunni nel contare e nel riconoscere simboli numerici, fatte in contesti di gioco e di vita familiare e sociale. Va tenuto presente che l’idea di numero naturale è complessa e richiede pertanto un approccio che si avvale di diversi punti di vista (ordinalità, cardinalità, misura, ecc.); la sua acquisizione avviene a livelli sempre più elevati di interiorizzazione e di astrazione durante l’intero corso della scuola elementare, e oltre.»

Si tratta di una formulazione che testimonia la competenza e la maturità pedagogica degli estensori di quel documento. Prima di allora, gli aggettivi cardinale e ordinale non comparivano nei programmi scolastici. Essi compaiono invece nelle Indicazioni Nazionali del 2004, tra gli Obiettivi Specifici di Apprendimento per la classe prima: «I numeri naturali nei loro aspetti ordinali e cardinali».

Nelle Nuove Indicazioni Nazionali del 2025, invece, tra le conoscenze al termine della classe quinta, compare la frase: «Il numero naturale nei suoi aspetti cardinale, ordinale, ricorsivo». Su questa aggiunta impropria  —l’introduzione dell’ aggettivo ricorsivo — si concentra una difficoltà concettuale già più volte messa in luce.

La ricorsività non è infatti un “aspetto” del numero naturale, ma rinvia a un principio di costruzione che tocca la natura del numero in modo più profondo e che non può essere collocato sullo stesso piano dei significati di cardinale e ordinale. Diversamente dagli altri due, l’aggettivo ricorsivo non riguarda una modalità d’uso del numero, ma un principio strutturale che ne governa la costruzione teorica. Questo apparirà ancora più chiaramente nel prossimo articolo, dedicato agli assiomi di Peano.

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