Libri di matematica perduti e alcuni ritrovati

La matematica dei libri di Archimede in lingua greca: le continue scomparse e i ritrovamenti. La storia di una lettera che inizia: Archimede ad Eratostene, salute. Siracusa, 225 a.C.. La lettera di Archimede è sulla nave diretta ad Alessandria.

Il destinatario è Eratostene, il matematico e astronomo misuratore del raggio terrestre che a Alessandria, la città fondata da Alessandro Magno il 7 aprile del 331 a. C., è il direttore del Museo. La lettera contiene il Metodo sui teoremi meccanici, cioè la radice del calcolo infinitesimale, ed è scritta in dialetto dorico su fogli di papiro arrotolati. «Confido – scrive Archimede – che alcuni dei matematici attuali o dei futuri, …..

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Archimede, il matematico che scoprì il Pi greco

Il Pi greco day si festeggia ogni anno, dal 1988, il 14 marzo (3.14, secondo il modo di scrivere le date degli anglosassoni: prima il mese e poi il giorno). Dal 2019 il Pi greco day è diventato anche la Giornata Internazionale della Matematica, in occasione anche dell’anniversario della nascita di Albert Einstein. Ma chi era Archimede da Siracusa, il geniale matematico che scoprì il Pi greco, il numero più importante della scienza? La sua vita è avvolta nel mistero, ma vediamo di illuminarla facendoci luce attraverso le sue formidabili scoperte.

Invenzioni che gli costarono la vita. È il 212 a.C. e Siracusa, una delle più ricche polis del Mediterraneo, è messa a ferro e fuoco dai Romani comandati dal console Marco Claudio Marcello. Gli ordini sono chiari: Marcello vuole avere a tutti i costi l’uomo più illustre della città, quel geniale Archimede che tanto lo ha fatto penare usandogli contro diaboliche macchine da guerra. E lo vuole vivo.
A trovare l’anziano matematico è un soldato, che gli intima di seguirlo. Secondo la leggenda, lo studioso è chino a riflettere sulle figure geometriche che ha tracciato sulla sabbia: “Noli, obsecro, istum disturbare”, dice (“non rovinare, ti prego, questo disegno”). Il soldato, invece, perde la pazienza e, contravvenendo agli ordini ricevuti, lo trafigge con la spada. Finisce così, tragicamente, la vita di Archimede di Siracusa, il più grande e “moderno” matematico dell’antichità, i cui studi sulle spirali, sugli specchi ustori e sulle leve – per fare solo qualche esempio – sono ancora oggi fonte di ispirazione per gli scienziati e gli ingegneri di tutto il mondo.

Figlio d’arte. Se le opere del genio di Siracusa sono immortali, le vicende della sua vita sono invece quasi del tutto avvolte nel mistero, tanto che l’episodio su cui si hanno più notizie è proprio la morte. Su di essa, però, gli storici continuano a indagare: secondo una tesi recente, non fu causata dall’eccessivo zelo di un soldato, ma il frutto di un calcolo politico. E per capirne il motivo, occorre ripercorrere dal principio la vita del genio di Siracusa.
Come racconta egli stesso nel suo libro Arenario, in base alla ricostruzione del filologo tedesco Friedrich Blass, Archimede era figlio d’arte: nacque nel 287 a.C. a Siracusa da un astronomo di nome Fidia. Visse quindi nel secolo di maggiore splendore dell’ellenismo, l’epoca iniziata nel 323 a.C. con la morte di Alessandro Magno e terminata con la Battaglia di Azio del 31 a.C., quando Ottaviano Augusto sconfisse Antonio e Cleopatra inglobando l’Egitto, l’ultimo Stato erede del grande impero di lingua greca creato dal condottiero macedone.
Siracusa, fondata nel 734 a.C. da coloni di Corinto, era allora una monarchia: al tempo di Archimede era governata da Gerone II, salito al trono nel 270 a.C., prima da solo e poi, dal 240, in compagnia del figlio Gelone II. «Della vita dello scienziato che Plutarco ci dice parente e consigliere dei suoi sovrani, abbiamo pochissime notizie certe», spiega Lorenzo Braccesi, clase 1941, esperto in storia greca. «Da Diodoro Siculo (uno storico del I secolo a.C.) apprendiamo che si trasferì ad Alessandria d’Egitto intorno al 243 e che tornò a Siracusa nel 240, quando Gerone non aveva più l’esclusiva del potere». 

