L’incognita, la geometria e il mondo dei quanti
A febbraio in libreria due interessanti novità: il romanzo L’incognita di Hermann Broch e l’autobiografia di Alain Connes.
Due, almeno, sono le novità in libreria di questo mese di febbraio che è d’obbligo segnalare ai docenti di matematica.
La prima è L’incognita. In verità un libro del 1947, ma che è stato riedito da Carbonio con una nuova traduzione e una prefazione di Luca Crescenzi, professore di letteratura tedesca del Novecento all’Università di Trento. Il suo autore è Hermann Broch (1886-1951), considerato uno dei maggiori scrittori di lingua tedesca (a lui si deve anche il romanzo La morte di Virgilio). Nato a Vienna da famiglia ebraica di industriali, abbandonò l’industria tessile per dedicarsi dalla fine degli anni venti del Novecento alla letteratura e allo studio della filosofia e della matematica. Studi e attività che proseguì anche negli Stati Uniti, dove emigrò dopo l’annessione dell’Austria alla Germania di Hitler. Il libro non è un saggio, ma un romanzo. Va letto dunque con ordine e continuità, senza salti. Solo così è possibile coglierne appieno storia e finalità. La storia è quella della famiglia Heich ed in particolare di Richard Heich che è il vero protagonista. È astronomo e matematico, appassionato della teoria degli insiemi e soggiogato dall’idea di insieme infinito. La sua è stata un’infanzia trascorsa in una famiglia in cui la madre si era fatta un po’ fosca sotto l’influsso del marito, che era fosco di suo. Lui era cresciuto con fratelli e sorelle in un clima di grosse incertezze. Lo studio della matematica per Richard aveva significato appunto la scelta di un settore di certezze. Ma così poi non sarà. Dai suoi legami familiari e da quelli intessuti per ragioni di studio e professionali sorgono sempre dubbi e questioni che appaiono insormontabili. L’incognita è metaforicamente l’incognita dell’equazione della vita di Richard.
Il romanzo, oltre alla introduzione di Luca Crescenzi, presenta in coda una nota in cui l’autore, Hermann Broch, spiega che cosa vuole essere L’incognita: un romanzo dell’intellettuale.
Di quel tempo, ovviamente. Il romanzo cioè di colui che fonda la sua vita – intellettuale nel senso più radicale del termine – solo e unicamente sulla conoscenza. Ora, dire romanzo di un intellettuale, in questo caso un matematico, non consiste nel dispiegare dinanzi al lettore le conoscenze matematiche del protagonista, quanto piuttosto nel far entrare in ballo la matematica in relazione ai suoi problemi esistenziali. Problema tutt’altro che risolto, se non rinviando ad una mistica di una vita infinita che è più dell’infinito matematico: l’incognita rimane tale. Il tema del romanzo richiama alla mente, ma solo per certi particolari aspetti dell’avventura intellettuale, I turbamenti del giovane Törless di Robert Musil, molto più noto.
L’altro libro che fa proprio piacere segnalare ai docenti è La geometria e il mondo dei quanti.
È edito da Dedalo per la collana Le grandi voci dal Mondo. E, infatti, l’autore è Alain Connes, indiscutibilmente una delle grandi voci della matematica di oggi (Matmedia gli ha dedicato più di una pagina). Più che un libro è un documento. Una lectio magistralis. In 80 paginette, Connes traccia, com’è nelle finalità della collana, la sua esperienza di studioso, trasmette la sua passione e presenta le sue ricerche. È la sua autobiografia scientifica. Racconta di cosa si è occupato e di cosa si occupa con le parole del linguaggio semplice e concreto della quotidianità. Le teorie e i concetti più elevati della matematica e della fisica li rende talmente chiari da legarli tra loro in una storia che induce a far proprie quelle pagine, a interiorizzarle e memorizzarle. E a tal punto che a parlarne si sarebbe inevitabilmente condotti a ripeterle testualmente, per non perderne bellezza e significati. Questa storia può essere letta indipendentemente dall’ordine di successione delle pagine, anche se essa si snoda attorno ad alcuni capisaldi che, nell’ordine, hanno i titoli seguenti: Il principio di indeterminazione, Gli spettri, Le algebre di operatori, Il millefoglie, La geometria non commutativa, La comparsa del tempo e la termodinamica, La variabilità, L’unità di lunghezza, Gli infinitesimi, La musica delle forme, Il tic-tac dell’orologio divino.
