Cos’è l’orbiting, la nuova frontiera del bullismo a sfondo sessuale
Continua la lettura su: https://www.agi.it/cronaca/news/2022-09-19/orbiting-bullismo-nuova-forma-sfondo-sessuale-18129113/ Autore del post: AGI Notizie Fonte: https://www.agi.it
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In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo, la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris,
Psicoterapeuta e Clinical Director del servizio di psicologia online Unobravo, spiega come l’educazione all’empatia
possa contribuire a prevenire e a contrastare efficacemente il fenomeno del bullismo.
Il 7 febbraio si celebra la Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo. Istituita nel 2017 su iniziativa
del MIUR, questa data rappresenta un’occasione importante per riflettere su un fenomeno molto diffuso e
difficile da estirpare.
Nel mondo, sono oltre 246 milioni i bambini e gli adolescenti che subiscono ogni anno qualche forma di violenza
a scuola o episodi di bullismo.
Secondo le Nazioni Unite, 1 studente su 3, tra i 13 e i 15 anni, ne è stato vittima almeno una volta nella vita.
Anche l’ISTAT ha svolto delle indagini su questi fenomeni rilevando che, nella fascia d’età compresa tra gli 11 e i
17 anni, quasi 1 adolescente italiano su 5 (19,8%) abbia subìto atti di bullismo una o più volte al mese. Un dato,
questo, in linea con quanto registrato da ELISA, il progetto di prevenzione al bullismo e al cyberbullismo
promosso dal Ministero dell’Istruzione, in collaborazione con l’Università di Firenze. Dagli studi condotti dalla
piattaforma ELISA durante l’a.s. 2020-2021 è emerso che il 22,3% degli studenti delle scuole superiori sia stato
vittima di bullismo in classe e l’8,4% di cyberbullismo. Si attesta, invece, sul 18,2% la percentuale di coloro che
hanno assunto comportamenti di bullismo e violenza nei confronti dei compagni e sul 7% quella di coloro che
hanno perpetrato azioni di cyberbullismo.
Ancora più allarmanti risultano essere i dati diffusi ad inizio febbraio dal MOIGE, il Movimento Italiano Genitori, secondo cui più della metà (54%) dei minori in Italia ha subito prepotenze nella vita reale e quasi 1 su 3 (31%) è stato vittima di cyberbullismo.
Bullismo e cyberbullismo: cosa sono?
Cosa si intende per bullismo? Il termine bullismo fa riferimento a tutti quei comportamenti di prevaricazione e sopraffazione posti in essere da uno o più soggetti, i “bulli”, nei confronti di una “vittima”, individuata come bersaglio di violenze verbali, fisiche o psicologiche. Si verifica, generalmente, tra i più giovani e viene perpetrato da bambini e adolescenti nei confronti di coetanei.
Il cyberbullismo presenta le stesse caratteristiche del bullismo “tradizionale”, con la particolarità che questo si manifesta, però, attraverso la rete internet, in diverse forme e con conseguenze potenzialmente anche più gravi del bullismo offline.
I primi studi sul tema sono stati condotti nel 1978 in Norvegia. Nove anni dopo, nel 1987, il termine bullismo ha iniziato ad essere utilizzato all’interno delle riviste scientifiche. Dal 1982, il bullismo è oggetto della ricerca internazionale Health Behaviour in School-aged Children (HBSC) a cui partecipa dal 2001 anche l’Italia.
Lotta al bullismo e al cyberbullismo.
In Italia, il contrasto al bullismo e al cyberbullismo è regolamentato dalla Legge n.71 del 29 maggio 2017. Nonostante questo decreto rappresenti la prima normativa espressa in materia di cyberbullismo in tutto l’ambito europeo e un notevole passo in avanti, il fenomeno, come ci ricorda tristemente la cronaca, è ancora molto lontano dall’essere arginato. Basti pensare a casi come quello di Alessandro, il tredicenne di Gragnano, Napoli, che si è tolto la vita lo scorso settembre dopo aver subito pesanti vessazioni e angherie dai bulli o a quello, ancor più recente, di Lucas, l’adolescente francese morto suicida a gennaio, dopo essere stato a lungo vittima di bullismo omofobo a scuola. Oltre a questi episodi che, a causa del loro tragico epilogo, sono arrivati all’attenzione dei media, ci sono moltissime storie di bullismo o cyberbullismo sommerse, a cui nessuno dà voce.
Come affrontare e prevenire il bullismo, in ogni sua forma.
