La Matematica dell’Encyclopédie

Il progetto di una rassegna delle voci Matematica a partire dall’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert.

La prima enciclopedia della rassegna è l’Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des Sciences, des Art et des Métiers par une Société de Gens de Lettres (1751-1772). Questo monumento dell’Illuminismo finalmente è in rete. Evento di enorme importanza. Nelle nostre scuole, salvo eccezioni, la si nominava come di sfuggita, al massimo ci si soffermava sul Discorso preliminare. Chi aveva mai desiderato di consultarne le voci? Forse qualcuno, ma c’era una difficoltà: in italiano erano disponibili soltanto scelte antologiche degli anni Sessanta, una edita da Feltrinelli a cura di Alain Pons e un’altra edita da Laterza a cura di Paolo Casini, mentre non sapevamo come rintracciare una fantomatica traduzione italiana integrale a cura di A. Calzolari Ricci, Milano, 1970-78, 18 volumi. Di seguito riportiamo un link per il testo originale dell’Encyclopédie:

fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/1re_%C3%A9dition

Nella storia della cultura non si era mai registrata fino ad allora una simile rivoluzione. Le più illustri intelligenze del Settecento collaborarono all’impresa. Diderot, D’Alembert, Rousseau, Voltaire e tanti altri vi si accinsero consapevoli della difficoltà da affrontare sotto ogni aspetto. Una tradizione oscurantista non mancò di intralciare la realizzazione di un’opera così innovativa. Formidabile la sua consistenza. 17 volumi di testo. 11 volumi di tavole. 74.000 voci ovvero articoli. Oltre un centinaio di autori. Una puntuale ed esauriente ricostruzione delle traversie che i collaboratori dovettero affrontare è dovuta ad Alain Pons. Col titolo L’avventura dell’Enciclopedia la si legge come introduzione al primo volume della scelta antologica prima citata. D’altronde non mancano in rete ricostruzioni di quelle vicende. Se ne può vedere una al seguente link:

la-matematica-nell-encyclopedie-di-diderot-e-d-alembert.html

Le voci relative a Matematica, Geometria, Geometra si leggono con diletto per il loro pregio letterario oltre che per la qualità dei contenuti specialistici. La fruizione dell’Encyclopédie  potrà coinvolgere docenti di diverse discipline e appassionare gli allievi. Siamo di fronte a un sapere critico non stantio, ma aperto al futuro. I rimandi interni alle varie voci prefigurano addirittura i moderni link informatici.

Una particolare avvertenza riguarda il termine francese Esprit. Il termine italiano spirito non ne rende appieno il senso. Si veda la relativa voce nell’Encyclopédie:

 fr.wikisource.org/wiki/L%E2%80%99Encyclop%C3%A9die/1re_%C3%A9dition/ESPRIT

Ecco ora le voci Matematica, Geometria, Geometra in traduzione italiana a cura di Biagio Scognamiglio.

MATEMATICA, o MATEMATICHE

GEOMETRIA

GEOMETRA

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Il progetto delle voci “Matematica”

