Fagnani, dalle belve in tv al libro inchiesta sulla mala nella capitale. “Ho citofonato a quasi tutti i criminali di Roma”

Francesca Fagnani, non solo il successo con Belve

Non solo Belve. Il programma cult di Rai2 si è concluso nei giorni scorsi, con le interviste a Mara Maionchi, Francesca Pascale e Piero Chiambretti (in una stagione che ha visto Fedez, Salvini, Bertè e Carla Bruni per fare qualche nome) che tanto eco mediatico hanno riscosso e grande successo sul terreno degli ascolti tv

Il ciclo di puntate è appena terminato è già si si interroga su quale rete tornerà la trasmissione (sarà ancora Rai o magari la rivedremo sul Nove dove tutto iniziò?). Lei intanto è diventata una stella e iconica la domanda “Che belva si sente?” che pone agli intervistati.

Francesca Fagnani, Giovanni Minoli e Michele Santoro i suoi maestri

Laurea in Lettere a La Sapienza di Roma. Francesca Fagnani fu poi ammessa a un dottorato in Filologia dantesca all’Università Nyu, ha lavorato in Rai, alla sede della Grande Mele e assistette agli attacchi e al crollo delle Torri Gemelle. La gavetta con Giovanni Minoli (a Rai Educational) e con Michele Santoro ha esordito come giornalista televisiva ad Annozero nel 2006.  Fagnani è stata anche co-conduttrice della seconda serata del Festival di Sanremo nel 2023 quando portò sul palco dell’Ariston un monologo sul tema delle carceri minorili.

Francesca Fagnani e l’amore con Enrico Mentana

Dal 2013 è legata sentimentalmente al giornalista Enrico Mentana. «Lei ha detto che se potesse, guarderebbe nel telefono di tutti. Spia o ha mai spiato anche il cellulare del suo compagno?», le hanno chiesto recentemente a Un Giorno da Pecora. «Ma ha messo cento password e otto riconoscimenti facciali: non ci arrivo più. Prima ci riuscivo, poi se ne è accorto e ha messo le barriere…», ha spiegato lei. Sulla gelosia di Enrico Mentana, Fagnani ha detto: «No, Enrico non è geloso e non lo sono neanche io. Stiamo parlando di cose successe all’inizio del nostro rapporto. Stiamo insieme da 12 anni e glielo ho spiato nei primi tre anni. Non ho mai trovato niente di che». 

Francesca Fagnani e Mala – Roma Criminale

Aspettando il ritorno di Belve si è trasferita dal piccolo schermo alle librerie.  Parlando di cronaca nera. Nei giorni scorsi infatti è uscito il suo ‘Mala – Roma Criminale’, libro inchiesta che racconta l’epica nera delle leve emergenti della malavita romana, con il ritmo avvincente del romanzo. Quando nasce l’interesse di Francesca Fagnani per questo mondo? «Inizio con Giovanni Minoli raccontando la mafia, poi con Michele Santoro mi occupo di periferie. L’approccio non giudicante mi ha consentito di entrare», ha detto di recente al Corsera. 

Francesca Fagnani: «Ho citofonato a quasi tutti i criminali di Roma. Carminati si lamentò: ma chi è questa?»

«Ho citofonato a quasi tutti i criminali di Roma. A Carminati, per esempio. Mi risponde chiaramente lui ma dice di essere l’operaio. Io dico “aspetto”. Lui ribatte “inutile, Carminati non ti parla”. Alché obietto “ma se lei è l’operaio come fa a saperlo?”. Giorni dopo in una intercettazione parlando con Iannilli, il suo commercialista, Carminati si lamenta di una giornalista che citofona. Iannilli risponde: “È la Fagnani, mi ha citofonato pure a me”», le parole della Fagnani al Corriere della Sera.

Francesca Fagnani, il libro inchiesta su mala romana: l’omicidio di Diabolik

Il libro prende le mosse dall’omicidio di Fabrizio Piscitelli, detto Diabolik, capo degli Irriducibili della Lazio e ai vertici della “batteria di Ponte Milvio”, freddato proprio il 7 agosto del 2019 da un sicario che gli spara alla testa, mentre se ne sta seduto su una panchina al parco degli Acquedotti. È da quel momento, ricostruisce la giornalista e conduttrice di ‘Belve’, che la pace a Roma è finita e le gang sono in guerra e nella capitale, sotto il manto della grande bellezza, scorre un fiume di violenza. Sequestri, pestaggi, torture e omicidi si susseguono. Lo scontro infuria, invisibile agli occhi dei più.

Diabolik è infatti solo la punta dell’iceberg di quella rete di organizzazioni criminali che governano sul territorio: connection tentacolare che comprende il cartello di Michele ’o Pazzo, la malavita storica e quella emergente, e poi il sodalizio, spietato e potente, degli albanesi, che sono cresciuti all’ombra di Piscitelli e sono diventati i Signori del narcotraffico. Così, la vendetta per la morte di Diabolik è l’innesco di un conflitto senza quartiere per il controllo delle piazze di spaccio, dal litorale ostiense a Tor Bella Monaca: un business gigantesco in cui tonnellate di coca muovono milioni. In queste pagine, voci urlano prima di spegnersi nel buio, armi sparano in pieno giorno, la droga invade le strade, i soldi si prestano a strozzo e i debiti si saldano sempre: a qualunque costo e spesso nel peggiore dei modi. Tra i passaggi più interessanti del volume, le pagine dedicate alle certificazioni psichiatriche che hanno consentito ad alcuni degli esponenti di spicco della Roma criminale di ottenere il trasferimento dal carcere a comunità terapeutiche.

È il caso di Dorian Petoku che, scrive Fagnani, “arrestato in Albania nel 2019, estradato due anni più tardi in Italia, dopo appena dodici mesi di carcere, Dorian ottiene dal tribunale il trasferimento in una comunità terapeutica, nonostante il parere contrario della procura di Roma. Petoku, che non soffre di alcuna dipendenza – anzi, si dice che sia addirittura astemio e non faccia uso di droghe cosiddette leggere –, può contare su perizie compiacenti che attestano l’esatto contrario. Era prassi comune a gran parte dei criminali romani, che con una certa lungimiranza al momento dell’arresto si facevano trovare con la cartella clinica pronta, preparata per tempo, così da garantirsi, nell’eventualità, l’alternativa al carcere”.

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