Caso Raimo: il punto di vista di un ex ispettore
Caso Raimo: il punto di vista di un ex ispettore
di Mario Maviglia
La vicenda è nota: il 6 novembre 2024 il professore e scrittore Christian Raimo, docente presso l’Istituto Pacinotti-Archimede di Roma, viene sospeso dall’USR Lazio per 3 mesi dall’insegnamento, con riduzione del 50% dello stipendio per aver criticato il ministro Valditara. In precedenza (5 aprile 2024) Raimo era già stato sanzionato per aver detto, nel corso di un dibattito televisivo riguardante il caso Ilaria Salis, che i neonazisti “vanno picchiati”. La sanzione attuale è scaturita in seguito allr dichiarazioni di Raimo durante un dibattito pubblico sulla scuola alla festa nazionale di Avs, nel corso della quale aveva affermato che “da un punto di vista politico Valditara va colpito, perché è un bersaglio debole e riassume in sé tante delle debolezze del governo”. E inoltre: “Dentro la sua ideologia c’è tutto il peggio: la cialtronaggine, la recrudescenza dell’umiliazione, il classismo, il sessismo. Se è vero che non è lui l’avversario, è vero che è lui il fronte del palco di quel mondo che ci è avverso, e quindi va colpito lì, come si colpisce la Morte nera in Star Wars”.
In seguito alle proteste espresse dai partiti dell’opposizione su questa misura disciplinare e alle prese di posizione degli stessi studenti e di varie associazioni, il direttore generale dell’USR Lazio ha ritenuto di difendere l’operato del suo ufficio affermando: “In merito alla recente sanzione inflitta al prof. Christian Raimo a seguito di dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti del Ministro Valditara che definiscono quest’ultimo ‘cialtrone’ e ‘lurido’ e che ‘va colpito come la Morte Nera’ non possono essere considerate una critica costruttiva; al contrario, si configurano come un’offesa che viola i principi fondamentali di rispetto reciproco e dialogo civile”. E continua: “Preme ricordare che il docente era stato già precedentemente oggetto di sanzione perché, in occasione di un suo intervento in una trasmissione televisiva, aveva affermato di incitare i giovani alla violenza. L’offensività delle dichiarazioni assume un carattere di particolare gravità quando sono indirizzate a un rappresentante delle istituzioni. La situazione è ulteriormente aggravata dal fatto che tali affermazioni sono state proferite da un docente. I docenti ricoprono un ruolo fondamentale nella formazione delle giovani generazioni e dovrebbero rappresentare un esempio di comportamento etico e civile per gli studenti. Incoraggiare il rispetto e la tolleranza è parte integrante della loro missione educativa”.
Il direttore generale esprime inoltre il suo stupore in quanto “si difende ad oltranza chi, nonostante il proprio ruolo educativo, abbia, oltretutto, nel proprio percorso dichiarato pubblicamente che avrebbe insegnato storia militare per formare truppe volte ad assediare il Ministero dell’Istruzione, quanto fosse giusto picchiare un avversario politico, che abbia definito la premier in modi indicibili, e altri episodi analoghi divulgati peraltro anche attraverso mezzi caratterizzati da una diffusività elevatissima. Il suo ruolo di docente e di educatore, soprattutto, non può non tenere in considerazione che questa dicotomia non possa essere scissa”.
Più tranchant e irritata la reazione del ministro Valditara: “Io ho un milione e 200mila dipendenti, figuriamoci se mi devo occupare di tutti i procedimenti disciplinari che sono tanti. È un problema dell’Ufficio scolastico regionale del Lazio, non mi occupo di queste cose”. Per la verità il ministro all’epoca dei fatti aveva sottolineato che quelle di Raimo erano “dichiarazioni stonate, forti, violente e inappropriate”, dimostrando quindi di occuparsi di queste cose. Inoltre lo stesso ministro non si è sottratto a partecipare a eventi che poco avevano a che fare con la politica scolastica, come quando il 18 ottobre scorso ha preso parte al sit-in a favore del ministro Salvini al processo OpenArms affermando che la requisitoria dei pm di Palermo “ha un forte sapore politico” e, a chi gli chiedeva se la sua presenza fosseopportuna come rappresentante delle istituzioni e come ministro della istruzione rispondeva: “Sono un cittadino libero, perché non dovrei essere qui? Credo di essere un cittadino libero che va dove ritiene di dovere andare, manifestare la solidarietà a Matteo Salvini credo sia un atto doveroso per chi crede nella sua politica”. C’è che chiedersi se la medesima libertà di manifestare il proprio pensiero al di fuori dell’ambito istituzionale in cui opera sia riconosciuta anche a cittadini come Raimo.