Sul sapere enciclopedico. Il progetto delle voci “Matematica” e il problema del corretto uso delle enciclopedie digitali.
Matmedia ha avviato il progetto di mettere a confronto le voci dedicate alla matematica in diverse enciclopedie e in diversi dizionari enciclopedici.
Ciò perché confrontare diverse versioni di un argomento consente di esercitare lo spirito critico, facoltà che sembra affievolirsi sempre più in un contesto sociale dominato dalla credulità, dal disinteresse, dalla faciloneria, difetti tali da svalutare e svilire il pensiero. Forse non è inutile affiancare al sopra nominato progetto un excursus sull’ideale enciclopedico ieri e oggi.
Il sapere enciclopedico può essere oggetto di studio nel suo configurarsi attraverso il tempo come strumento di civiltà.
Una storia dell’enciclopedia ricca di dettagli nozionistici è reperibile in Wikipedia e rimandiamo ad essa chi desideri questo genere di informazioni. Sul piano sincronico si dispone invece della voce Enciclopedia  dell’Enciclopedia Treccani in rete, ove viene data notizia di varie iniziative di sistemazione enciclopedica delle conoscenze nell’odierno mondo globalizzato. Qui ci limiteremo a evidenziare diacronicamente alcune salienti forme di organizzazione del sapere e i significati che esse possono assumere sul piano culturale in senso antropologico, non senza giungere a suggerire forme di   fruizione critica delle enciclopedie da parte dei giovani in chiave pedagogica.
È interessante considerare il sapere enciclopedico sul piano terminologico.
Nel Grande Dizionario della Lingua Italiana (GDLI) si dà del termine “enciclopedia” la seguente definizione:
“Ciclo intero della cultura; ordine o principio secondo cui le scienze o le correnti di pensiero si dispongono nei loro rapporti di coordinazione e subordinazione entro un sistema che le comprenda; il sistema stesso”.
Nel GDLI troviamo anche una seconda definizione del termine:
“In senso concreto: esposizione più o meno particolareggiata delle scienze e delle arti secondo un sistema logico e organico (enciclopedia sistematica o per materia) o per voci ordinate alfabeticamente (enciclopedia alfabetica). – Anche, in senso più ristretto: opera che raccoglie, per lo più secondo l’ordine alfabetico, le nozioni relative a una sola scienza (enciclopedia medica, ecc.)”.
Il GDLI riporta una serie di ricorrenze contestualizzate del termine in autori italiani. Eccone alcune estrapolate. In Galileo Galilei: “enciclopedia delle scienze”. In Giovan Battista Marino: “enciclopedia, quasi un circolo di tutte quante le scienze”. In Antonio Rosmini: “enciclopedia delle scienze, non presa come un aggregato materiale quasi gittato a caso, o distribuito secondo la norma delle lettere dell’alfabeto, ma come un tutto organico”.
Non mancano prese di posizione ironiche o severe nei confronti delle enciclopedie.
Ironico è un “evviva!” di Giacomo Leopardi per le “enciclopedie portatili” rientranti nelle “tante belle creazioni” del suo secolo. Giuseppe Giusti esprime disprezzo per “i centoni delle enciclopedie”. Federico De Roberto si dice scettico sulla possibilità di “non che studiare, ma neppur leggere [..] le voluminose enciclopedie, i dizionari universali”.
L’aggettivo “enciclopedico” è anch’esso soggetto a difformi giudizi.
Per Melchiorre Cesarotti “le conoscenze enciclopediche diffuse nella massa delle nazioni … hanno prodotta una rivoluzione generale in tutti gli spiriti”. Giosuè Carducci riconosce a Dante Alighieri il vagheggiamento della “scienza enciclopedica”. In contrasto con simili apprezzamenti vi sono la “diarrea enciclopedica” stigmatizzata da Giuseppe Giusti, i “fanciulli imbrattati di polvere enciclopedica” compianti da Giuseppe Rovani, la “asinità enciclopedica” denunciata da Carlo Dossi.
