L’alta formazione e il docente definito “esperto”
Un sistema educativo dell’istruzione e della formazione soffocato da norme sovrabbondanti e contraddittorie. L’assurdità della scuola dell’alta formazione dell’istruzione e del docente esperto.
In questi giorni se ne parla molto: il docente esperto.
Tanti i commenti. Tutti negativi e di derisione anche per questa trovata, così proiettata nel futuro, da risultare perfino poco credibile, e per i fantasiosi “trovatori” del pluripercorso novennale di istruzione formativa che porta a conquistarne il titolo: docente esperto. Una trovata, ovviamente solo strumentale, ficcata a forza (si veda Biagio Scognamiglio) in un Decreto denominato Aiuti-bis già in Gazzetta Ufficiale). Aiuto per chi? C’è poco da dubitare: l’aiuto che si voleva dare non è alla valorizzazione della professione docente ma alla Scuola dell’Alta Formazione dell’istruzione in procinto di essere avviata. Accettato il docente esperto insieme con la procedura che lo incorona, sarebbe stato più facile emanare i primi atti istitutivi, come la nomina del presidente e del comitato tecnico.
Il risultato, invece, è stato opposto: ha rafforzato e ampliato il convincimento dell’assurdità di questa Alta Scuola. Assurda soprattutto perché oltremodo rovinosa per la scuola, quella normale. Assurda perché al pari del docente esperto è senza autori e senza nessuno che ci tenga a rivendicarne la paternità o anche a spiegare semplicemente perché sia nata e quale sia il progetto o la visione teorica cui si ispira. C’è da chiedersi: perché siamo giunti al punto dell’elaborazione di provvedimenti così assurdi e rovinosi oltre che poveri intellettualmente?
In effetti, a ben rifletterci, non c’è proprio da sorprendersi!
È da tempo oramai che nulla più viene presentato, partecipato, argomentato, discusso. Le novità sono presentate direttamente nella loro forma definitiva. Il parto di questa Alta Formazione e la nascita della figura del docente esperto non costituiscono un’eccezione. Sono decisioni, secche, rapide, proprie dello stile manageriale. Come se si trattasse di dentifrici o scatolette di tonno e non di problemi del sistema educativo. È questo oramai lo stile della “Signoria”, avrebbero detto alcuni filosofi di qualche decennio fa! Uno stile che governa tutto, anche la scuola, il più intellettuale dei comparti del lavoro e con una storia ricca di rivolte contro i maestri padroni.
Solo che ora non si tratta di Maestri!
Inutile quindi sorprendersi e porsi il problema di capire il perché. Farlo significherebbe solo presentarsi come l’ignorante di turno che non sa e non vede la realtà, profondamente mutata, che non è più quella della partecipazione, del consenso, della scuola pubblica, per tutti e per ciascuno. Ed è la realtà in cui versa anche l’Amministrazione pubblica e che il Ministero dell’Istruzione rivela in maniera tragicamente sofferta. «Da quando sono arrivata – dichiara una dirigente – mi accorgo che il clima lavorativo al Ministero è così cambiato che non mi sembrano essere passati solo dieci anni, o poco più, ma un’intera era geologica».
Un Ministero svuotato di tante professionalità e competenze.
Depauperato principalmente nel versante della dirigenza, sia quella amministrativa, una volta legata ad una progressione di carriera interna che era anche stimolo ad una seria formazione in servizio, sia a quella tecnica, che ormai è solo un ricordo del passato. Gli ispettori tecnici per le discipline letterarie e le scienze umane e per la matematica e la fisica e le scienze naturali e per le materie tecnologiche sono scomparsi e non esisteranno più. L’Amministrazione non ha più bisogno di loro, tant’è che se ci saranno, se un nuovo concorso potrà essere bandito, sarà per una figura diversa di ispettore, più avvocato e giurista che insegnante, più conoscitore (per quanto lo si possa essere) delle leggi e dei sistemi scolastici che autentico esperto di didattica e di apprendimenti.
L’assurdità allora sta nelle pesanti trasformazioni inferte al sistema dell’istruzione.