Fin qui i fatti di cronaca. Entrando nel merito della vicenda da un punto di vista tecnico, vi sono almeno due aspetti che vanno considerati: il primo riguarda i capi di imputazione, ossia la contestazione di addebiti avanzata nei confronti di Raimo; il secondo concerne la congruenza tra quanto contestato e la sanzione inflitta (ossia la proporzionalità della sanzione). Va da sé che quanto verrà qui detto si basa su supposizioni non avendo a disposizione, ovviamente, il fascicolo riguardante il procedimento disciplinare in questione.
Per quanto riguarda i fatti contestati, affinché questi assumano una rilevanza disciplinare è necessario che gli stessi contrastino una qualche norma legislativa o contrattuale. Nel caso in questione, non essendo ancora conclusa la sequenza contrattuale riguardante la responsabilità disciplinare dei docenti (problema che si trascina da decenni), occorre fare riferimento al Testo unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione (D.Lgs 16/04/1994 n. 297, artt. da 492 a 501) e al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici (DPR 16/04/2013 n. 62). Rispetto a quanto contestato a Raimo il riferimento all’art. 495 del D.Lgs 297/1994 appare non del tutto appropriato, anche se si riferisce a sanzioni che comportano la sospensione dall’insegnamento da oltre un mese a sei mesi “a) nei casi previsti dall’articolo 494 qualora le infrazioni abbiano carattere di particolare gravità; b) per uso dell’impiego ai fini di interesse personale; c) per atti in violazione dei propri doveri che pregiudichino il regolare funzionamento della scuola e per concorso negli stessi atti; d) per abuso di autorità”. Più calzante appare invece il riferimento al Codice di comportamento (DPR 62/2013) che all’art. 12, comma 2, prevede: “Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, il dipendente si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione”.
Dalle parole espresse dal DG dell’USR Lazio sembra proprio questa la fattispecie considerata. Il problema principale da valutare è se le espressioni di Raimo siano da considerare offensive nei confronti della persona fisica del ministro, o se rientrino in un più generale diritto di critica verso il politico Valditara, sebbene tale critica sia espressa in modo estremizzato. Non è un caso che qualche sindacato ha annunciato che proporrà la questione di costituzionalità del Codice di comportamento davanti alla Corte Costituzionale per violazione dell’art. 21 cost. Va da sé che se Raimo avesse offeso la persona del ministro, quest’ultimo avrebbe potuto legittimamente sporgere querela per diffamazione nei confronti del professore (art. 595 cp) e questo anche in considerazione del fatto che le espressioni oggetto di sanzione sono state pronunciate al di fuori del contesto scolastico e dunque in un frangente in cui Raimo non era in servizio; alla stessa stregua per cui il ministro Valditara ha manifestato a Palermo per Salvini come “cittadino libero” (criticando l’operato dei pm impegnati nel processo) e non come ministro (parole sue). Se ad un docente è interdetto manifestare la propria opinione da “cittadino libero”, mentre ciò è concesso a un ministro, ci troveremmo di fronte a una palese violazione dell’art. 3 cost. È sempre fatta salva, ovviamente, la facoltà del ministro di salvaguardare la propria immagine con un’azione giudiziaria. Sarà compito del giudice del lavoro dirimere la questione nell’ipotesi, molto probabile, che Raimo impugni la sanzione subita.