L’avverbio “enciclopedicamente” rende giustizia al sapere enciclopedico in una bella definizione di Niccolò Tommaseo:
“Si può enciclopedicamente trattare ciascuna scienza considerando le armonie di lei con tutte le parti dell’umano e sapere e operare”.
In Occidente la nozione di enciclopedia risale al mondo classico.
Ben si sa che Plinio il Vecchio nella sua Naturalis historia così si esprime:
”Iam omnia attingenda quae graeci τῆς ἐγκυκλίου παιδείας vocant”.
Se nel genitivo sostantivale παιδείας vogliamo riconoscere una valenza non solo culturale, ma anche pedagogica, il genitivo aggettivale ἐγκυκλίου può suggerirci che la circolarità intesa come completezza e insieme come apertura sia insita non solo nel sapere, ma anche nell’educazione. Saremmo così di fronte all’idea di una proiezione della cultura nel futuro per il suo valore formativo. D’altronde, quale senso potrebbe mai avere una sistemazione del sapere destinata a non essere trasmessa?
Nell’era cristiana l’idea di una cultura enciclopedica cominciò a strutturarsi in forma pluridisciplinare.
Ne è un esempio la raccolta Etymologiae di Isidoro di Siviglia, santo della Chiesa cattolica: sono trattate nell’opera  le arti del trivio e del quadrivio insieme con argomenti medici, giuridici, ecclesiastici, teologici, storici, politici, etimologici, fisici, geografici, architettonici, bellici, e quant’altro.
All’età  bizantina risale il Lessico Suda.
In esso  è disposta alfabeticamente una quantità di nozioni concernenti una varietà di discipline, fra cui storia, geografia, letteratura, filosofia, scienze, e via discorrendo.
Per il Medioevo ricordiamo Li Livres dou Tresor di Brunetto Latini, maestro di Dante.
Nell’Inferno il maestro raccomanda al discepolo la sua opera non col  titolo provenzale, ma col termine italiano Tesoro. La struttura del Tesoro in tre libri è enciclopedica: vi sono trattati argomenti di diverse discipline, sia umanistiche, come etica, retorica, politica, sia scientifiche, fra cui storia, fisica, medicina, geografia, astronomia, architettura. Dante fa dire a Brunetto Latini parole che esprimono lo stretto legame fra cultura e vita:
“Sieti raccomandato il mio Tesoro,nel qual io vivo ancora […]” (Dante, Inferno, XV, 119-120)
In età  umanistico-rinascimentale spicca l’opera De expetendis et fugiendis rebus  di Giorgio Valla in 49 libri, 19 dei quali dedicati alla matematica.
Gli altri ripropongono una varietà di argomenti alla stregua delle opere pluridisciplinari citate in precedenza.
Nel Settecento la struttura dell’enciclopedia si consolidò secondo uno schema destinato ad affermarsi nei secoli successivi, giungendo fino a noi.  
Notevole fu il successo della Cyclopedia organizzata da Ephraim Chambers.  Questo dizionario enciclopedico, frutto di una équipe di studiosi, si palesò felicemente innovativo, perché all’organizzazione alfabetica univa una serie di rimandi interni alle varie voci, precorrendo i moderni link informatici, e anticipò la struttura  dell’illuministica Encyclopédie  di Diderot e d’Alembert.
La Encyclopédie ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers è una pietra miliare nella storia delle enciclopedie a stampa.
D’Alembert nell’Avvertenza ribadisce che a Diderot si devono il Prospetto dell’Enciclopedia quale parte integrante del Discorso preliminare  e la Tavola o Sistema figurato delle conoscenze umane. Si dice lieto del successo dell’opera e non si cura di critiche come quelle, tanto per citarne una, di chi pretende “che molti teologi della chiesa romana”  non abbiano fatto “reiterati sforzi per erigere in dogmi opinioni assurde e dannose”. Rigetta le obiezioni mossegli sul modo in cui nell’Enciclopedia sono trattate le questioni etico-religiose.