Ognuno di essi suscita una grande curiosità. Che cos’è il millefoglie?
È l’oggetto che dà, come una montagna con le sue stratificazioni geologiche, un’immagine concreta al concetto di foliazione, uno dei più profondi della geometria differenziale. E gli spettri cosa sono? Non sono fantasmi. In fisica sono entità reali. Il prototipo di spettro è quello della luce nell’esperimento di Newton. L’esperimento cioè che portò a godere dei colori dell’arcobaleno, ma anche a riflettere sulla striscia nera del sodio che vi compare, della quale, rendendo più fine l’esperimento, si scopre che non è unica e costituisce una sorta di codice a barre. Ecco: gli spettri sono come i codici a barre e ogni sostanza chimica ha il suo. Ovviamente anche la matematica ha i suoi spettri e Connes li spiega in modo magistrale.
E il tic-tac dell’orologio divino? Cos’è? Nient’altro che la causalità quantistica! Ovvero?
Si sa che Einstein non accettò mai la fisica quantistica, pur essendo stato lui ad averla praticamente fondata con l’effetto fotoelettrico. Quello che Einstein non tollerava era l’aspetto aleatorio del mondo quantistico (il Dio che gioca a dadi), ragion per cui nel corso degli anni escogitò una serie di controesempi, di paradossi. Da uno di questi nacque una storia meravigliosa, che è quella dell’orologio a cucù. L’orologio riporta alla comparsa e allo scorrere del tempo, questioni discusse da Connes con Carlo Rovelli, che nella prefazione al libro scrive: «Ho avuto la grande fortuna di incontrare Alain, quasi per caso, durante un soggiorno in Inghilterra».
Ecco anche qui il caso!
Ad esso è legata non solo la meccanica quantistica, ma anche una delle più sagge lezioni che Connes dà in tema di ricerca scientifica. Condanna il fatto che i giovani passino il tempo a scrivere articoli, costantemente impegnati a dimostrare di essere produttivi. E condanna quella perversione che consiste nel permettere che siano selezionati “per progetto”, chiedendo loro, in sostanza, di dire in anticipo cosa scopriranno. A sostegno racconta di Edward Williams Morley, quello dell’esperimento di Michelson-Morley, che “cercava cose molte più complicate” e finì, per caso, per scoprire uno dei teoremi più belli di geometria euclidea dopo Euclide: i punti interni a un triangolo ove s’intersecano le trisettrici adiacenti dei suoi angoli sono vertici di un triangolo equilatero.
La conclusione di Connes è questa:
«È veramente un peccato che la ricerca venga soffocata da un gioco burocratico sempre più pesante, perché così facendo si finisce per spingere i ricercatori a concentrarsi su problemi minori su cui fare qualche piccolo passo avanti, a discapito delle grandi scoperte.»
In conclusione una grande storia questa di Connes. Una storia che va oltre l’aspetto cronologico e temporale delle storie. Dove il trascorrere del tempo conta poco e l’autore Connes porta finanche a sconfessare Leopardi, l’eroe dello studio, quando asseriva che il progresso della scienza più che dai grandi geni dipende dagli spiriti mediocri, perché sono questi che gradatamente, studiando le opere dei grandi, le rendono comprensibili, a piccoli passi, a sé stessi e agli altri. Connes prova che il vero grande maestro si pone nello spazio giusto dove trova il modo giusto per spiegare agli altri quello che lui sa di gran lunga meglio degli altri.