Giocare con l’arte animando le gif

Odio le gif. Mi disturba la loro ciclicità febbrile, l’enfasi comunicativa e la grafica generalmente volgare. Ciò non toglie che anche le gif possano diventare uno strumento didattico per scoprire l’arte, magari divertendosi… No, non parlo di quelle già pronte, con la Gioconda che fa le boccacce o van Gogh che perde un orecchio.

Queste sono robette goliardiche, che non aggiungono nulla alla nostra conoscenza dell’arte. Più interessante può essere creare da sé le proprie gif per raccontare qualcosa di nuovo e di interessante. Che cosa? Beh, ad esempio una delle serie di Monet, sovrapponendo in sequenza i quadri, per vedere …

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Pikachu e i Pokémon al Museo Van Gogh di Amsterdam fino al 7 gennaio

Dal 28 settembre 2023 al 7 gennaio 2024, Pikachu, Eevee, Snorlax e tanti altri Pokémon verranno mostrati sotto una luce tutta nuova al Museo Van Gogh di Amsterdam. Una serie di attività a tema Pokémon saranno disponibili nel museo e online, volte a far scoprire e conoscere le opere di Vincent van Gogh a giovani artisti in erba. Pokémon e il Museo Van Gogh hanno organizzato una collaborazione ufficiale volta a far scoprire le opere di Vincent van Gogh a un nuovo pubblico in occasione del cinquantesimo anniversario del museo. Emilie Gordenker, direttore generale del Museo Van Gogh, ha commentato: “Questa collaborazione permetterà alla prossima generazione di conoscere l’arte e la storia di Vincent van Gogh in un modo tutto nuovo. Il Museo Van Gogh e The Pokémon Company International hanno attinto da molti anni di pratica educativa per creare un’esperienza speciale per i bambini, per i loro tutori e, speriamo, per molti altri al Museo Van Gogh.”

La collaborazione tra Pokémon e il Museo Van Gogh presenterà le sue installazioni dal 28 settembre 2023 al 7 gennaio 2024. Per partecipare alle attività sarà necessario un normale biglietto d’ingresso al museo, acquistabile esclusivamente online. Alcune delle opere più famose di Vincent van Gogh presenti nella collezione permanente del Museo Van Gogh sono state usate come ispirazione per sei dipinti creati da artisti di The Pokémon Company. Tra questi sarà possibile ammirare Pikachu in un’opera ispirata all’Autoritratto con cappello di feltro grigio (1887), Sunflora nascosto in una variante del famoso quadro Girasoli (1889) e Snorlax e Munchlax che si rilassano in una creazione ispirata alla Camera da letto (1888). Questi sei quadri creati appositamente per l’occasione saranno esposti al primo piano dell’edificio principale (Rietveldgebouw).Il libretto “A Pokémon Adventure” guiderà i visitatori attraverso le opere di Vincent van Gogh che hanno ispirato le sei creazioni esposte nella speciale mostra “Pokémon at the Van Gogh Museum”. Durante questa attività, i visitatori scopriranno il museo e le storie legate ai dipinti. Una volta terminata l’attività, i partecipanti potranno consegnare il loro libretto completato per ricevere in cambio una speciale carta promozionale “Pikachu x Van Gogh Museum” (disponibile in lingua inglese e fino a esaurimento scorte). “A Pokémon Adventure” sarà disponibile in inglese e olandese. Partendo dalla collaborazione “Pokémon x Van Gogh Museum”, gli studenti scopriranno il legame tra Van Gogh e il Giappone e come l’ispirazione può essere una strada a doppio senso. I materiali didattici saranno disponibili in inglese e olandese.All’interno del museo, sarà disponibile un’attività video guidata (in inglese e olandese) che insegnerà ai visitatori come disegnare il famoso Pokémon Pikachu e li incoraggerà a provare. Inoltre, nel Van Gogh Museum Shop (pagina in inglese) sarà disponibile una serie esclusiva di prodotti Pokémon x Van Gogh Museum, con illustrazioni prese dalla collaborazione. Il direttore di licensing di The Pokémon Company International Mathieu Galante ha commentato: “Siamo sempre alla ricerca di partner fantastici con cui creare esclusive e gioiose esperienze per i fan di Pokémon, e questo è esattamente ciò che abbiamo trovato lavorando con il Museo Van Gogh. C’è un profondo legame tra l’ispirazione che ha portato alla creazione di Pokémon e quella che si cela dietro alcune delle opere più famose di Van Gogh. Con questa collaborazione, speriamo sinceramente di vedere dei bambini che scoprono il mondo dell’arte e vi si immergono attraverso le incredibili opere di Van Gogh e i Pokémon”.

