Connessi ma soli, il paradosso digitale. Daniela Lucangeli: “La connessione artificiale non può sostituire il bisogno primario di relazione”
Viviamo nell’era dell’iperconnessione, dove la tecnologia ci permette di comunicare con chiunque, in qualsiasi momento. Eppure, mai come oggi l’essere umano si sente solo.
Questo paradosso, evidenziato anche da recenti ricerche scientifiche, viene affrontato da Daniela Lucangeli, esperta di psicologia dell’apprendimento. “Non siamo mai stati così connessi tecnologicamente, ma neanche mai così soli”, osserva Lucangeli. La scienza, attraverso lo studio del “mirror”, il processo di rispecchiamento cerebrale, ci dimostra che siamo esseri sociali, profondamente influenzati dalle relazioni con gli altri.
Lucangeli sottolinea come, per millenni, l’essere umano sia stato connesso al sistema vivente, alla natura, alle relazioni interpersonali dirette. Oggi, invece, gli occhi dei bambini sono spesso rivolti agli schermi, ai “digital babysitter“, che sostituiscono il contatto umano. “Questa connessione artificiale non può sostituire il bisogno primario di relazione“, avverte Lucangeli. L’eccessiva esposizione alla luce artificiale degli schermi, analogamente a quanto avviene con la luce del neon, può “sprogrammare” il nostro sistema, creando disagio e accentuando il senso di solitudine.
La vera connessione, quella di cui abbiamo bisogno per la nostra salute psicologica ed emotiva, è quella umana, fatta di sguardi, contatto fisico e condivisione di esperienze reali.
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