Si difende dall’accusa di plagio per avere attinto qualcosa da Bacone. Fa comprendere che il successo dell’opera sua e di Diderot ha suscitato enorme invidia. Non esita a denunciare “l’intrigo, l’ignoranza o l’imbecillità” di quanti lo  hanno rimproverato per gli elogi da lui tributati “ad alcuni grandi uomini” del suo  secolo.  Oggi sì che avremmo bisogno di uomini di cultura dotati di simile spirito giustamente polemico, legittimati dalla loro intelligenza a definire idioti i tanti intellettualoidi da strapazzo sempre pronti a smerciare le loro cialtronerie in ripugnanti esibizioni  televisive.
D’Alembert, dopo aver  sottolineato  che l’opera è dovuta non a due sole persone, ma ad  “una società di uomini di studio”,  nella prima parte del Discorso preliminare  chiarisce i due  scopi essenziali dell’Enciclopedia:  
“[…] Come enciclopedia, deve esporre, per quanto è possibile, l’ordine e il concatenamento delle conoscenze umane; come dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, deve contenere su qualsiasi scienza e su qualsiasi arte, sia liberale, sia meccanica, i princìpi generali che ne costituiscono la base, ed i particolari più essenziali che ne costituiscono il corpo e la sostanza.”
Le conoscenze sono distinte in dirette (ricevute dai sensi) e riflesse (ad opera dello spirito). Nel riflettere, ci rendiamo conto della nostra esistenza corporea e degli oggetti esterni. Per fruire degli oggetti utili e fuggire quelli nocivi, ci rendiamo conto che è importante unirci con gli altri esseri a noi simili:
“La comunicazione delle idee è il principio e il fondamento di questa unione, e richiede necessariamente l’invenzione di simboli.”
Di qui nasce il linguaggio come vincolo sociale:
“Tale è l’origine della formazione delle società, con la quale sono nate le lingue.”
Il vincolo sociale è insidiato dalla “legge del più forte”, che dà origine alla “nozione dell’ingiustizia, e conseguentemente del bene e del male morale”.
Il discorso prosegue con i paragrafi dedicati alla nascita delle scienze e delle arti e alle branche delle scienze della natura.
Fra queste ultime risaltano la geometria e l’aritmetica o scienza dei numeri. Viene spiegato il passaggio dall’aritmetica all’algebra. Dall’astrazione si ritorna  poi al mondo materiale  come oggetto delle scienze fisico-matematiche. Segue una digressione sui limiti della conoscenza umana:
“L’uno di questi limiti, quello da cui siamo partiti, è l’idea di noi stessi, che conduce a quella dell’Essere onnipotente e dei nostri principali doveri. L’altra, è quella parte delle matematiche che ha per oggetto le proprietà generali dei corpi, dell’estensione e della grandezza.”
Il paragrafo successivo riguarda le scienze dell’attività umana, fra cui la scienza della comunicazione delle idee, e le arti. Dopo di che non resta che delineare l’albero enciclopedico delle conoscenze.
Al Discorso preliminare fa seguito un dizionario ragionato delle scienze e delle arti, considerate nel loro sviluppo e nel loro stato all’epoca.
Del dizionario si illustrano scopo e disposizione. Nel concludere, d’Alembert non manca di rievocare, accanto agli elogi e agli aiuti ricevuti,  quei “nemici tanto deboli quanto potenti, che hanno cercato, invano, di soffocare l’impresa prima che nascesse”. E scaglia una frecciata contro chi critica l’opera conoscendone nient’altro che il titolo:
“Tocca al pubblico che legge giudicare: noi crediamo doverlo distinguere da quello che parla.”
Dall’Ottocento a oggi l’opera di Diderot e d’Alembert è stata il modello per una proliferazione di monumentali enciclopedie e dizionari enciclopedici.
È venuto meno però un requisito essenziale: la passione conoscitiva, ben presente in quei prestigiosi intellettuali illuministi, nemici acerrimi di ogni dogmatismo, anelanti alla  sistemazione di un sapere militante, schierati contro gli aspetti negativi o sterili della tradizione, desiderosi di offrire un prezioso contributo allo sviluppo della civiltà.