Dopo l’ultima pennellata, la vita dei quadri tra musei e traslochi

Com’è finita a New York la Notte stellata di van Gogh? E che ci fa la Danza di Matisse a San Pietroburgo? E che dire della Madonna Sistina di Raffaello a Dresda?

Sono tutti luoghi molto distanti da quelli in cui ha vissuto l’autore ma questo è ciò che normalmente accade dopo che l’artista ha dato all’opera l’ultima pennellata e il quadro inizia la sua vita nel mondo. Una vita che generalmente conosciamo poco perché tendiamo a concentrarci sul significato del dipinto, sulla sua descrizione, sulle circostanze della sua nascita, ignorando in che modo sia poi giunto fino a noi.
Eppure quel pezzo di storia è molto importante perché è il momento in cui l’opera è diventata ‘arte’ confrontandosi con il mondo reale in tutta la sua consistenza fisica. Scoprire le vicende di un dipinto è avvincente quanto indagarne i simboli e i segreti ma ci aiuta anche a capire quali rischi corrano le opere d’arte nel momento in cui passano di mano in mano o stanno dentro un museo.

Visto che li abbiamo citati all’inizio, proviamo a scoprire la storia dei tre quadri in apertura. Della Notte stellata di van Gogh ci siamo già occupati a proposito di cieli notturni nell’arte, ma vediamo cosa è accaduto dopo che Vincent lo ha completato, tra maggio e giugno del 1889.
Il 28 settembre dello stesso anno lo fa recapitare al fratello minore Theodorus (detto Theo) a Parigi. Il 25 gennaio 1891, solo sei mesi dopo la morte del pittore, muore anche Theo e il dipinto (assieme ad altre duecento tele) rimane alla vedova, Johanna Bonger.

La donna, pittrice anch’essa, è stata fondamentale nell’affermazione della pittura di van Gogh grazie alla pubblicazione dell’epistolario dei due fratelli e all’organizzazione di mostre con le opere di Vincent.Quanto a Notte stellata, Jo la vende nel 1900 al poeta e critico d’arte Julien Leclercq che l’anno seguente la rivende al pittore Émile Schuffenecker.

Ma nel 1906 Bonger la riacquista per venderla alla galleria Oldenzeel di Rotterdam (che tra il 1892 e il 1906 aveva organizzato ben otto mostre interamente dedicate all’opera di van Gogh). La galleria chiude i battenti l’anno seguente e il dipinto viene acquistato da Georgette P. van Stolk, una donna di Rotterdam.
Nel 1938 Notte stellata viene comprata dal gallerista parigino Paul Rosenberg che la venderà al Museum of Modern Art di New York nel 1941.

Fino a quel momento si può dire che il dipinto non era mai stato esposto al pubblico. Ma da allora in poi la sua fama è stata sempre in ascesa, fino a diventare uno dei dipinti più famosi al mondo.
La storia de La danza di Matisse è meno avventurosa ma anche meno lieta. Venne realizzata nel 1910 assieme al pannello La musica per il mecenate russo Sergei Shchukin. Tra il 1897 e il 1907 il collezionista aveva già acquistato un centinaio di quadri tra i quali opere di Monet, Renoir, Degas, Cézanne, Gauguin e van Gogh.

Dal 1908 iniziò ad aprire al pubblico la sua collezione nella sua abitazione di Mosca ogni domenica mattina. Nello stesso periodo conobbe anche Picasso e negli anni seguenti comprò da lui quasi 50 tele.

È stato anche grazie a questo apporto culturale che si sono sviluppati in Russia il Cubismo, il Suprematismo e il Costruttivismo. Purtroppo Shchukin non potè godere a lungo della sua collezione: nel 1918, con l’ascesa di Lenin, la sue opere furono sequestrate dal governo e dichiarate “proprietà del popolo” e lui fu costretto a rifugiarsi a Parigi dove morì nel 1936.

Nel 1948 la collezione di Shchukin è stata smembrata tra il Museo Pushkin di Mosca e il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, dove oggi si trova La danza di Matisse.
Ma veniamo adesso alla Madonna Sistina di Raffaello, uno dei suoi dipinti più suggestivi realizzato tra il 1513 e il 1514. Per chi non lo conoscesse è quello con il famoso dettaglio dei due angioletti affacciati alla base.