In altre parole, al prof Raimo – da quel che è dato capire – non viene contestata la violazione di norme contrattuali, o l’impreparazione sul piano professionale (ossia la conoscenza della materia insegnata), o l’incapacità didattica nella gestione della stessa materia (ossia l’inettitudine nella progettazione didattica), o l’inadeguatezza nella gestione della classe, o un comportamento non consono tenuto in classe con gli studenti o all’interno della scuola, o la violazione dei doveri d’ufficio. Al docente si contesta di aver espresso idee (molto forti, invero) nei confronti del massimo responsabile politico del Ministero (ossi il ministro Valditara), in un contesto squisitamente politico (la festa di un partito politico). Dati questi presupposti, aveva titolo l’USR del Lazio a intraprendere un’azione disciplinare nei confronti del docente, o – molto più correttamente sul piano procedurale – il responsabile politico del dicastero (ministro) avrebbe dovuto e potuto difendere la propria onorabilità, presumibilmente offesa dalle parole del docente, davanti al giudice? La risposta a questa domanda segna il discrimine tra una legittima azione amministrativa e la repressione del diritto di espressione garantito dalla nostra Costituzione. Se questo dovesse diventare l’orientamento politico generale ci sarebbe una evidente coartazione di diritti costituzionalmente garantiti. Ma allora i primi ad essere perseguiti dovrebbero essere i nostri rappresentanti politici che in sedi istituzionali e non sempre più spesso si esprimono in modo non molto difforme da quanto contestato a Raimo.
L’altro aspetto riguarda la congruità della sanzione comminata, ossia il rapporto che deve esserci tra la gravità della sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato. Infatti, pur essendoci un’ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione in merito alla soluzione sanzionatoria prescelta e alla sua tassonomia, “non può dubitarsi che il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità dell’illecito sia applicabile anche alla generalità delle sanzioni amministrative” (Corte Costituzionale 112/2019). La stessa Corte in una sentenza più recente (.95/2023) ha argomentato ancor più analiticamente la questione affermando quanto segue: “La recente giurisprudenza di questa Corte ha affermato che il principio della proporzionalità delle sanzioni rispetto alla gravità dell’illecito si applica anche al di fuori dei confini della responsabilità penale, e in particolare alla materia delle sanzioni amministrative a carattere punitivo, rispetto alle quali esso trova il proprio fondamento nell’art. 3 Cost., in combinato disposto con le norme costituzionali che tutelano i diritti di volta in volta incisi dalla sanzione (sentenza n. 112 del 2019). Tali sanzioni «condividono, infatti, con le pene il carattere reattivo rispetto a un illecito, per la cui commissione l’ordinamento dispone che l’autore subisca una sofferenza in termini di restrizione di un diritto (diverso dalla libertà personale, la cui compressione in chiave sanzionatoria è riservata alla pena); restrizione che trova, dunque, la sua “causa giuridica” proprio nell’illecito che ne costituisce il presupposto. Allo stesso modo che per le pene – pur a fronte dell’ampia discrezionalità che al legislatore compete nell’individuazione degli illeciti e nella scelta del relativo trattamento punitivo – anche per le sanzioni amministrative si prospetta, dunque, l’esigenza che non venga manifestamente meno un rapporto di congruità tra la sanzione e la gravità dell’illecito sanzionato; evenienza nella quale la compressione del diritto diverrebbe irragionevole e non giustificata».
Dall’analisi delle vicenda appare evidente che il principio di proporzionalità non sembra essere stato rispettato dall’Amministrazione (nella presunzione che il procedimento disciplinare abbia una sua legittimità). Anzi, dalle notizie riportate dalla stampa sembra emergere in modo inequivocabile la volontà dell’Amministrazione di “punire” il prof Raimo, usando la sanzione disciplinare quasi come una sorta di “vendetta” per le espressioni di critica avanzate nei confronti del ministro. E in effetti la sospensione dall’insegnamento del docente per tre mesi (ossia una sanzione fortemente punitiva) appare inficiata da aspetti reattivi di tipo ideologico o psicologico più che giuridico (quasi una sorta di “te la facciamo pagare”). Ora è pacifico che l’azione disciplinare deve essere sgombra da ogni condizionamento psicologico o ideologico e mirare a verificare, in modo cristallino e probante, se la condotta dell’interessato ha violato e in che misura norme contrattuali o di legge. Altrimenti si sconfina nell’arbitrio e nella violazione del principio di uguaglianza.
Ovviamente questa è solo una ipotesi interpretativa, avvalorata però dalle prese di posizione del DG dell’USR Lazio che ha sentito il bisogno di giustificare in qualche modo le decisioni assunte dall’Amministrazione. Ma l’Amministrazione, soprattutto in campo disciplinare, dovrebbe parlare attraverso gli atti che emette, atti che – in quanto probanti – non dovrebbero abbisognare di ulteriori giustificazioni.
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