La magia degli oggetti

ARTICOLO SCRITTO DA: CAROLINA BIANCHI FORMATRICE SCUOLA OLTRE

La magia degli oggetti

Sono a cena al ristorante e noto una coppia di genitori che consegna al figlio, che a occhio e croce potrebbe avere tre anni, un libro per bambini per rendergli più interessante la serata. Il bimbo inizia a scorrere con il dito indice sulla copertina, tiene tra le sue mani il libro in orizzontale. Non accade nulla, la copertina resta sempre la stessa. Eppure le caratteristiche generali ci sono: è liscia, rettangolare e non offre particolari resistenze al tatto.

Dopo ripetuti tentativi del bambino, la scoperta: l’oggetto in questione non è un tablet. Si tratta di un libro. Si può aprire, ma solo da un lato. Ci sono forme, immagini e (in questo caso poche) parole, la copertina è più rigida delle pagine e ci sono tanti colori.

Questa scena mi ha colpito molto. La strategia per interagire con un libro è stata quella di replicare l’approccio che si ha con un tablet o con uno smartphone. Mi ha colpito, in particolare, l’utilizzo del dito indice, piuttosto che della mano.

Byung-chul Han, in “Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale”, dopo aver citato Vilém Flusser, ci ricorda che “la mano è l’organo del lavoro e dell’azione. Il dito, di contro, è l’organo della scelta. L’uomo senza mani del futuro ricorre solo alle dita. Sceglie invece di agire. Schiaccia dei tasti per soddisfare i propri bisogni”. 

È un mondo in cui abbiamo smesso di vivere il reale, ci avverte il filosofo. Siamo inondati ogni giorno da quantità ingestibili di informazioni, “la realtà appare sfuggente e confusa, piena di stimoli che non vanno oltre la superficie”.

Riabilitare la conoscenza del mondo attraverso la mano significa immaginare possibilità non ancora esistenti, uscire dalla logica della scelta di soluzioni preconfezionate e diventare agenti attivi nel mondo. È un atto rivoluzionario, quello di decidere di scontentare una società che ci vuole dotati solo di dita e non di mani, di dito indice, per la precisione, così da poter scegliere tra le possibilità che ci vengono messe davanti, in ogni momento, comodamente dal nostro smartphone.

Aprendo cento volte un libro, troveremo cento volte lo stesso panorama davanti agli occhi, ma scaturiranno in noi pensieri cento volte diversi. L’intossicazione di contenuti che sperimentiamo nel virtuale, invece, annulla questo processo di scoperta di sé, la riflessione introspettiva e la capacità di concentrazione.

Il problema è che questo continuo flusso di informazioni, la presenza potenziale di contenuti sempre nuovi, ci abituano ad una soglia dell’attenzione sempre più bassa, all’incapacità di “rimanere” con un oggetto che propone sempre e solo se stesso.

Ecco perché credo che bambini e bambine, ragazzi e ragazze, debbano sperimentare la meraviglia osservando gli oggetti reali e non solo digitali. Oggetti che offrano resistenze e che necessitino della nostra opera per espletare la loro funzione e, grazie al nostro ingegno, possano rivestirsi di nuove.

Ragionare sul fatto che ogni oggetto, un tempo, è stato invenzione, offre infinite possibilità di lettura del reale. Lo ha ben intuito Dominic Wilcox, artista e designer inglese, fondatore di Little Inventors, ente che si occupa di favorire la creatività e l’inventiva nei bambini e nelle bambine di tutto il mondo. Ne “Il Manuale del Piccolo Inventore”, possiamo trovare un intero percorso guidato che permette a bambini e bambine di imparare ad osservare il mondo e gli oggetti con occhi rinnovati. Inizieremmo a porci domande come “Cosa accadrebbe se i libri si potessero aprire su tutti i lati? Potrebbero forse contenere quattro storie che possono essere lette da quattro amici per volta, seduti ad un tavolo quadrato?”.

Cosa accadrebbe se ci innamorassimo degli oggetti reali, delle loro caratteristiche e delle loro potenzialità?

L’affezione agli oggetti (pensateci bene, siamo realmente affezionati al nostro smartphone?!) passa attraverso legami che si costruiscono nel tempo, attraverso le storie che questi oggetti ci raccontano. È emblematico il caso del “Museum of Broken Relationships” di Zagabria. Un museo molto particolare, la cui collezione è rappresentata da una serie di oggetti comuni che sono stati inviati al museo da persone protagoniste di relazioni amorose finite. Gli oggetti si vestono così di un’importanza conferita loro dalle storie che custodiscono, e che i cuori infranti decidono di condividere con i visitatori. Siamo bisognosi di storie, di simboli e di sentirci umani. L’oggetto reale ci àncora all’esistenza, come nessuna informazione digitale può fare.

Prestare attenzione agli oggetti del mondo reale che ci circonda, riappropriarci dell’uso delle nostre mani, riacquisire la vista davanti alle “cose silenziose e poco appariscenti, abituali, secondarie e ordinarie”. Non per negare o rifiutare il mondo digitale, ma per avere la possibilità di essere soggetti che agiscono, che hanno la potenzialità di creare e di fare il mondo, non solo di selezionare. Umani del futuro che hanno mani, non solo dita.

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