Vasari tramanda che l’opera fu commissionata da papa Giulio II nel 1512 per la chiesa del convento benedettino di San Sisto a Piacenza, ed era dedicata a papa Sisto IV, zio del pontefice e promotore della rinascita della cappella Sistina. La grande pala d’altare è rimasta nell’abside della chiesa sino al 1754 (oggi se ne può vedere una copia settecentesca).

In quella data, dopo due anni di trattative, fu acquistata dal Grande Elettore Augusto III di Sassonia, re di Polonia, che desiderava ardentemente un’opera del grande pittore del Rinascimento. Pur di averla arrivò a pagare 25.000 scudi pontifici, una cifra allora spropositata – corrispondente a svariati milioni di euro – con la quale i monaci, in gravi difficoltà finanziarie, ripianarono tutti i loro debiti.
La tela venne portata alla Gemäldegalerie, cioè la galleria di pittura, dello Johanneum di Dresda (la scuderia cinquecentesca adibita a sala di rappresentanza) e pare che per quel dipinto il sovrano abbia persino spostato il trono dicendo “Fate posto al grande Raffaello!”. Per inciso, dieci anni prima Augusto III era riuscito ad aggiudicarsi l’intera quadreria estense di Modena venduta da Francesco III nel 1745-1746 per risollevare le sue barcollanti finanze.
Ma la sua storia non finisce qui. Dieci giorni dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, l’11 settembre 1939, la Madonna Sistina venne smontata dalla cornice e portata nei sotterranei del palazzo reale come misura di protezione da eventuali danni bellici. Ma si trattava di un nascondiglio poco sicuro per cui il 6 novembre l’opera venne trasferita nel castello di Albrechtsburg a Meissen.

Il 15 dicembre 1943 la tela venne trasferita di nuovo. Stavolta in un luogo considerato inespugnabile: un tunnel ferroviario in disuso a Rottewerndorf opportunamente climatizzato e blindato. Nello stesso luogo arrivarono l’anno seguente altre 380 opere da Dresda, giusto in tempo per salvarle dal bombardamento che tra il 13 e il 15 febbraio del 1945 rase al suolo la città.
Il 12 maggio le truppe sovietiche riuscirono a localizzare il tunnel, rimasto privo di sorveglianza. Due giorni dopo la madonna Sistina fu prelevata e portata a Dresda, nel quartier generale dei russi, e da là al castello di Pillnitz, vicino la città, edificio usato come deposito del ‘bottino di guerra’. Qui venne prelevata da Michail Dobroklonki, il vice direttore dell’Ermitage, che la spedì in gran segreto al museo Pushkin di Mosca.
Il quadro però non venne esposto e i russi negarono di averlo preso tanto che per dieci anni la Madonna Sistina fu considerata dispersa. Solo nel 1955, dopo la morte di Stalin avvenuta nel 1953 e l’avvio di una stagione di maggiore trasparenza, i russi ammisero di averla in loro possesso ma giustificarono quell’appropriazione facendola passare per un salvataggio finalizzato al restauro.

Il 3 marzo 1955, in vista della firma del patto di Varsavia tra i paesi dell’Europa orientale, il governo sovietico autorizzò la restituzione alla Germania dell’est, territorio sotto il suo controllo. Ma, prima di rispedirla indietro, la Madonna Sistina restò in mostra al Museo Pushkin dal 2 maggio al 20 agosto. In meno di 4 mesi oltre un milione di visitatori andarono a vedere il capolavoro di Raffaello.

L’opera giunse a Berlino il 16 ottobre dello stesso anno e messa in mostra dal 27 novembre al 23 aprile dell’anno seguente. Per tornare al suo posto, a Dresda, nella galleria progettata nell’Ottocento da Gottfried Semper, dovette attendere fino al 3 giugno.

Di storie simili a queste ce ne sono migliaia, praticamente una per ogni opera d’arte. Sono spesso curiose, a volte intriganti, in alcuni casi sconvolgenti. Provocano anche un certo disagio quando rivelano come l’arte sia stata volentieri merce di scambio, trofeo da esibire, strumento di ricatto.Le acquisizioni, specialmente quelle antiche, sono state spesso disinvolte, in casi estremi truffaldine tanto che oggi si torna a parlare con insistenza della necessità di restituire i capolavori trafugati. Ma ogni opera d’arte è un caso a sé e conoscerne la storia è il primo passo per la sua conservazione e per qualsiasi altra considerazione.

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