Riconoscere i fiori delle nature morte con un’app
Ho sul telefono più di 90 app, la maggior parte inutilizzata.
Prima o poi dovrei decidermi a cancellarne un bel po’, ma ce n’è una a cui non potrei rinunciare: è Pl@ntNet, un’applicazione di identificazione delle piante che utilizza le foto di foglie, fiori, frutti, corteccia o dell’intera pianta.
La cosa interessante è che della pianta riconosciuta viene fornito sia il nome comune sia quello scientifico con genere, specie ed eventuale varietà. A me, che adoro imparare a memoria i curiosi nomi latini delle piante, questa possibilità mi fa letteralmente impazzire!
Quando faccio escursioni in montagna, ma anche quando gironzolo tra gli alberi della mia campagna, non perdo occasione per scoprire i nomi delle piante in cui mi imbatto, siano queste grandi alberi o piccoli arbusti. Questa, per esempio, è spuntata da sola in un’aiuola, ma fa una splendida fioritura alla fine dell’inverno. È il viburno, una pianta citata persino da Virgilio nelle Georgiche.
Anche quelle che chiamiamo ‘erbacce’ hanno la loro precisa classificazione botanica. E così mi è capitato di scoprire, tra la flora spontanea, fiori che hanno persino una dignità mitologica, come l’asfodelo, presente in abbondanza in centro Sicilia e ricordato per essere quello che Persefone raccoglieva prima di essere rapita da Ade.
Ma che c’entra Pl@ntNet con questo blog? Il motivo è semplice: io la uso per riconoscere i fiori delle nature morte olandesi del Seicento, quei bouquet straordinariamente realistici che andavano di gran moda nel Secolo d’oro.
L’ultimo esperimento l’ho fatto alla Pinacoteca Civica di Forlì, davanti a una tela della pittrice Rachel Ruysch (1664- 1750), celebre autrice di nature morte floreali.
Con lo smartphone ho inquadrato il fiore rosso in basso a destra e l’app mi ha suggerito che dovrebbe trattarsi di un anemone, fiore che nella mitologia era collegato ad Adone e al sentimento dell’abbandono.
Subito al di sotto dell’anemone ho identificato la genziana, il fiore blu a forma di campana che si credeva avere proprietà antipiretiche.
I fiorellini bianchi in alto a destra potrebbero essere quelli dell’Agave amica, una tuberosa i cui estratti erano molto apprezzati nel campo della profumeria.
Come si procede, esattamente? È tutto molto intuitivo. Basta aprire l’app e toccare il simbolo della macchina fotografica (oppure scegliere un’immagine dalla galleria dello smartphone), fotografare il particolare della pianta che si vuole riconoscere, indicare all’app se si tratta di una foglia, un fiore, un frutto o altro, e infine leggere le possibili identificazioni.
Questa, ad esempio, è la rosa moscata alla base della natura morta.
Non tutti i fiori, ovviamente, sono identificabili. Alcuni sono stati rappresentati in posizioni tali che l’app non riesce a coglierne la struttura e le caratteristiche. Altri, addirittura, non esistono più e quindi non fanno parte dell’archivio da cui attinge Pl@ntNet. È il caso del tulipano screziato in alto a destra.
Si tratta di un tulipano della varietà Semper Augustus, un fiore “speciale” che all’inizio del Seicento, in Olanda, aveva rapidamente assunto un grandissimo valore economico: un bulbo poteva costare quanto tre case. Per questo alcuni artisti avevano creato dipinti solo con questo preziosissimo fiore, come il quadro di Johannes Bosschaert del 1628.
Era l’epoca in cui in si diffuse la “tulipomania“, il commercio di bulbi di tulipano con metodi da speculazione finanziaria.
Il fenomeno ebbe un drammatico epilogo nel 1637 quando improvvisamente l’asta dei bulbi andò deserta, i prezzi crollarono e chi aveva venduto case e terreni per investire sui bulbi si ridusse sul lastrico. Questo episodio, noto come “bolla dei tulipani” è considerato la prima bolla speculativa nella storia dell’economia capitalista.
Quanto al povero Sempre Augustus, il re dei tulipani, la sua bellezza è stata la sua condanna: le striature erano provocate da un virus che in poco tempo uccideva anche il bulbo. Per questo oggi quella varietà non esiste più.
Ma perché vi ho raccontato questa storia? Beh, secondo me è perfetta per dimostrare che usare un’app per riconoscere i fiori di un dipinto non è un’attività oziosa, un curioso passatempo, ma un modo per entrare nei segreti di un quadro e nella vita di un’intera società.
Non solo: è anche un approccio didattico interdisciplinare, che mette assieme arte e scienza e aiuta a scoprire gli utilizzi culturali del digitale. Cosa si può volere di più?
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