archimede In trasferta. Fu proprio in Egitto che Archimede fu proiettato alla ribalta della scena intellettuale del Mediterraneo, direttamente dal privilegiato palcoscenico del Museion (l’importante centro di ricerca scientifica di Alessandria) e della Biblioteca fondata nel III secolo a.C. «Verosimilmente lo scienziato andò ad Alessandria per motivi di studio», dice Braccesi. «Ma forse vi si era trasferito in seguito a un raffreddamento dei rapporti con Gerone, descritto dalle fonti come un despota».
Di certo il viaggio fu proficuo. Tutte le opere che gli sono attribuite – dagli studi su cerchio, spirali e parabole, a quelle sulle sfere e sui poliedri – Archimede le produsse, infatti, al suo rientro in patria. Qui visse gli ultimi 30 anni della sua vita, mantenendosi in contatto con gli amici conosciuti in Egitto, come il geografo Eratostene di Cirene e gli allievi del matematico Conone di Samo, la cui morte prematura Archimede rimpianse in diversi scritti.

Il principio del sollevamento della vite in un’illustrazione del 1875.
© Morphart Creation / Shutterstock

Vite miracolosa! Siracusa, anche se non poteva rivaleggiare con Alessandria, l’unico luogo dove Archimede potesse trovare interlocutori alla sua altezza, era una delle città più ricche, colte e popolose del Mediterraneo, al pari di Atene e Cartagine. Quando Gelone II affiancò Gerone II al potere, la polis siciliana conobbe una prosperità eccezionale, destinata a durare ininterrottamente fino al 212 a.C. E il fiore all’occhiello della sua raffinata corte fu proprio Archimede, che si prodigò per la gloria dei due tiranni e per il bene della comunità.
Secondo Ateneo, scrittore greco vissuto tra II e III secolo d.C., il suo primo geniale contributo fu l’ideazione di una vite per pompare l’acqua necessaria all’irrigazione dei campi, spostandola dal basso verso l’alto: Archimede la realizzò perfezionando un meccanismo che aveva visto in Egitto. L’invenzione affascinò, tra gli altri, anche Galileo Galilei, che la definì “miracolosa” nel suo libro Le mecaniche (1599). E trova ancora oggi applicazioni nella tecnologia moderna. 

Sollevare la supernave. Altro fiore all’occhiello della produzione scientifica di Archimede è il principio della leva, alla base del funzionamento degli apriscatole e dei piedi di porco. Schematicamente, una leva è composta da un “fulcro” (il  punto d’appoggio) che la divide in due “bracci”. E il principio afferma che, quanto più lungo è il braccio della leva su cui si esercita una forza, tanta più  forza si riesce a esercitare sull’altro. Archimede dimostrò pubblicamente il principio con una stupefacente esibizione: attraverso una leva composta, riuscì tra gli applausi a innalzare una nave carica con la sola forza delle sue braccia.
Stando al racconto di Ateneo, si sarebbe trattato della Siracusia, una delle imbarcazioni più imponenti dell’antichità (era lunga 55 metri) costruita, per volere di Gerone, da Archia di Corinto con la supervisione dello stesso Archimede. Una parte importante dell’attività dello scienziato fu comunque dedicata al diletto dei regnanti. L’esempio più spettacolare fu un planetarium, una sfera celeste che riproduceva i movimenti di Sole, Luna e pianeti con tanta esattezza da mostrare perfino le eclissi. Un altro esempio è l’aneddoto della corona d’oro, in seguito al quale lo scienziato arrivò a formulare il celebre principio passato alla Storia con il suo nome.

