Le principali caratteristiche di un contratto di franchising nella moda
Franchising e moda
Il presente contributo individua le caratteristiche da tenere presenti nella redazione di un contratto di franchising nella fashion industry. Infatti, per realizzare un contratto di franchising equilibrato, è necessario prestare attenzione ad aspetti diversi, e la mancanza di ciò porta a conseguenze che possono essere dannose per le parti, a volte con costi elevati.
Un contratto di franchising è un contratto di applicazione locale del know-how da parte dell’affiliato, che è tenuto ad applicare i metodi e le tecniche commerciali sviluppati dall’affiliante. I due elementi che caratterizzano il contratto di franchising sono quindi il branding e il trasferimento di know-how.
Il marchio funge da segno distintivo della rete, in quanto è altamente visibile, riconoscibile e influente per il consumatore e il pubblico. Utilizzando il marchio, l’affiliato dichiara la propria appartenenza alla rete di franchising e deve utilizzare il know-how acquisito per mantenerne l’integrità, l’identità e la reputazione.
In particolare, il trasferimento di know-how è un elemento essenziale che rende il franchising diverso da altre forme contrattuali simili. Deve essere segreto, sostanziale e identificato. Tuttavia, il caso Canzian ha messo in discussione la necessità di una clausola di know-how. Il caso riguardava la corretta qualificazione di un rapporto commerciale tra due imprese (Canzian Claudia e Dersut Caffè) come contratto di franchising o di affitto di ramo d’azienda e il conseguente ruolo del trasferimento del know-how. Pertanto, con la sentenza n. 11256 del 10 maggio 2018, la Corte di Cassazione afferma che è possibile concepire un contratto di franchising senza una clausola di trasferimento del know-how dall’affiliante all’affiliato. Infatti, la Corte ha ritenuto che l’elemento essenziale e sempre indispensabile del contratto di franchising non sia il know-how “in sé”, ma piuttosto la “formula commerciale” intesa come l’insieme variamente combinato dei diritti di proprietà industriale che l’affiliante concede agli affiliati, tra tutti quelli elencati nell’articolo 1 della Legge n. 129/2004.
Anche se non è richiesto dalla legge, un modo pratico per trasferire il know-how (e tutte le informazioni pertinenti) dall’affiliante all’affiliato è quello di utilizzare un “manuale”. Tale manuale riguarda l’attività dell’affiliante e contiene le informazioni rilevanti per garantire e mantenere la reputazione dell’affiliante. Le informazioni incluse in un manuale sono, tra l’altro: identità aziendale e marchi di fabbrica; linee guida per l’allestimento e il funzionamento del punto vendita; informazioni sui prodotti; look di merchandising e styling; programma di fidelizzazione dei clienti; personale e prestazioni di servizio.
Oltre al branding e al trasferimento di know-how, il contratto di franchising presenta molte altre caratteristiche. Infatti, l’articolo 3 della Legge n. 129/2004 prevede che un contratto di franchising, per essere valido, deve essere redatto per iscritto e deve contenere e indicare espressamente determinate informazioni.
Per la creazione di una rete commerciale di affiliazione, l’affiliante deve aver sperimentato sul mercato la propria formula commerciale. Se il contratto è a tempo determinato, l’affiliante dovrà comunque garantire all’affiliato una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento e comunque non inferiore a tre anni. Ciò non pregiudica la risoluzione anticipata dovuta all’inadempimento di una delle parti.
Inoltre, il fatto che i contratti di franchising siano fisiologicamente caratterizzati dalla dipendenza economica dell’affiliato non significa che questa situazione possa essere sempre considerata lecita. Occorre prestare attenzione alla nuova “tendenza” dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm), che ha recentemente mostrato un nuovo attivismo nei confronti dell’abuso di dipendenza economica, ai sensi dell’articolo 9 della Legge 192/1998.
Ad esempio, l’Agcm ha aperto un’istruttoria nei confronti del Gruppo Benetton per un sospetto abuso di dipendenza economica in relazione ad alcuni contratti di franchising riguardanti la vendita di prodotti di marca. Benetton, infatti, obbligava i propri rivenditori a mantenere una struttura di vendita e un’organizzazione commerciale adeguata alle esigenze della società, attraverso clausole contrattuali volte a influenzare le scelte strategiche del rivenditore, quali (i) la definizione delle proposte di vendita e (ii) la definizione degli ordini di acquisto, non solo in termini di tempi, ma anche di quantità. In questo modo, Benetton potrebbe aver influenzato in modo significativo l’attività economica dell’affiliato, rendendo la sua struttura aziendale meno flessibile. Ciò ha comportato l’impossibilità per l’affiliato di gestire autonomamente la propria attività commerciale, impedendo la possibile riconversione.
Dopo l’apertura del procedimento, la società ha presentato il suo impegno all’Agcm che ha deciso di rendere obbligatori per l’azienda gli impegni presentati; di chiudere il procedimento senza accertare la violazione dell’articolo 9 della legge 192/1998; e che l’impresa presenti all’Agcm una relazione sullo stato di attuazione degli impegni assunti entro 60 giorni dalla notifica delle proprie delibere.
In conclusione, il contratto di franchising può essere uno strumento efficace per regolare le relazioni tra le parti nel contesto dell’industria della moda. Tale accordo può massimizzare gli affari delle parti, preservando al contempo un corretto equilibrio contrattuale tra franchisor e franchisee. Tuttavia, è bene prestare attenzione alla sua negoziazione e successiva esecuzione, perché le conseguenze di un’applicazione impropria della legge possono essere molto onerose per le parti contraenti.
*Partner Studio Legale Internazionale Curtis, Mallet-Prevost, Colt & Mosle LLP – Dott.ssa. Maria Elena Sarvia
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