Oggi le enciclopedie a stampa sono state soppiantate dalle enciclopedie digitali.
C’è chi possiede la nostra Treccani e vorrebbe venderla, ma non trova acquirenti, dal momento che le voci a stampa risultano disponibili in rete, hanno il vantaggio di poter essere consultate con  tanto maggiore rapidità quanto più performante è il computer, consentono di spaziare altrettanto velocemente fra diversi siti grazie ai link. Questa è una nuova rivoluzione nella disponibilità del sapere, aperto fra l’altro alla collaborazione degli utenti come nel caso di Wikipedia. E non basta: in internet possiamo reperire anche un sapere enciclopedico multimediale, come ben sa chi naviga in youtube. Il verbo navigare ben si attaglia all’esperienza dei fruitori delle conoscenze enciclopediche digitali, giacché si rischia di naufragare non dolcemente in uno sterminato oceano di informazioni.
Negli odierni contesti pedagogici e didattici è urgente affrontare il problema del corretto uso delle enciclopedie digitali.
Assai gravi sono le colpe dei responsabili delle istituzioni educative per non essersi resi conto a tempo debito delle necessità emergenti in tal senso. Fin dagli ultimi decenni del Novecento, che potremmo definire l’era di Bill Gates, avrebbe dovuto essere inserita nei curricoli scolastici una nuova disciplina. Educazione informatica, questo il suo nome. Educazione, non istruzione. Si trattava e si tratta non soltanto di istruire all’uso del computer, ma anche e soprattutto di educare ad usarlo per acquisire un sapere al servizio del genere umano. Esigenza, questa,  che comporta la necessità di acuire lo spirito critico degli studenti, mettendoli in guardia dalle labirintiche insidie nelle  quali una fruizione ingenua delle risorse in rete rischia di invischiarli, e sollecitandoli a rigettare il  pernicioso oltraggio dell’inconcludente assoggettamento a sterili cimenti con nozionistici quesiti.
Un uso corretto delle enciclopedie continua a rimandarci all’illuminismo.
Quando si trattò di capire cosa fosse il rivoluzionario fenomeno culturale dell’illuminismo, fu posta la domanda: “Was ist Aufklärung?”. Per rispondere, Immanuel Kant prese a prestito l’esortazione oraziana a un amico: “Sapere aude!” Per Kant il motto equivalse a  dire: “Abbi il coraggio di servirti del tuo intelletto!” Consideriamo il significato del motto nel contesto oraziano della seconda epistola del libro primo limitatamente ai versi 32-43.  Orazio qui  esorta l’amico a destarsi presto per salvare il suo io e cercare un libro da leggere alla lucerna, prima che sorga il giorno, rivolgendo quindi l’animo agli studi di buon  mattino. Se l’amico, prosegue Orazio,  si affretta a curare disturbi come quelli della vista, perché continua a rimandare ciò che è più importante, ossia la cura dell’animo?
Chi ben comincia è alla metà dell’opera: cominci quindi l’amico ad essere saggio. Chi differisce il momento di vivere rettamente, è come chi si aspetti che un fiume smetta di scorrere: fiume che continuerà invece a scorrere per sempre. Questi versi insegnano a fare buon uso del tempo come in un carpe diem culturale. In ciò le risorse enciclopediche possono risolversi senz’altro in un valido ausilio, immettendo chi se ne avvale nel flusso conoscitivo della civiltà.
Bisogna dunque essere saggi, come insegna Orazio, e avere il coraggio dell’intelligenza, rivendicato da Kant.
Con questo spirito bisogna usufruire del sapere enciclopedico, partendo dalle proprie esigenze conoscitive per rielaborare le informazioni attinte, non senza confrontare diverse versioni di un dato argomento, come si è detto all’inizio con riferimento a voci enciclopediche concernenti la matematica e come si ribadisce in conclusione con riferimento ad  ogni altra disciplina.

