Lettura e scrittura tra analogico e digitale: Strategie per l’accoglienza

ARTICOLO SCRITTO DA: Barbara Dragoni, AUTRICE SCUOLA OLTRE

Rubrica: Scuola secondaria di primo grado

Come sempre accade in prossimità dell’inizio delle lezioni, ad essere emozionati non sono soltanto gli studenti ma anche gli insegnanti, ben consapevoli che ogni nuovo anno scolastico rappresenta un’avventura unica e dalle dinamiche costantemente mutevoli. Quest’anno l’espressione «transizione digitale» sarà una costante con la quale il mondo della scuola dovrà confrontarsi più di quanto avvenuto in passato, in riferimento – come sappiamo – soprattutto ai finanziamenti provenienti dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza), e mi piacerebbe cominciare l’anno con una riflessione su cosa voglia dire – in concreto, in classe, con i ragazzi, nella pratica quotidiana – sentirsi protagonisti attivi del passaggio verso una scuola «in transizione» sempre più tecnologica e digitalizzata. Al di là dei riferimenti normativi che non rappresentano neppure una novità scolastica assoluta, vista la direzione verso l’organizzazione digitale prevista una decina di anni fa dall’allora Psdn (Piano nazionale scuola digitale), per non parlare della digitalizzazione massiccia d’urgenza adottata durante lo stato di emergenza pandemico, sento in qualche modo l’esigenza di riflettere su ciò che emerge dagli studi in ambito neuroscientifico in merito al cervello che legge e apprende in un mondo ormai ampliamente dominato da dispositivi tecnologici. Insegnando lettere alla scuola secondaria di primo grado, la mia riflessione si concentra in particolare su quale debba essere il ruolo della lettura e della scrittura in questa fase di passaggio e, in questo senso, studiosi o neuroscienziati come la statunitense Maryanne Wolf e l’italiano Davide Crepaldi possono aiutarmi ad acquisire quella consapevolezza che non solo la scuola, ma la società stessa stanno richiedendo (testi di riferimento: MARYANNE WOLF, Lettore vieni a casa. Il cervello che legge in un mondo digitale, Vita e pensiero e DAVIDE CREPALDI, Neuropsicologia della lettura, Carocci).

Gli studi antropologici hanno dimostrato che raccontare storie si configura come un bisogno umano – i social non sono forse ancora oggi pieni di “storie” come narrazioni di vita propria o altrui? –, in quanto le storie permettono di dare ordine e interpretazione a quello che ci circonda e a ciò che viviamo.
Le storie ci colpiscono perché agiscono nelle aree del cervello che processano le esperienze, entrando in relazione con le nostre esperienze pregresse e diventando storie che ricordiamo e memorizziamo meglio perché capaci di catturare la nostra attenzione e mantenerla più a lungo. Le storie permettono connessioni neuronali importanti, attivano i “neuroni specchio” e zone della corteccia cerebrale in grado di aumentare anche l’empatia, oltre che l’attenzione e la memoria, quindi hanno una funzione importantissima nello sviluppo della persona, oltre che nell’apprendimento scolastico. Quindi noi insegnanti di italiano, che lavoriamo tanto su lettura e scrittura di storie e narrazioni, abbiamo vita facile? Beh, leggere attentamente gli studi dei neuroscienziati può aiutarci a riflettere per acquisire importanti consapevolezze e per superare facili semplificazioni. Intanto la neuroscienza ci dice che il cervello non è biologicamente predisposto alla lettura e alla scrittura e che l’uomo non impara a leggere e a scrivere in modo spontaneo come avviene, ad esempio, per parlare o camminare. Vero è che per una lunghissima parte della storia l’uomo non ha né letto né scritto, così come è altrettanto vero, purtroppo, che ancora oggi tante persone al mondo non sanno né leggere né scrivere. La lettura e la scrittura sono competenze acquisite grazie alla neuroplasticità del cervello umano che ha adattato dei circuiti neuronali a fare una cosa nuova (il cosiddetto «riciclaggio neurale»)
La neuroscienziata Maryanne Wolf fa notare che oggi si legge e si scrive molto più che in passato, ma che lo si fa in modo molto più veloce e soprattutto in modalità online – mail, letture e messaggi su cellulare – e questo va a totale discapito della profondità di comprensione che richiede invece lentezza e tempi lunghi. La lettura in modalità online, specie su cellulare, coglie solo parti di testo nella zona iniziale, centrale e finale – «lettura a zeta» – a discapito della comprensione profonda e della concentrazione (effetto «skimming»). Occorre allenare invece all’effetto «scanning», cioè a tempi di lettura più distesi, per sostare sul testo, comprenderlo in profondità, cogliendone tutti i passaggi e permettere l’attivazione di processi cerebrali complessi. Da studi clinici effettuati su bambini immersi sin da piccolissimi nel mondo dei dispositivi digitali si notano iperstimolazioni cerebrali che producono un disallineamento tra le aree del cervello che sviluppano le funzioni visive e la corteccia prefrontale ventromediale (che risulta molto meno sviluppata) che invece rappresenta la zona cognitiva ed emozionale più sofisticata e complessa. Ne conseguono rischi molto seri: eccessiva semplificazione, incapacità di formulazione di pensieri complessi, difficoltà a provare empatia.

