Il museo esplora l’intelligenza artificiale tra dati e creatività

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Stupore, perplessità, divertimento. Un turbinio di emozioni travolge chi ascolta «Ai Ludwig van?», la reinterpretazione della Sinfonia N. 4 di Beethoven eseguita il 13 ottobre scorso al Teatro di Bolzano. Come ogni sperimentazione, l’esecuzione musicale con l’intelligenza artificiale crea uno spiazzamento – che può piacere o non piacere – ma interroga. «Nelle nostre linee strategiche abbiamo come punti cardine l’innovazione e la sperimentazione con progetti che hanno come obiettivi la fruibilità, l’accessibilità, l’inclusività del nostro pubblico – spiega Monica Loss, direttrice di Fondazione Haydn di Bolzano e Trento – Da tempo ci siamo avvicinati alla virtual reality coinvolgendo anche lo spettatore, poi l’anno scorso il passaggio all’Ai, una frontiera e anche una realtà». Così, in occasione di Futuradio, la festa di Rai Radio 3 a Bolzano, dopo l’esecuzione tradizionale da parte dell’orchestra, l’Ai è entrata in scena rileggendo alcuni passaggi della Sinfonia n. 4, così come interpretata dal direttore da Ottavio Dantone. L’esecuzione dell’Ai è stata gestita da un ingegnere del suono, Alvise Vidolin. «Noi con le nostre esperienze alimentiamo l’Ai che potrebbe limitarsi a riprodurre oppure a rielaborare, sono approcci differenti. Siamo attenti a esplorare questo crinale tra riproduzione e interpretazione» aggiunge Loss.

La fondazione fa parte di una avanguardia di istituzioni culturali italiane che utilizza l’Ai, il 20% del totale, secondo il report dell’Osservatorio Innovazione Digitale per la Cultura del Politecnico di Milano (che sarà presentato il 4 giugno 2024).

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Velocizzare ed efficientare

L’impiego più diffuso è al livello più semplice: l’Ai è usata per velocizzare ed efficientare operazioni di supporto operativo (traduzioni, trascrizioni etc.) o di creazione di contenuti. Il 14% dei musei, monumenti e aree archeologiche italiani già fa uso dell’Ai per creare testi per la newsletter o immagini per i post social. In secondo luogo è usata per l’automazione di servizi a media complessità, che può comportare la necessità di istruire l’algoritmo con informazioni specifiche detenute dall’istituzione culturale. A questo livello, la prima area riguarda l’offerta di servizi al pubblico come i chatbot, ma non solo, proposti dal 3% dei musei italiani. Questo ambito è in grande fermento anche a livello internazionale. Lo Smithsonian American Art Museum, ad esempio, ha creato un’app che permette di dialogare con la propria audioguida, personalizzandola in base alle preferenze dell’utente. Il valore di questa app è che è fruibile dall’utente sul proprio smartphone: il museo può quindi comunicare con il visitatore prima della visita e dopo la visita, una opportunità interessante anche in termini di marketing culturale.

Gli archivi raccontano storie con i chatbot

La gestione archivistica rappresenta una seconda area di utilizzo, in particolare per attività di rapida creazione di didascalie e descrizioni o di metadatazione. Ad esempio, al Science Museum Group di Londra si utilizza un sistema di riconoscimento delle immagini per generare nuovi tag e parole chiave utili nel processo di digitalizzazione dell’archivio. A Torino invece sta nascendo Ama Gramsci, un chatbot di Ai generativa in grado di dialogare con l’utente. «Il progetto si inserisce in un percorso di digitalizzazione del nostro patrimonio che ora si è concretizzato con un bando per la trasformazione digitale della Fondazione Compagnia di San Paolo – spiega Matteo D’Ambrosio, direttore della Fondazione Istituto piemontese Antonio Gramsci – Il chatbot restituirà percorsi narrativi sulla base di un primo nucleo di un centinaio di documenti, già digitalizzati». Si tratta di documenti selezionati dai fondi archivistici “Ezio Bosso” e del “Circolo culturale Arturo Toscanini”. L’ambizione del progetto – in co-progettazione con l’azienda Dm Cultura – è poi estendere il chatbot a tutti quei corpi documentari che possano raccontare delle storie. L’obiettivo è rendere questo patrimonio fruibile da tutti, grazie a un team interdisciplinare di archivisti e comunicatori, ai quali è stato proposto subito un percorso di formazione. Il risultato sarà interessante anche per gli addetti ai lavoro, i ricercatori, che troveranno peraltro il collegamento alla fonte documentale attraverso 9centRo, la piattaforma digitale degli archivi del Polo del ’900. Il sottostante è tutto un lavoro di metadatazione molto accurato.

«Catalogare, metadatare le opere, scrivere le didascalie, sono tutte operazioni che sinora sono state fatte in modo manuale, artigianale. Avere una macchina che fa questo lavoro in pochissimo tempo e a minori costi è un risvolto interessante – spiega Eleonora Lorenzini, direttrice dell’Osservatorio del PoliMi – Come interessante è l’analisi quantitativa e qualitativa per indagare i pubblici, le valutazioni online ecc. L’Ia può velocizzare il processo e offrire dashboard più avanzate». La National Gallery di Londra per esempio utilizza una piattaforma basata su AI per prevedere trend di affluenza sulla base di dati relativi alle presenze turistiche o all’attività online degli utenti.

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