Sull’efficacia della matematica
Si discute sulla matematica, come migliorarne l’insegnamento e come spiegarne l’irragionevole efficacia. Una mattinata all’Accademia dei Lincei.
Il ministro dell’istruzione Giuseppe Valditara ha riacceso i riflettori sulla matematica: nelle scuole il suo insegnamento deve cambiare! Espressione forte, decisa, che qualcuno ha voluto intendere come l’annuncio della scoperta, finalmente, di come cambiarlo per migliorarlo. Ha aggiunto, il ministro, che su questo punto è d’accordo con il premio Nobel Giorgio Parisi, che dal suo canto si è espresso sulla necessità di ristabilire un equilibrio didattico tra astratto e concreto. Questione onnipresente nella riflessione pedagogica e che ci riporta al più generale problema, più volte toccato su Matmedia, di cos’è la matematica e a cosa serve. Si veda, ad esempio: La matematica, un test per insegnarla meglio.
In aggiunta, può risultare utile per i docenti di matematica, che sul problema di migliorare il proprio insegnamento quotidianamente riflettono, anche la seguente nota su un dibattito in cui uno dei protagonisti è proprio Giorgio Parisi.
Accademia dei Lincei. Seduta antimeridiana del 9 gennaio 1993.
Gli accademici discutono l’Irragionevole efficacia della matematica sulla fisica. La discussione è originata da una lettera di Gaetano Fichera, matematico, a Giorgio Salvini, presidente dell’Accademia. Nella lettera, Fichera chiede un momento di riflessione collegiale, che indaghi sulla concreta possibilità di arrivare a una spiegazione “razionale” della “irragionevole efficacia della matematica”. Problema posto dal premio Nobel Eugene Wigner nel ben noto articolo The Unreasonable Effectiveness of Mathematics in the Natural Sciences del 1960.
Ancor oggi il prestigio dell’istituzione e l’autorevolezza dei partecipanti fanno del resoconto di quel dibattito di trent’anni fa un documento prezioso per una ulteriore riflessione sul valore e sulla natura della matematica e delle scienze, utile in particolar modo, come già detto, per i docenti di matematica e fisica della scuola secondaria.
Ovviamente, non è in discussione l’efficacia della matematica.
Questa efficacia c’è! Da discutere è se essa avvenga in modo prevedibile o meno. Vale a dire che da discutere è il miracolo dell’appropriatezza del linguaggio della matematica per la formulazione delle leggi della fisica, se sia vero, come affermava Wigner, che «è un dono meraviglioso che né comprendiamo né meritiamo» o, invece, che comprendiamo benissimo e che altrettanto bene meritiamo e sappiamo spiegare.
Dunque la discussione ha due punti di partenza ben definiti.
Il primo è che la matematica è un linguaggio particolare. Il secondo è che questo linguaggio è efficace nella descrizione della realtà. Con tali premesse il problema assume una dimensione più elevata. Si inquadra nel problema dell’efficacia del linguaggio nella sua più ampia generalità. Cosa, quest’ultima, che il “buon senso comune” porta a riconoscere negli innumerevoli fatti della vita, il cui valore e significato è il più delle volte determinato dalle espressioni più adeguate utilizzate per descriverli, fissarli, definirli.
Una spiegazione, dunque, della ragionevolezza o meno dell’efficacia della matematica deve basarsi su esempi concreti forniti dalla storia e dall’esperienza.
Uno dei primi esempi che colpisce per la sua semplicità e per essere alla portata di uno studente di scuola secondaria superiore è la nascita del calcolo infinitesimale avvenuta simultaneamente a quella della meccanica. Quest’ultima infatti non avrebbe potuto sopravvivere né crescere senza poter parlare di velocità istantanea e di accelerazione istantanea, cioè se la matematica non avesse offerto la possibilità di esprimersi in termini di derivata di una funzione. È un primo esempio, concreto, che sembra indicare quanto «la lingua nasca sotto la pressione di una necessità e poi proceda costruendo le sue regole grammaticali per incontrarsi nuovamente con la realtà».
Un altro esempio, direttamente collegato al primo, è il moto dei pianeti studiato da Keplero che era giunto a formularne le leggi.
«Queste – osserva Giorgio Parisi, uno dei presenti in quella mattinata di discussione accademica – sono estremamente eleganti, specialmente per il matematico, e si basano su figure geometriche molto semplici: le sezioni coniche. Newton, introducendo una forza che agisce a distanza ed è proporzionale all’inverso del quadrato della distanza, riesce a riderivare le equazioni di Keplero. Si passa in questo modo da una descrizione statica, geometrica, ad una descrizione dinamica, basata su equazioni differenziali. Se l’unico problema fosse stato il calcolo delle orbite dei singoli pianeti, ci sarebbe da discutere a lungo se il contributo di Newton costituisca un progresso».