Tornando a focalizzare l’attenzione sulla scrittura e sulla lettura, è innegabile che esse risentano molto della «velocità», mentre occorrerebbero tempi lenti e distesi per esercitarle al meglio e, in generale, per comprendere e apprendere con efficacia. Alla lettura profonda corrispondono l’immaginazione, la riflessione, il pensiero critico, l’empatia, la capacità di immedesimarsi nel punto di vista degli altri. Perdere progressivamente tutto questo rappresenta un rischio troppo serio e un pericolo per la stessa democrazia. La soluzione non è certo quella di rimpiangere i tempi passati privi di tecnologia o demonizzare il digitale, ma è nostro dovere sociale ed educativo riflettere su come ci cambia l’innovazione, come ottenerne vantaggi e come limitarne il più possibile gli aspetti negativi. Il problema non è il digitale in sè, ma la mancanza di profondità dovuta ad un’eccessiva esigenza di «velocità». Occorre quindi trovare il modo di far rallentare i tempi e di lavorare nell’ottica di far coesistere pensiero lento e pensiero veloce, pensiero analogico e pensiero digitale. Come avviene nel bilinguismo dei bambini, dice ancora la Wolf, perché si riesca a conservare quei processi cerebrali sofisticati che abbiamo sviluppato in tantissimi anni. Questo sì che rappresenta una grande sfida per il mondo della scuola e per la società intera, mi viene da aggiungere! Alla luce delle stesse Indicazioni nazionali e delle raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea in tema di life skills, sarà davvero una bella sfida per noi insegnanti della «transizione digitale» accompagnare i nostri studenti in una realtà così complessa e lavorare insieme a loro per incentivare l’innovazione e, nel contempo, stimolare creatività, consapevolezza e responsabilità. Tra la «lentezza» dell’organizzazione del pensiero e la «velocità» del mondo digitale, da considerare mai come fine, bensì come mezzo perfettamente in linea con gli obiettivi che ci siamo posti.

Per gli interessati, anticipo che nel webinar gratuito del 13 settembre continuerò a parlare di scuola tra analogico e digitale e, nel contempo, suggerirò attività pratiche e stimoli di lettura/scrittura da poter applicare con i nostri studenti in fase di accoglienza e non solo.

Continua la lettura su: https://www.scuolaoltre.it/lettura-e-scrittura-tra-analogico-e-digitale-strategie-per-laccoglienza Autore del post: ScuolaOltre Didattica Fonte: https://scuolaoltre.it

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