Suzumi Suzuki, L’ultima poesia

Suzumi Suzuki, tra madre e figlia

di Antonio Stanca

    Nel famoso catalogo di Leggereditore è comparsa di recente una nuova edizione de L’ultima poesia, un romanzo della scrittrice giapponese Suzumi Suzuki. La traduzione è di Chiara Pasqualini. Al 2022 risale la prima edizione dell’opera che per la Suzuki era stata anche la prima di genere narrativo.

   Nata a Tokyo nel 1983, era cresciuta a Kamakura. Aveva studiato in scuole private e sue Università erano state quella di Keio e poi quella di Tokyo. Durante gli anni universitari aveva cominciato a lavorare come attrice in film pornografici. Aveva poi pubblicato, col titolo A Sociology of AV Actresses, la tesi del Master in Sociologia conseguito all’Università di Tokyo dopo la laurea in quella di Keio. Trattava del lavoro delle attrici di video per adulti, di come riuscivano ad acquisire una propria identità, a raggiungere una certa posizione all’interno dell’azienda. Anche lei aveva fatto video per adulti, aveva lavorato in film pornografici, era stata intrattenitrice nei locali dei quartieri divertimento di Tokyo, conosceva quel mondo, quella vita, le donne e gli uomini che di essa facevano parte. Di tutto questo aveva detto nell’opera che nel 2013 era stata la sua prima pubblicazione, carattere autobiografico aveva avuto insieme a numerose altre venute dopo. Pure giornalista, saggista oltre che sociologa sarebbe stata la Suzuki di quegli anni finché nel 2022 non avrebbe scritto il primo romanzo, L’ultima poesia (Gifted), selezionato per il 167° Premio Akutagawa. Il secondo, Senza grazia (Graceless), dello stesso anno sarebbe stato selezionato per il 168° Premio Akutagawa. Mentre in questo il protagonista lascia gli studi per immettersi nel mondo del lavoro che sarà quello dell’industria pornografica, nel precedente viene ripercorso lo strano, complicato rapporto tra una madre e una figlia venuta da una relazione clandestina nella Tokyo degli ultimi anni del Novecento. Erano state insieme per i primi diciassette anni della figlia ma poi questa se n’era andata da casa ed aveva cominciato a lavorare come intrattenitrice nei locali notturni della città. Era una bella ragazza, piaceva agli uomini la sua presenza, la sua conversazione. Sarebbe arrivata ad esibirsi sul palco anche se prima avrebbe provveduto a nascondere, tramite un tatuaggio, la grossa cicatrice che dietro il braccio destro era rimasta in seguito ad una grave scottatura. La madre non condivideva la sua vita anche se la sospettava soltanto, anche se pure lei si era mostrata nei locali notturni, aveva ballato, cantato. Aveva recitato suoi versi, era stata brava oltre che bella, era stata ammirata, aveva avuto le sue esperienze, i suoi amori. La figlia, una volta andata da casa, aveva dovuto adattarsi a difficili condizioni, a rapporti a volte buoni, a volte cattivi nonostante non le fosse mancato il successo. Poco, tuttavia, si erano dette tra loro durante quei diciassette anni vissuti insieme e niente una volta che si erano separate. Non c’era stato mai un buon rapporto, non erano state mai vicine, non si erano sentite disposte a giusti consigli, a confidenze intime. Succederà, però, che la madre si ammali gravemente e che non ci sia scampo, che la sua salute vada sempre più peggiorando e che il suo tempo si riduca tra l’ospedale e la casa. La figlia verrà a trovarla, vederla, aiutarla, curarla e per la prima volta si scambieranno quelle rivelazioni, quelle confessioni che tra loro non c’erano mai state. La grave circostanza le ha avvicinate, le sta facendo parlare come mai era successo, le sta mettendo al corrente di tante loro cose, di tutto quello che aveva fatto parte della loro vita, delle persone, delle circostanze, delle situazioni che l’avevano segnata. Anche un uomo misterioso, venuto per sapere della madre, si sarebbe fermato a parlare con la figlia. Aveva avuto una storia con la madre. Le loro storie sarebbero state i loro discorsi e questi avrebbero costituito il romanzo. Avrebbero fatto sapere di tempi, luoghi, ambienti di un Giappone completamente sconosciuto, avrebbero svelato tanti misteri, portato tanta luce, tanta pace.

La porta si chiuderà di colpo!

Quando la porta si chiuderà non serviranno spiegazioni.

Come sarebbe bello se si chiudesse serenamente.

  Sono versi dell’ultima poesia che la madre scriverà prima di morire per dire della morte e di quanto sarebbe “bello” se fosse “serena” come appunto sta succedendo con la sua che tanta distensione ha portato nel difficile rapporto con la figlia.

    Un romanzo delicato, intimo: una madre che, pur se abbandonata, rifiutata, ammalata, non ha smesso di pensare a chi l’aveva lasciata, una figlia che, pur se irrequieta, ribelle, non ha rinunciato a certi ricordi, una relazione che, pur se complicata, non ha mai finito di volersi, di cercarsi. È un percorso difficile quello che la scrittrice compie nel romanzo, è tutto sottinteso, tutto interiore. È fragile, insicuro come l’anima di chi ne parla.

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