Biagio Scognamiglio (Messina 1943). Allievo di Salvatore Battaglia e Vittorio Russo. Già docente di Latino e Greco e Italiano e Latino nei Licei, poi Dirigente Superiore per i Servizi Ispettivi del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ha pubblicato fra l’altro L’Ispettore. Problemi di cambiamento e verifica dell’attività educativa.

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Libri di testo di Matematica

Un buon libro di testo di matematica che soddisfi tutti è utopia. Il piano stilato da d’Alembert è un importante e tuttora valido saggio di didattica della matematica.
Come va pensato, organizzato, scritto un libro di testo di Geometria? Qual è l’ordine che si deve seguire nella trattazione degli argomenti? Come introdurre l’uguaglianza delle figure? Quale il ruolo da assegnare al movimento e quale agli assiomi e alle dimostrazioni? Quando introdurre gli incommensurabili e che posto dare all’infinito e allo studio delle curve, dell’algebra e del calcolo differenziale? Ancora, un libro va pensato per tutti gli studenti o in funzione delle propensioni?
Sono questioni che si sente dibattere nei tanti convegni odierni dedicati all’insegnamento della matematica.
Sono questioni però che sono state sempre “attuali”.
Lo sono state ai tempi di d’Alembert come ai tempi di Euclide rimasto nella storia come il più celebre degli autori di manuali scolastici. L’autore del più duraturo libro di elementi mai dato alle stampe. Il libro che ha stabilito una via regia per l’insegnamento della geometria e della matematica. Il libro che ha indicato le proposizioni con le quali iniziare, fissandone l’ordine e fornendo il metodo di insegnarle.
C’è da osservare subito che il termine Geometria per d’Alembert ha il significato di Matematica, come era nella tradizione degli Elementi di Euclide che raccoglievano insieme aritmetica e geometria.
Il problema che si pone d’Alembert, caratteristico peraltro del periodo storico che egli vive, è didattico.
È la realizzazione di un moderno Elementi di matematica comprensivo di algebra (che allora si diceva anche geometria simbolica e anche geometria metafisica), curve geometriche e analisi matematica, cioè il nuovo calcolo sublime, differenziale e integrale.
Come fare? Conviene seguire l’ordine degli inventori, cioè la via genetica della scoperta, che è  genealogia naturale delle idee o procedere altrimenti pensando altre inferenze logiche?
In sostanza, si chiede d’Alembert, quali riflessioni “potrebbero essere non inutili sul modo di trattare a metà del XVIII secolo gli Elementi della Geometria?
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert è convinto che realizzare un libro di testo che raccolga il gradimento di tutti è una utopia.
L’argomento però l’affronta e delinea un piano didattico che espone in dettaglio nella voce Mathematique dell’Encyclopedie. Voce che Biagio Scognamiglio ha recentemente reso nella traduzione italiana per Matmedia. Il piano di d’Alembert è un saggio di didattica della matematica che ha svolto un ruolo di guida per molti dei decenni successivi. Anzi, si può dire con certezza che ha ispirato la maggior parte delle stesure di libri di testo almeno fino alla metà del secolo XX.
«Questo piano – egli afferma – fa capire che una simile impresa può essere ben compiuta soltanto da matematici di prim’ordine, e che, per fare eccellenti elementi di geometria, Cartesio, Newton, Leibniz, Bernoulli, eccetera, non sarebbero stati di troppo».
Scrivere un libro di testo è comunque tanto oneroso e esclusivo da inibire ad ogni autore qualsiasi altra attività di ricerca. Cosa che ha scoraggiato soprattutto i grandi, perché «forse non c’è scienza sulla quale siano stati tanto moltiplicati gli elementi» quanto la matematica. Questi libri sono per la maggior parte «opera di matematici mediocri, le cui conoscenze in Geometria spesso non vanno al di là del loro libro e che per questo stesso motivo sono incapaci di trattar bene questa materia».
I grandi matematici hanno preferito fare altro, contribuire a far crescere la matematica.
Non così però i mediocri, in compenso dotati di una dose di presunzione adeguata al compito e della quale è prova il fatto, dice d’Alembert, che «non c’è quasi nessun autore di elementi di Geometria che nella sua prefazione non dica più o meno male di tutti quelli che l’hanno preceduto».
Quali sono i principi pedagogici ai quali attenersi?
Prima di tutto, è il parere di d’Alembert, occorre non parcellizzare troppo il discorso suddividendolo in tante parti: la trattazione va resa quanto più possibile unitaria. Ad esempio, non è affatto utile «la suddivisione in geometria delle linee rette e delle linee curve, geometria delle superfici e geometria dei solidi».
Non lo è perché «sebbene la linea retta sia più semplice della linea curva, tuttavia è appropriato trattare l’una e l’altra insieme e non separatamente negli Elementi di Geometria».  Un principio che è seguitissimo tuttora anche per le operazioni aritmetiche: vanno trattate insieme, almeno dirette e inverse. È il principio didattico che valorizza la reversibilità, che insieme alla invarianza caratterizza molto dell’attività del fare matematica. Già da questo, in didattica, d’Alembert lo si direbbe un primo fusionista nel senso di Klein, Polya e de Finetti.
Come affrontare, a livello didattico, l’uguaglianza? 
