Pensione anzianità, ‘duplice discriminazione’ Legge Fornero: storica sentenza del Tribunale di Asti

La sezione lavoro del Tribunale di Asti, confermando una precedente ordinanza, ha definitivamente accertato il diritto di una docente, assistita dall’avvocato Salvatore Braghini della Gilda provinciale dell’Aquila, che era stata collocata in pensione d’ufficio con un’anzianità di 41 anni e 10 mesi, di permanere in servizio sino al raggiungimento di un’anzianità di servizio pari a 42 anni e 10 mesi, con conseguente riammissione in servizio e diritto alle retribuzioni per i mesi in cui alla stessa non è stata consentita la prestazione lavorativa.

Pensione di vecchiaia, sentenza Tribunale di Asti accoglie ricorso di una docente  

La pronuncia del Tribunale di Asti, a firma della dr.ssa Elisabetta Antoci, è da considerarsi di portata storica. La donna, docente di ruolo presso l’Istituto Tecnico Industriale A. Artom di Asti, aveva ricevuto il 6 aprile 2022 un avviso dell’amministrazione di collocamento a riposo d’ufficio per raggiunti limiti di età, con decorrenza 1° settembre 2022, in quanto aveva maturato i requisiti previsti dal decreto legge 201/2011, convertito nella legge 214/2011 (nota come riforma Monti-Fornero), che, secondo l’interpretazione autentica fornita dal successivo D.l. 101/2013, impone alle amministrazioni di pensionare il personale che abbia conseguito un qualunque diritto a pensione, tra cui quello basato sugli anni di contribuzione, che prevede almeno 65 anni di età con un’anzianità di servizio di 42 anni e 10 mesi, nel caso degli uomini, e di 41 e 10 mesi, per le donne.

Il legale fondava il ricorso sull’effetto discriminatorio di detta normativa, posto che ove si fosse trattato di un lavoratore – anziché una lavoratrice – quest’ultimo avrebbe potuto permanere in servizio per tutto l’anno scolastico 2022/2023 e cessare dal servizio in data 31 agosto 2023. Il Giudice del Lavoro ha citato, in particolare, la sentenza della Corte di Giustizia Europea del 13 novembre 2008 (nella Causa n. 46/07), con cui il sistema pensionistico dei lavoratori pubblici italiano risulta sottoposto al principio sulla parità di trattamento retributivo di cui all’art. 141 CE, che “vieta qualsiasi discriminazione in materia di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e lavoratori di sesso femminile”.

Ha, quindi, concluso che “gli stessi principi espressi dalle Corti superiori sopra citate (e dalla copiosa giurisprudenza di merito e di legittimità prodotta da parte ricorrente) con riferimento alla normativa italiana che prevedeva diversi limiti di età tra uomini e donne per l’accesso al trattamento pensionistico (precludendo alle donne di permanere in servizio oltre il 65° anno di età alle medesime condizioni degli uomini) devono applicarsi anche al caso di specie, ove il fattore di differenziazione nel trattamento tra uomini e donne non risiede nell’età pensionabile quanto nell’anzianità contributiva”.

Avvocato Braghini: ‘Sentenza storica che porta alla luce una duplice discriminazione’

“La sentenza – spiega l’avvocato Salvatore Braghini – porta alla luce una duplice discriminazione dell’attuale normativa che regola la pensione di anzianità: da una parte, quella che lamentano gli uomini, costretti a maturare un anno di servizio in più rispetto alle donne, 42 anni e 10 mesi anziché 41 e 10 mesi, per agganciare il requisito di accesso alla pensione, e, dall’altra, quella che subiscono le donne, costrette ad andare in pensione d’ufficio, come nel caso della sentenza, un anno prima, anche se intenzionate a permanere fino alla stessa anzianità contributiva prevista per gli uomini”.

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