D. Maraini, Diario degli anni difficili

Dacia Maraini, di nuovo tra noi

 di Antonio Stanca

   Ancora presente, ancora attiva, ancora convinta, ancora polemica, ha pubblicato ancora: l’opera, uscita di recente allegata al Corriere della Sera, s’intitola Diario degli anni difficili (Con le donne ieri, oggi e domani), lei si chiama Dacia Maraini. Ha ottantotto anni e da quando ne aveva poco più di venti ha cominciato a scrivere. Ha scritto di narrativa, di poesia, di saggistica. Ha vinto il Premio Campiello nel 1990 con La lunga vita di Marianna Ucrìa e il Premio Strega nel 1999 con Buio. Molto tradotte sono le sue opere. Ha fatto pure giornalismo, è diventata editorialista del Corriere della Sera, ha lavorato per il teatro, il cinema, la televisione, ha organizzato laboratori di lettura, di scrittura, ha promosso centri di studio, luoghi di incontro finalizzati a sensibilizzare, istruire, formare quelle fasce della popolazione rimaste superate dai tempi, dagli eventi, lontane da quanto succedeva all’insegna dello sviluppo, del progresso, da quanto cambiava nella vita, nella società, nella storia. Una funzione didattica, pedagogica si è ascritta la Maraini, non solo artistiche sono state le sue finalità ma anche umane, sociali, non si è proposta soltanto di raggiungere, nelle opere, risultati che trascendessero la realtà ma ha voluto rimanere, impegnarsi anche in questa, apportarvi, aggiungervi ha voluto quel che mancava poiché utile, necessario lo considerava per un miglioramento del livello culturale che costituisce l’opinione pubblica. Non ha mai smesso di farsi vedere in pubblico, di operare. Una figura familiare è diventata. Alle sue intenzioni di diffondere le nuove conoscenze, di educare al loro uso ubbidisce pure quest’ultima opera dove ha raccolto molti dei suoi interventi comparsi ultimamente sul Corriere della Sera riguardo a quello che può essere considerato uno dei motivi ricorrenti nella sua produzione, nella sua attività: il riscatto, la rivalutazione, l’emancipazione della figura femminile tanto a lungo tenuta in uno stato di dipendenza, di sudditanza rispetto a quella maschile. Ovunque nella Maraini, si tratti dei suoi romanzi, dei suoi racconti, delle sue poesie, dei suoi giornali, del suo teatro, dei suoi interventi pubblici, dei suoi discorsi, è possibile intravedere questa che si può dire la sua aspirazione maggiore: richiamare l’attenzione su quanto è mancato nella vita, nella storia delle donne, su quanto hanno sofferto perché escluse da quel che avrebbero voluto, potuto, capire che c’è ancora molto da fare. A riprova che il problema la muove in continuazione, che non si è liberata, giunge ora Diario degli anni difficili dove ha raccolto tanti dei suoi scritti, ha detto di tante sue esperienze ad esso collegate. Sono interventi, articoli comparsi, s’è detto, sul Corriere della Sera negli anni da poco trascorsi e in quest’ultimo. La donna, della quale si parla, è quella passata, quella presente e quella futura, i luoghi sono i più vicini e i più lontani, gli ambienti tra i più emancipati e i più arretrati: niente manca in questa che può essere definita un’immensa antologia di quanto c’è stato di femminile nella storia di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutti i popoli. È una totalità che permette di cogliere cosa è cambiato, cosa ancora non c’è in un percorso così lungo, è un’opera che, pur ripetendosi spesso nei suoi argomenti, non finisce mai di interessare, di coinvolgere. Tra l’altro sono tante le conoscenze che rende possibili e che poco note erano rimaste finora. Quello, però, che risalta a lettura finita è l’atteggiamento mantenuto dalla Maraini nell’intero corso dell’opera, in ognuna delle infinite parti che la compongono. Un atteggiamento di polemica, di accusa nei riguardi delle istituzioni, dei costumi, delle convenzioni, giacché ancora senza soluzione, dice, sono rimasti certi problemi propri della vita femminile, ancora ci si deve impegnare per colmare quei vuoti.

     Intanto va detto che molte sono state le conquiste ottenute dalla donna nei tempi moderni, specie in Occidente. Ha avuto accesso agli studi, a titoli, professioni di ogni genere, ad incarichi di prestigio, ha assunto poteri ad ogni livello. Ha mostrato capacità insospettate, ha ricevuto riconoscimenti in ogni campo. È diventata protagonista in ambiti come quello dello spettacolo, fosse televisivo, cinematografico, teatrale, si è liberata da quanto per secoli le era gravato addosso, ha raggiunto una condizione di autonomia, di indipendenza da quei vincoli familiari e sociali che l’avevano relegata in una posizione secondaria, le avevano fatto credere che dovesse essere la sua per sempre. Si è ammodernata, rinnovata, ha visto riconosciuti i suoi diritti civili, sono state approvate delle leggi a suo favore, insieme ad una casa, ad una famiglia è arrivata ad avere un lavoro, una vita, una volontà, un’aspirazione sua propria. Ma così, osserva la Maraini, sono ricominciati i problemi. Quella liberazione, quell’affermazione che per lei erano conquiste non altrettanto erano per l’uomo che si è visto privato di un ruolo, di un prestigio soltanto suoi. Non ha accettato quanto stava accadendo, si è mostrato contrario, ha nutrito rivalità, odio, è giunto a scontrarsi con quella donna, moglie, madre, figlia, amica che fosse, a causa della libertà, dell’autonomia che esigeva. Da qui la violenza nei suoi riguardi, quella violenza che è diventata femmicidio, che ne ha fatto un fenomeno diffuso soprattutto nel nostro paese, da qui la condanna a morte, la lapidazione di tante donne accusate di adulterio nei paesi dell’Est, da qui l’indifferenza generale con la quale reagiscono di fronte a tanta ferocia, a tanti crimini quegli Organismi Internazionali preposti alla tutela dei diritti umani più elementari, alla salvaguardia della vita. Come nell’antichità la donna è tornata a subire, ad essere la vittima di una mentalità che non si è ancora estinta, di una violenza che si va sempre più diffondendo nei suoi riguardi e che tende ad andare oltre. Primitivo, barbaro, selvaggio sembra diventato quel mondo moderno che tanto carico di promesse, di conquiste si era presentato. Diffusi sono ormai nell’opinione pubblica il rimpianto, la nostalgia per i vecchi tempi, i vecchi modi, la vecchia vita tanto insicura, tanto incerta, tanto allarmante è diventata la nuova. È successo perché, dice più volte la Maraini nel libro, non si è capito molto delle nuove situazioni, non è stata diffusa una cultura che le facesse conoscere, accettare con naturalezza, che correggesse il modo di pensare, di fare durato finora. Non si può pensare che ci si adatti ad un altro stato delle cose solo perché una legge lo stabilisce, serve essere informati, istruiti, educati ad esso, serve mostrare superato quello precedente e tutto questo è mancato a proposito della donna e di quanto, emancipazione, lavoro, convivenza, separazione, divorzio, aborto, i tempi moderni le hanno riservato. Molti sono ancora i problemi, gravi le conseguenze e ancor più grave è pensare che continueranno se non ci s’impegna in un’operazione culturale rivolta a convincere, convertire le parti in causa. Per diventare più moderni, più civili, serve prepararsi, disporsi!

    Ancora una volta c’è la Maraini che invita all’apprendimento tramite l’istruzione, l’insegnamento, tramite quegli impegni che sono stati suoi e dei quali ha constatato la validità in ambito individuale e sociale.

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