Come contrastare in modo efficace questo fenomeno? “Il bullismo può essere affrontato con azioni sinergiche in grado di avere un impatto sul fenomeno quando si verifica, ma anche di prevenirlo. Molto importante è anche la capacità di ascolto di genitori e docenti. Famiglie e insegnanti dovrebbero dimostrarsi ricettivi e non sottovalutare mai i segnali e le manifestazioni di disagio inviati da bambini e ragazzi, come il rifiuto di andare a scuola, il calo del rendimento, la tendenza all’isolamento o i disturbi psicosomatici. Se non identificato e arginato per tempo, il bullismo può avere conseguenze sull’individuo, anche molto serie e con possibili ripercussioni anche durante l’età adulta. Può portare alla manifestazione di ansia, insicurezza e bassa autostima e, nei casi più gravi, anche all’insorgere di disturbi da stress post traumatico, depressione e autolesionismo. Negli adolescenti, poi, una conseguenza può essere lo sviluppo della sindrome dell’Hikikomori, l’isolamento volontario dalle dinamiche sociali che causano disagio”, ha commentato la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris.
Oltre all’intervento, le attività di sensibilizzazione e prevenzione sono fondamentali, per ostacolare il fenomeno a monte e arginarlo ancora prima che si verifichi. “Nonostante il bullismo sia ormai un termine ampiamente noto e l’attenzione sul tema sia molto alta, soprattutto negli ultimi anni, uno degli aspetti ancora troppo scarsamente considerati risulta essere proprio la prevenzione. Sia a casa che a scuola, è imprescindibile che venga fatto un profondo lavoro di sensibilizzazione, incoraggiando il dialogo, promuovendo la conoscenza e le relazioni tra i ragazzi, insegnando l’apertura e il rispetto verso la diversità, favorendo l’autostima e lo sviluppo dell’empatia”, ha aggiunto la Dott.ssa Fiorenza Perris.
Educazione all’empatia: un’efficace risorsa di prevenzione.
Numerosi studi sulla correlazione tra empatia e bullismo hanno riscontrato come la capacità di provare empatia possa contribuire all’organizzazione delle condotte sociali e a modulare le caratteristiche delle relazioni interpersonali. L’empatia e la sensibilità verso il prossimo porterebbero, infatti, gli individui a moderare i comportamenti aggressivi e violenti e ad andare in soccorso dell’altro in caso di difficoltà.
È possibile imparare l’empatia? “La risposta è sì. Ciascun individuo, durante il proprio processo di crescita, si sviluppa lungo un continuum, verso forme di empatia sempre più evolute. Sebbene l’empatia sia una capacità innata, verso cui siamo tutti predisposti fin dalla nascita, il suo sviluppo è profondamente influenzato dal nostro vissuto e dall’ambiente che ci circonda. Per questo è fondamentale promuovere un ambiente empatico ed educare con l’esempio i giovani all’empatia, a casa come a scuola. L’educazione emotiva, da cui non può certo prescindere l’empatia, è la base per uno sviluppo sano dell’individuo e delle sue capacità relazionali e un efficace antidoto a qualsiasi forma di violenza e bullismo”, ha dichiarato la Dott.ssa Valeria Fiorenza Perris, Psicoterapeuta e Clinical Director di Unobravo.
Terapia psicologica e bullismo.
Gli adulti di riferimento rivestono un ruolo chiave nella lotta al bullismo. Oltre a promuovere un ambiente non violento e inclusivo, genitori e insegnanti devono stare all’erta e intervenire prontamente in caso di situazioni di difficoltà. In quest’ottica, può essere proficuo richiedere il supporto di un esperto, con cui intraprendere un percorso di terapia psicologica. La psicoterapia può rivolgersi ad entrambi, sia alla vittima che al bullo. Attraverso un percorso mirato, lo psicologo andrà ad affiancare il ragazzo per aiutarlo a comprendere le cause degli atti di bullismo ed affrontarne le conseguenze. Ricevere supporto psicologico può risultare molto utile anche per quei genitori che vorrebbero aiutare il proprio figlio o che si chiedono come agire in caso di bullismo a scuola.