L’assurdità sta nell’immaginare questa nuova struttura – Scuola dell’Alta Formazione dell’Istruzione – come soluzione possibile per gestire la formazione in servizio dei docenti, elargendo loro anche qualche premio in danaro. Sta nel vararla come necessaria, causa una Amministrazione, centrale e periferica, svuotata delle più elevate competenze amministrative e tecniche, corpo esangue che non elabora più niente. Allora, chi provvede alla formazione? Occorrono alte professionalità! Il sistema-scuola ne è privo.
Le alte professionalità vanno dunque cercate all’esterno.
Vanno scelte «tra professori universitari ordinari, tra magistrati amministrativi, ordinari e contabili, tra avvocati dello Stato, tra alti dirigenti dello Stato di particolare e comprovata qualificazione o tra altri soggetti parimenti dotati di particolare e comprovata qualificazione professionale». Questa è la realtà: il sistema educativo dell’istruzione e formazione costruito sulla base dell’autonomia delle istituzioni scolastiche è monco, squilibrato, a-centrato. Manca delle qualità e delle risorse per elaborare autonomamente forme e strumenti per migliorare sé stesso.
Per decenni si è discusso della formazione in servizio dei docenti.
Per decenni si è riconosciuto che il docente di cui la scuola ha bisogno è quello che è portato quotidianamente a riflettere sul proprio lavoro, su ciò che insegna, come lo insegna e con quali risultati. E per anni si è detto che il modo migliore per sostenerlo nella sua attività doveva consistere nel fornirgli occasioni istituzionali d’incontro e di riflessione, atte a favorirne la crescita professionale. Insomma, che accanto ad un docente bravo dovesse esserci anche una brava amministrazione all’altezza del compito, in modo che l’uno e l’altra facessero sistema tenendo insieme, uniti, i due aspetti della formazione in servizio, che è crescita professionale del docente, e miglioramento del servizio educativo. tutto ciò lo esplicita anche il comma 124 della famosa L.107/2015: «la formazione in servizio dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale».
L’assurdo allora sta nello stato dei fatti.
Nel punto, cioè, in cui si è stati capaci di arrivare a partire dalla legge dell’autonomia in poi: un sistema educativo dell’istruzione e della formazione soffocato dalla sovrabbondanza di norme, incoerente negli ordinamenti, disarmonico e conflittuale all’interno e fra le sue componenti canoniche, povero nel dibattito pedagogico e scientifico, soggiacente a condizioni al contorno che lo sballottano in balia di forze esterne che ne alterano i valori, ne erodono la credibilità, la dignità culturale, scientifica e didattica. L’assurdo è nell’avere un Invalsi, culturalmente scadente, che fa il contrario di quello per cui era stato istituito, ovvero disintegra il sistema invece di salvaguardarne l’unitarietà, e nessuno pare se ne avveda.
L’assurdo è nell’arrivare a votare nelle aule parlamentari l’istituzione di una Scuola dell’Alta Formazione dell’Istruzione non per la valorizzazione e la crescita professionale di dirigenti, docenti e personale Ata ma per istruirli! Conformemente, è ovvio, ai progetti di chi ha scoperto finalmente come si insegna e cos’è scuola. Assurdo!
Tra costoro vediamo anche docenti universitari che della didattica della matematica sanno tutto e sono pronti a scendere in campo certi di risolvere, una volta per tutte i problemi dell’insegnamento della matematica.
Ci penseranno loro!
Così Seneca è definitivamente sconfessato: non è più vero che homines dum docent discunt. Dal 2023 bisognerà istruirsi a insegnare seguendo i corsi pensati dalla Scuola dell’Alta Formazione dell’Istruzione!
NOTA: Il comma 124 della Legge 107/2015
«Nell’ambito degli adempimenti connessi alla funzione docente, la formazione in servizio
dei docenti di ruolo è obbligatoria, permanente e strutturale. Le attività di formazione sono definite dalle singole istituzioni scolastiche in coerenza con il piano triennale dell’offerta formativa e con i risultati emersi dai piani di miglioramento delle istituzioni scolastiche previsti dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 marzo 2013, n. 80, sulla base delle priorità nazionali indicate nel Piano nazionale di formazione, adottato ogni tre anni con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative di categoria».