Il docente di sostegno “segue” l’alunno disabile? E’ una brutta espressione, le parole sono importanti. I consigli di Evelina Chiocca (CIIS)
Le parole sono importanti o, se preferite, le parole sono pietre e, in ogni caso, vanno usate con estrema attenzione, soprattutto quando si affrontano temi “sensibili”.
Parlando di inclusione e di tutto ciò che ruota intorno a questo tema è bene essere precisi perché “le parole testimoniano la cultura e la cultura si nutre di parole, di pensieri e di azioni”: lo sostiene Evelina Chiocca, presidente del CIIS, che, con un suo post su Facebook, fa un ampio elenco di espressioni da non utilizzare.
Vediamo.
Non è il caso di parlare di “alunno di sostegno”: “l’alunno è alunno e basta, è una persona senza aggettivazioni” – afferma Chiocca – e, in quanto tale, va chiamato “per nome”, come facciamo con chiunque”.
Così come non va bene usare le espressioni “alunno DVA” o “alunno H”: “aggiorniamoci – esorta – e utilizziamo alunno con disabilità”.
Anche sottolineare, con tono differente, “insegnante di
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