La Cina verso la conquista della leadership della conoscenza
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Non troppi anni fa la lista delle università con il maggiore impatto scientifico era dominata dalle realtà statunitensi (da Stanford al Mit di Boston) e britanniche, mentre oggi gli equilibri tradizionali dell’eccellenza accademica globale sono segnati dalla rapida ascesa della Cina, con la regione occidentale in testa. Secondo i dati aggiornati dal Leiden University Center for Science and Technology Studies, nella top ten globale ci sono adesso sei università cinesi: segno eloquente di uno scenario già mutato per quanto riguarda l’ubicazione geografica dei centri di riferimento.
Bonino (PoliTo): «Dalla Cina meno giovani verso l’occidente»
Questa graduatoria si basa sul numero assoluto degli articoli (paper) pubblicati, oltre che sul volume complessivo di citazioni raccolte sulle più autorevoli riviste scientifiche del mondo: «A livello prettamente numerico, non solo la Cina sta attirando grandi quantità di studenti, ma allo stesso tempo sono sempre meno i giovani che dalla Cina si spostano verso i Paesi occidentali per scambi culturali, semestri accademici all’estero e altre forme di trasferimento», spiega Michele Bonino, che al Politecnico di Torino è direttore sia del Dipartimento di architettura e design sia del China Center. «Sono sempre più frequenti anche gli spostamenti dei docenti italiani, e in generale europei, verso la Cina: attraverso piani strutturati, i migliori cervelli nostrani vengono incentivati a trasferirsi là sia dalle generose risorse economiche sia dai contesti lavorativi stimolanti e ben organizzati».
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Anni di investimenti nell’istruzione e nello sviluppo dell’intero sistema accademico hanno portato la Cina a valorizzare le università nazionali e la ricerca scientifico-tecnologica locale, innescando un circolo virtuoso che sta dando frutto anche grazie alla vocazione collettiva alla produttività. Non a caso, i dati prodotti dall’Unesco sottolineano un aumento significativo del numero di scienziati e ingegneri presenti sul territorio cinese e in attività: per la precisione, nel 2023 erano 2,2 milioni.
Cooperazione scientifica e tecnologica
Tutto questo sta alterando in modo non trascurabile gli equilibri internazionali, ma potrebbe generare ulteriori impatti secondari sul mondo accademico occidentale, condizionando gli esiti della ricerca, gli ambiti in cui si indirizzano la maggior parte dei fondi e – in senso più ampio – il futuro degli studi scientifici. «Di recente, a contribuire alla riduzione del flusso di scienziati cinesi verso gli Stati Uniti è stato anche l’incremento delle barriere in ingresso, dovute in parte alla pandemia di Covid-19 e soprattutto a recenti scelte politiche, di Trump prima e di Biden a seguire», aggiunge Simone Pieranni, giornalista, autore del libro «Tecnocina: Storia della tecnologia cinese dal 1949 a oggi» (Add editore, 2023) e oggi in forza a Chora Media. «Del resto, nell’ambito degli accordi scientifici internazionali la cooperazione tecnologica tra Cina e Stati Uniti è stata rinnovata lo scorso marzo di soli sei mesi, invece dei soliti 4 anni come avveniva dal 1979 con l’accordo di cooperazione scientifica e tecnologica S&T Agreement siglato da Jimmy Carter e Deng Xiaoping. Ciò evidenzia la necessità di mettere in campo tutte le iniziative possibili per trattenere il know how e attrarre quello proveniente dal resto del mondo».
La richiesta di figure specializzate
In questa logica competitiva tre le due sponde dell’oceano Pacifico va interpretata anche la costruzione – metaforica ma soprattutto economica – di ponti d’oro per favorire lo spostamento verso la Cina, non solo di professori ma anche di scienziati, ricercatori e altri luminari, che spaziano dalla scienza di frontiera a quella applicata, dalla ricerca di base all’innovazione tecnologica. Per un singolo talk di un premio Nobel, i budget possono sfiorare i 100mila euro. «Sono numerosi anche i casi di docenti già in pensione che decidono di muoversi verso la Cina, contribuendo a portare idee, esperienza e cultura da mettere a disposizione, a beneficio soprattutto dei più giovani», continua Bonino. «Le figure specializzate arrivano dall’estero in una maniera che potremmo definire chirurgica, ossia per colmare gap specifici in alcuni filoni in cui la ricerca non è ancora arrivata al livello dei principali competitor globali».
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