Amico del tiranno. Non si sa molto, in realtà, dei rapporti tra Archimede e Gerone II, ma l’amicizia che lo legò a Gelone II appare indiscutibile. Lo testimonia il fatto che proprio a lui Archimede dedicò l’Arenario, un’opera sullo studio dei grandi numeri e in particolare sul calcolo della quantità di granelli di sabbia necessari a riempire l’Universo (che secondo le conoscenze dell’epoca era la sfera delle stelle fisse).
«La mancata citazione di Gerone in quest’opera non può che essere  voluta», argomenta Braccesi, «e denuncia una precisa scelta di campo tra due sovrani che non coltivavano gli stessi orientamenti politici: mentre Gerone era un fautore dell’alleanza con Roma, Gelone era infatti palesemente filo-punico». La sua politica matrimoniale, in effetti, sembra un manifesto di orgoglio ellenistico: nel 232 sposò Nereide, principessa figlia di Pirro, acerrimo nemico di Roma e discendente di Olimpiade, la madre di Alessandro Magno. Archimede, quindi, era più vicino alle posizioni di Gelone, schierato contro Roma, che a quelle di Gerone. 

Già allora, infatti, doveva essere evidente la minaccia rappresentata dai “barbari” Romani, che attesero il 218 per sfidare di nuovo i Cartaginesi, uomini di stirpe fenicia ma di riconosciuta cultura greca. Nel bel mezzo della Seconda guerra punica fu il quindicenne Geronimo, morto il padre Gelone nel 216 e succeduto al nonno Gerone nel 215, a infrangere i legami con Roma, per scegliere l’alleanza con Annibale e provocare, nel 212, di conseguenza, l’intervento del console Marcello.
Macchine di guerra. Plutarco, la cui Vita di Marcello rappresenta la nostra fonte principale, sostiene che, durante l’assedio, alla forza bruta di Roma la raffinata Siracusa non poté che opporre il genio di un vecchio. Archimede si dedicò infatti alla realizzazione di macchine belliche, tra cui la manus ferrea, un artiglio meccanico in grado di ribaltare le imbarcazioni nemiche, e gli specchi ustori, lamiere metalliche concave che riflettevano la luce solare concentrandola sui nemici. Galeno, il celebre medico del III secolo d.C., racconta che lo scienziato riuscì con questo sistema a incendiare numerose triremi romane.
Ma la supremazia di Roma era schiacciante. Plutarco narra che dopo la caduta della città, Archimede sarebbe morto da incosciente, supplicando un ignorante soldato di non rovinare il suo disegno senza rendersi conto che così facendo lo avrebbe esasperato, condannandosi a morte. Ma le cose andarono davvero così? Secondo Braccesi, la realtà è un’altra: «Nell’ora della resa dei conti tra Roma e Cartagine fu lo stesso Archimede a consigliare al giovane e inesperto Geronimo, di cui era stato maestro, di ribaltare le alleanze, schierandosi con Annibale. Marcello, che non poteva ignorarlo, ne ordinò così la morte, affidandosi al sicario di turno».

La morte di Archimede in un’illustrazione ottocentesca.
© Morphart Creatyion / Shutterstock

Scienziato dimenticato. All’eliminazione fisica, seguì la rimozione dalla memoria: meno di un secolo e mezzo bastò ai siracusani per dimenticarsi di Archimede, la cui tomba finì abbandonata fuori della città. A identificarla, nel 75 a.C., fu Cicerone, seguendo le indicazioni contenute in un documento dove si diceva che sulla sua sommità era scolpita una sfera, inscritta in un cilindro. Il celebre oratore nato ad Arpino, nel Frusinate, non riuscì a trattenere il disappunto: “Così la nobilissima cittadinanza della Grecia, una volta veramente molto dotta, avrebbe ignorato il monumento del suo unico cittadino acutissimo, se non lo fosse venuto a sapere da un uomo di Arpino”. Cioè da un discendente dei rozzi Romani.   
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Tratto da “Ingegno e politica” di Federico Gurgone, pubblicato su Focus Storia Collection Grecia e Roma: i protagonisti, disponibile solo in formato digitale. Leggi anche il nuovo numero di Focus Storia ora in edicola.

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