A tal proposito, Parisi ricorda il caso di Hegel per il quale «il lavoro di Newton è marginale. Se non deleterio.
Hegel argomenta che la formulazione di Newton è matematicamente uguale a quella di Keplero e quindi non ha aggiunto niente di nuovo, anzi ha introdotto il concetto metafisico di una forza non misurabile: possiamo misurare solo l’accelerazione e quindi la seconda legge di Newton è una tautologia.
Ovviamente Parisi non è d’accordo con Hegel: «Le leggi di Newton permettevano non solo di riderivare le leggi di Keplero, ma anche di calcolarne le piccole deviazioni, dovute alle interazioni di un pianeta con l’altro. La stessa formulazione, che in prima approssimazione era in grado di spiegare i moti periodici dei pianeti, permetteva di ottenere dei moti aperiodici in perfetto accordo con i dati sperimentali, spiegando così i piccoli scostamenti dalle leggi di Keplero. A partire dalle leggi di Newton lo sviluppo combinato della matematica e della fisica avvenuto nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo permise di predire il moto dei pianeti con una precisione incredibile».
Siamo cioè di fronte a una spiegazione razionale e comprensibile di quanto avvenuto: non appena si passa dal formalismo geometrico di Keplero a quello dinamico di Newton, la nuova teoria può essere applicata con successo e con accuratezza estrema in un ambito enormemente più ampio.
Un altro esempio addotto da Parisi riguarda la meccanica quantistica, che ai suoi albori, dal 1901 al 1926, «era riuscita a spiegare solo i problemi in cui il moto classico era periodico (nel tempo). Il formalismo di Heisenberg era stato costruito partendo dal principio di corrispondenza per moti periodici. Tuttavia questa nuova formulazione, matematicamente equivalente all’equazione di Schrödinger, può essere applicata con un processo spettacolare anche in situazioni in cui le orbite classiche non sono periodiche.
Lo studente del terzo anno di fisica non si stupisce come Wigner, in quanto l’equazione di Schrödinger gli viene presentata come punto di partenza per costruire la meccanica quantistica e trova naturale che la stessa equazione descriva ugualmente bene sistemi con due, tre, tante particelle. La meraviglia nasce se osserviamo lo sviluppo storico: non appena la teoria è formulata correttamente nel buon formalismo matematico, il campo di applicabilità si espande a macchia d’olio».
Sono esempi concreti che mirano a spiegare razionalmente il successo del linguaggio matematico in fisica.
Da un punto di vista più generale è pertinente l’esempio addotto da Giovanni Jona-Lasinio: un poliziotto (ideale!) impegnato in una indagine. A cosa gli serve il linguaggio? «Lui ha dei dati che sono parziali e usa il linguaggio innanzi tutto per enumerare le possibilità logiche compatibili con quei dati. Ma di solito le possibilità sono troppe perché l’enumerazione risulti utile e per ridurle è costretto ad attribuire una “struttura” ai dati correlandoli ad esempio a possibili motivazioni generali dei protagonisti della vicenda. Ovviamente in questa operazione c’è una grande arbitrarietà, ma una volta effettuata, i dati acquistano nuovi significati e permettono nuove conclusioni che spesso sono vere».
“Spesso”, ma non sempre: non mancano infatti esempi di generalizzazioni matematiche rimaste “inefficaci” nella descrizione della realtà: ad esempio le statistiche intermedie, il monopolo magnetico, ecc.. Una conclusione che si avvicina a quello che forse è il risultato della stessa discussione, un’efficacia, cioè, che è ragionevole fino a un certo punto, rimanendo nella restante parte avvolta nel mistero che la stessa matematica porta con sé. È vero – esclama Salvini – la natura gioca anche con la matematica!
Un dibattito prezioso che alla fine sembra chiudersi sulla medesima conclusione che fu già di Wigner e cioè che il miracolo c’è, la matematica è un meraviglioso dono che ci è stato fatto e «dovremmo essere grati per esso e sperare che esso rimanga valido nella ricerca futura e che si estenderà, nel bene e nel male, a nostro piacere, anche se, anche per il nostro sconcerto, ad ampi rami della conoscenza».
Il resoconto del dibattito, almeno per la parte alla quale ci si è riferiti nella presente nota, si trova in:
Gaetano Fichera, Opere storiche, bibliografiche, divulgative, a cura di Carbone, Ricci, Sbordone, Trigiante, Giannini editore, Napoli, 2002.