L’uguaglianza, è il parere di d’Alembert, va stabilita attraverso il principio di sovrapposizione, che «non è affatto un principio meccanico e grossolano, come dicono alcuni moderni geometri; è un principio rigoroso, chiaro, semplice, desunto dalla vera natura della cosa. Ad esempio, quando si vuole dimostrare che due triangoli che hanno uguali le basi e gli angoli alla base sono del tutto uguali, si applica con successo il principio della sovrapposizione: dalla supposizione dell’uguaglianza delle basi e degli angoli si conclude a ragione che questi angoli e queste basi in seguito all’applicazione degli uni sulle altre coincideranno, quindi dalla coincidenza di queste parti si conclude in tutta evidenza, per necessaria conseguenza, la coincidenza del resto». In definitiva, «il principio della sovrapposizione non consiste nell’applicare grossolanamente una figura sull’altra, […] come un operaio applica il suo piede su una lunghezza per misurarla, ma questo principio consiste nell’immaginare una figura trasportata su un’altra».
Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783)
Il punto di vista didattico di d’Alembert è comunque molto più generale.
Il principio della sovrapposizione si può usare anche per provare che due figure non sono identiche. «Del resto, per sovrapposizione io qui intendo non solo l’applicazione di una figura su un’altra, ma quella di una parte di una figura su un’altra parte della medesima figura al fine di paragonarle fra loro, e quest’ultima maniera di impiegare il principio di sovrapposizione è di un’utilità infinita e semplicissima negli elementi di Geometria».
Gli incommensurabili, l’infinito e la reductio ad absurdum.
«Si consideri il teorema: una linea parallela alla base di un triangolo ne taglia i lati in proporzione. Per dimostrarlo, basta mostrare che se questa parallela passa per il punto di mezzo di uno dei lati, passerà per il punto di mezzo dell’altro; perché  di seguito si farà constatare agevolmente che le parti tagliate sono sempre proporzionali quando la parte tagliata sarà commensurabile all’intera linea, e quando non lo sarà, si dimostrerà il medesimo enunciato mediante la reductio ad absurdum, facendo vedere che il rapporto non può essere né più grande né più piccolo e di qui che è uguale. Noi diciamo mediante la riduzione all’assurdo, perché solo in questo modo indiretto si può dimostrare la maggior parte degli enunciati  che riguardano gli incommensurabili.
L’idea dell’infinito entra almeno implicitamente nella nozione di questi tipi di quantità; e poiché noi non abbiamo un’idea dell’infinito se non negativa, vale a dire che lo concepiamo soltanto mediante la negazione del finito, si può dimostrare direttamente e a priori tutto ciò che concerne l’infinito matematico.
Si dirà forse che la  considerazione degli incommensurabili renderà la geometria elementare più difficile; può darsi; ma essi entrano necessariamente in questa geometria; presto o tardi bisogna arrivarci, ed è meglio presto».
Le definizioni in matematica
Un buon libro non parte con le definizioni. «A noi sembra poco filosofico e poco conforme alla naturale impronta dello spirito presentarle di primo acchito, bruscamente e senza una sorta di analisi».
Anche per l’Algebra valgono le stesse raccomandazioni. Può una semplice definizione dell’algebra darne l’idea a colui che ignora detta scienza? Sarebbe dunque appropriato cominciare un trattato di Algebra con lo spiegare chiaramente la strada seguendo la quale lo spirito è giunto o può giungere a trovarne le regole, e l’opera la si farà terminare così: la scienza che abbiamo finora insegnato è la scienza che si chiama Algebra.  Ciò vale anche per l’applicazione dell’Algebra alla Geometria e per il calcolo differenziale e integrale, «di cui non si può afferrare bene la vera definizione se non dopo averne compreso la metafisica e l’uso».
La costruzione degli elementi di Geometria.
Non è conveniente perseguire il rigore a tutti i costi. Sarebbe peraltro impresa chimerica, perché  è come cercare un rigore perfetto che non esiste, è immaginario. Anche gli assiomi, quelli che Euclide chiamò “nozioni comuni”, sono perfettamente inutili. In un trattato vanno soppressi: «Che bisogno c’è di assiomi sul tutto e sulla parte per vedere che la metà di una linea è più piccola di una linea intera?».
Quello che importa nella costruzione del discorso didattico è la concatenazione degli argomenti, la loro graduazione, condotta generalmente, senza salti, dal più semplice al più complesso. Il credo didattico degli enciclopedisti è sancito nella voce Education: «Il gran segreto della didattica, ovvero dell’arte di insegnare, è di essere nelle condizioni di chiarire la subordinazione delle conoscenze».
Il piano didattico stilato da d’Alembert stabilisce questa graduazione.
Ad esempio negli “elementi” bisogna preparare il campo alla trattazione della Geometria trascendente o delle curve.
È una Geometria che comporta il calcolo algebrico. Questa parte va iniziata con la soluzione dei problemi di secondo grado,  utilizzando come strumenti la retta e il cerchio. Una volta introdotto il discorso dei problemi di secondo grado, si passerà alle sezioni coniche.
Il modo  migliore e più breve di trattarle è di “ricorrere al metodo analitico”.
