Letteratura matematica. Storia, magia, verità e bellezza sempiterna nei racconti di matematica di Nicola Melone.
L’arazzo di Bayeux
Matmedia è grata al prof. Nicola Melone per aver autorizzato la pubblicazione di alcuni dei suoi racconti matematici. Un dono per la didattica della matematica, sempre alle prese con il problema di arricchire il repertorio di parole ed immagini a disposizione di chi insegna e di chi apprende.
Bella tra le Belle
Si incamminarono un giorno in cinque per incontrarsi, provenienti da luoghi diversi della Terra e da epoche diverse. Sembrava impresa quasi impossibile che, costanti come erano, riuscissero ad incontrarsi e a fondersi tra loro. Il più scadente scommettitore non avrebbe puntato un euro su quell’incontro. Ai più sembravano necessari una formula magica ed un mago. E il mago arrivò. I cinque decisero di muoversi dai loro regni perché sollecitati dalla mente eccelsa di un matematico.
Il 15 aprile del 1707 nella città svizzera di Basilea nacque il geniale Leonhard Euler (si legge Oiler, italianizzato in Eulero). Entrato all’Università di Basilea a tredici anni, a diciannove discusse la tesi di dottorato sulla propagazione del suono. Dall’età di vent’anni visse tra San Pietroburgo e Berlino e diede fondamentali risultati in Matematica, Fisica, Meccanica classica e celeste. È stato uno dei più prolifici matematici nella storia della Matematica: recentemente è stato ripreso il progetto di completare la pubblicazione della sua “Opera Omnia” con la previsione di 84 volumi con almeno 35.000 pagine complessive).
Torniamo, però, ai cinque viaggiatori. Il più antico dei cinque è il numero uno (1). Rudimentali metodi di conteggio erano noti all’uomo del Paleolitico, come si evince dal ritrovamento di reperti di sistemi di conteggio (ad esempio, Osso di Ishango, 20.000 anni fa). Dal punto di vista matematico, però, sono interessanti i ritrovamenti di tavolette di argilla e geroglifici delle civiltà babilonese ed egizia, risalenti a circa 1800 anni a.C.. Nell’antico Egitto e nella numerazione attica, durata fino al VI secolo a.C., era rappresentato da un punto o da un trattino verticale (·,|), nella successiva numerazione ionica dalla prima lettera dell’alfabeto greco ( α ) e nei tempi moderni con il simbolo 1, evoluzione europea dei segni dell’aritmetica indo-araba, divulgata in Occidente da Fibonacci nel 1202 con il suo Liber Abaci.
Il secondo è il numero pi greco (π), dato dal rapporto tra le lunghezze di una qualunque circonferenza e del rispettivo diametro. Cenni di questa costante matematica si trovano nel papiro Rhind (dello scriba Ahmes, 1800 a.C. circa). è un numero irrazionale (cioè non è rapporto di due interi, J.H. Lambert 1761)) ed addirittura trascendente (cioè non annulla alcun polinomio non nullo a coefficienti razionali, F. von Lindemann 1882), ha infinite cifre decimali e comunemente si approssima con 3,14. La Matematica greca antica (in particolare Archimede, III sec. a.C.) lo ha studiato a fondo. Il simbolo π è stato introdotto da Eulero.
Il terzo è il numero zero (0, lo zephiro degli arabi), usato già dai babilonesi in Mesopotamia (odierna Iraq) come segnaposto di uno spazio vuoto nella scrittura di un numero, in modo che tutte le cifre fossero al posto giusto, ma privo di significato matematico. Soltanto nel 628 d.C., il matematico indiano Brahmagupta gli diede finalmente la dignità di numero nell’Aritmetica e lo fece conoscere agli arabi. In Italia (e nel vecchio continente) fu portato all’inizio del XIII secolo da Fibonacci, attraverso il suo Liber Abaci.
Il quarto era l’unità immaginaria ( i = √-1, la radice quadrata di -1). Radici quadrate di numeri negative erano presenti già nei lavori di Erone (I sec. a.C.), ma all’attenzione dei matematici tornò con la formula risolutiva delle equazioni algebriche di terzo grado di Tartaglia (Niccolò Fontana), per cercare di vincere la disputa nella prima metà del XVI secolo con Scipione dal Ferro e Girolamo Cardano. Da questo strano numero nacquero i numeri complessi, inizialmente non accettati come numeri (“i numeri che non dovrebbero esistere”), che ebbero un notevole sviluppo con i lavori di Gauss nella prima metà del XIX secolo.
Il quinto, infine, era il numero e (costante di Nepero), anch’esso trascendente (C. Hermite 1873), abbreviato di solito con l’approssimazione 2,718 e noto dalla scuola superiore come base del logaritmo naturale. Tracce di questa costante si trovano nella matematica egizia e greca antica. Ricompare in epoca moderna con l’introduzione dei logaritmi ad opera di John Napier (italianizzato in Nepero) nel 1614 con lo scopo di semplificare calcoli complessi (ad esempio, trasformano moltiplicazione e divisione rispettivamente in addizione e sottrazione e progressioni geometriche in progressioni aritmetiche). Il simbolo e è stato introdotto da Eulero nella sua opera Mechanica del 1727.
I cinque, viaggiando nello spazio e nel tempo, finalmente raggiungono il posto giusto nel momento giusto. Giungono infatti a San Pietroburgo nel 1737 anno in cui Eulero, studiando l’espansione della funzione esponenziale in serie di Taylor, riesce ad estenderla dal campo dei numeri reali a quello dei numeri complessi attraverso la formula eix = cosx + i senx . Il gioco, o meglio la magia è fatta! Sostituendo π alla variabile x ed essendo sen π = 0 e cos π = -1, Eulero ottiene l’identità
eiπ + 1 = 0 .
Questa formula, ritenuta da Richard Feynman, premio Nobel per la Fisica nel 1965, la più bella formula della matematica, nel 1988 fu votata dai lettori della rivista Mathematical Intelligencer come “La più bella formula matematica di sempre”. La formula racchiude in sé un aspetto fondamentale della bellezza della Matematica, collegando in modo elegante cinque costanti fondamentali e sintetizzando più di 3500 anni di storia della Matematica: la rigorosa sinteticità del suo linguaggio e la capacità di indagare l’ignoto e scoprire relazioni impensate tra oggetti differenti, collocandoli in teorie, teoremi e formule per studiarli contemporaneamente. Nicola Melone, 25 marzo 2022