«Quando si saranno trovate le più semplici equazioni della parabola, dell’ellisse, e dell’iperbole, si farà vedere di seguito molto agevolmente che queste curve si generano nel cono e in che modo vi si generano». In effetti questa introduzione delle coniche a partire dalla loro formazione nel cono sarebbe forse il modo più naturale con cui partire, se ci si limitasse però «a fare un trattato su queste curve. Ma in un corso di Geometria vanno introdotte da un punto di vista più generale e la loro trattazione si concluderà con la soluzione dei problemi di terzo e quarto grado» e, ovviamente, con osservazioni che riusciranno utili nella «teoria delle traiettorie o curve descritte da proiettili  e di conseguenza nella teoria delle orbite dei pianeti».
Terminate le sezioni coniche, si passerà alle curve di genere superiore. 
Queste teorie si basano in parte sul calcolo algebrico e in  parte sul calcolo differenziale; non è che questo calcolo vi sia assolutamente necessario, ma checché se ne dica, esso abbrevia e facilita estremamente tutta questa teoria.
Riguardo alla quadratura e alla rettificazione di questi tipi di curve, come anche alla rettificazione delle sezioni coniche, le si rimetterà alla Geometria sublime. Per il resto, trattando le curve geometriche, ci si potrà dilungare un po’ più particolarmente sulle più conosciute, come il folium di Cartesio, la concoide, la cissoide, eccetera.
Le curve meccaniche faranno seguito a quelle geometriche.
Si tratteranno dapprima le curve esponenziali, «che sono come una specie intermedia fra le curve geometriche e le meccaniche». In seguito, dopo aver dato i principi generali della costruzione delle curve meccaniche per mezzo della loro equazione differenziale e della quadratura delle curve, si entrerà nel dettaglio delle principali e più conosciute: spirale, cicloide, trocoide, eccetera. Questi sono pressappoco gli argomenti che un trattato di Geometria trascendente deve contenere.
Segue la Geometria sublime, alla quale non resta che il calcolo integrale con la sua applicazione alla quadratura e alla rettificazione delle curve. «Questo calcolo sarà dunque la materia principale e quasi unica della Geometria sublime».
Altre raccomandazioni didattiche.
La prima raccomandazione è che «il calcolo algebrico non deve essere affatto applicato alle proposizioni della geometria elementare, per la ragione che bisogna usare questo calcolo soltanto per facilitare le dimostrazioni, mentre non sembra che nella geometria elementare vi siano dimostrazioni tali da poter essere realmente facilitate da questo calcolo».
L’eccezione a questa regola è la soluzione dei problemi di secondo grado, perché il calcolo algebrico semplifica al massimo la soluzione delle questioni di tal genere e abbrevia anche le dimostrazioni. Questo è il campo più proprio della applicazione dell’Algebra alla Geometria.
La seconda raccomandazione di d’Alembert è di convincersi che è «ridicolo dimostrare mediante la sintesi ciò che può essere trattato più semplicemente e più facilmente mediante l’analisi, come le proprietà delle curve, le loro tangenti, i loro punti di inflessione, i loro asintoti, le loro diramazioni, la loro rettificazione e la loro quadratura».
Porta l’esempio della spirale:  «le proprietà della spirale, che i più grandi matematici hanno tanto penato a seguire in Archimede, oggi possono essere dimostrate con un tratto di penna».
Ancora una raccomandazione:
la Geometria, soprattutto quando è aiutata dall’Algebra, è applicabile a tutte le altre parti della Matematica, giacché in Matematica non si tratta mai di altro se non di paragonare delle grandezze fra loro; e non è senza motivo che alcuni geometri filosofi hanno definito la Geometria scienza della grandezza in generale, in quanto è rappresentata o può esserlo mediante linee, superfici e solidi.
Infine, le dimostrazioni vanno presentate in forma problematica.
Il filosofo cartesiano Johannes Clauberg nella Logica vetus et nova del 1654 aveva così sintetizzato i problemi dell’insegnamento: quid sit tradendum et quo fine, quis traditurus quis accepturus, quomodo quid tradere conveniat. Il piano di d’Alembert sviluppa in particolare il quomodo quid tradere conveniat, ma non trascura osservazioni importanti sugli altri aspetti.
Ad esempio, sullo studente, perché «tutti coloro che studiano la Geometria non la studiano con le stesse vedute». Ci sono quelli a cui basta un buon trattato di geometria pratica, a chi invece fa bene avere un’infarinatura di geometria elementare speculativa, e converrà dargliela, fornendo dimostrazioni più facili, anche se meno rigorose. Per gli spiriti, però, «veramente adatti a questa scienza, per coloro che sono destinati a farvi dei progressi, noi crediamo che ci sia una sola maniera di trattare gli elementi: quella che unirà il rigore alla chiarezza e che allo stesso tempo li metterà sulla via delle scoperte per il modo in cui si presenteranno le dimostrazioni. Per questo bisogna mostrarle, per quanto possibile,  sotto la forma di problemi da risolvere piuttosto che della dimostrazione di teoremi di cui non si è capito neppure il significato.

Laureato in matematica, docente e preside e, per quasi un quarto di secolo, ispettore ministeriale. Responsabile, per il settore della matematica e della fisica, della Struttura Tecnica del Ministero dell’Istruzione. Segretario, Vice-Presidente e Presidente Nazionale della Mathesis dal 1980 in poi e dal 2009 al 2019, direttore del Periodico di Matematiche.

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