Annunciato in estate, rimandato da settembre a inizio novembre. Infine sovrastato dalle polemiche: il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, vuole portare un piano di educazione sentimentale nelle scuole. Secondo quanto emerso finora, riguarderà le scuole superiori e si concentrerà per un’ora a settimana extra curricolare “sull’Educazione alle relazioni”. Volontaria, circa tre mesi all’anno, per un totale di dodici incontri con docenti, esperti e pure influencer e cantanti. Immediate le critiche dell’opposizione: “Non basta” ha commentato il M5s, che ha depositato una proposta di legge sull’introduzione dell’educazione affettiva e sessuale a scuola. “Serve una legge organica”. A fine ottobre il deputato leghista Rossano Sasso aveva però definito una “nefandezza” la mozione del M5s per inserire l’insegnamento alle elementari ed alle medie. “Finché ci sarà la Lega al Governo la propaganda di gender se la scordano” aveva detto.
In ritardo. Di annuncio in annuncio, di anticipazione in anticipazione, si arriva ad oggi. La struttura della proposta – la cui presentazione è attesa per mercoledì mattina – è affidata ad Alessandro Amadori, lo spin doctor e consulente del ministro che in un suo libro parla di guerra dei sessi, predominanza della donna sull’uomo e futura “ginarchia” al posto del patriarcato. Ma su Amadori sono piovute le polemiche di opposizioni e centri antiviolenza che lo accusano di diffondere contenuti misogini e sessisti.
La Buona Scuola. A ottobre Sasso aveva tra le altre cose ricordato l’esistenza di una circolare del governo Renzi, la n. 1972 del 2015, che, fornendo chiarimenti contro l’allarme sull’insegnamento dell’”ideologia gender”, faceva pure riferimento a un comma della riforma della Buona scuola in cui si raccomandava di “promuovere l’educazione alla relazione e contro la violenza e la discriminazione di genere nell’ambito dei programmi scolastici di ogni ordine e grado”. Problema: tempi, modalità e iniziative sono demandate alle singole scuole e quindi molto spesso trascurate. Proprio per ovviare a questo “inconvenente”, molti Paesi hanno stabilito per legge o comunque reso vincolante quella che l’Unesco definisce “Educazione sessuale ‘comprensiva’”. Come funziona? Uno dei report più completi per capirlo è quello realizzato dal Centro federale per l’educazione sanitaria (BZgA) con la la rete europea della International Planned Parenthood Federation (IPPF EN).
La Svezia è uno degli esempi più virtuosi. Qui la “Sexuality and Relationship education” è obbligatoria dal 1955. Viene insegnata sin dal primo grado di educazione e oltre ad affrontare i temi legati alla sessualità e alla declinazione “biologica” del rapporto, si concentra su tematiche come “amore”, “relazioni”, “relazioni a lungo termine”, “reciproco consenso e diritti umani”. Per i gradi superiori di insegnamento, i docenti sono obbligati ad avere una formazione sul tema. Vengono messi a disposizione linee guida e corsi di aggiornamento, nonché servizi di assistenza sanitaria collegati. La partecipazione delle associazioni e delle non profit è solo salutaria: la formazione èaffidata quasi totalmente al sistema scolastico. E infatti, secondo il report, il 50 per cento delle informazioni sulla sessualità e le relazioni ai giovani tra i 15 e i 24 anni arriva dalla scuola così come da internet.
In Austria, spiega il rapporto, l’educazione sessuale è integrata in diverse materie scolastiche ma soprattutto è obbligatoria per tutti gli studenti ed è diffusa in tutta la scuola primaria e secondaria, a partire dai 10 anni e fino alla fine della scuola secondaria. “Il programma di educazione sessuale è completo e utilizza un approccio didattico partecipativo. Temi come gli aspetti biologici, la gravidanza, la contraccezione, l’amore, il matrimonio, i ruoli di genere, l’HIV, la violenza sessuale e domestica sono trattati ampiamente nel curriculum degli studenti, la cui ideazione e stesura è responsabilità del Ministero dell’Istruzione. A Salisburgo è previsto un Centro federale per l’educazione sessuale di Salisburgo che lavora allo sviluppo dei materiali didattici.
Anche in Germania l’educazione sessuale è obbligatoria sin dalla scuola primaria, integrata in altre materie o in alcune zone trattata come materia a sé. Anche in questo caso i programmi non si limitano alla sola sfera biologica ma affrontano questioni relazionali, i ruoli di genere, il matrimonio e così via. I genitori sono informati sulla materia ma non possono esonerare i figli dalle lezioni. Più carente la formazione specifica dei docenti: il materiale formativo obbligatorio è fornito dal ministero, ma i docenti possono procurarsi integrazioni da un apposito sito web.
Ha invece approvato un “Positioning Paper” l’Albania, in cui si riconosce che l’educazione sessuale si basa sui diritti umani. Il programma di educazione sessuale intitolato “Competenze per la vita ed educazione sessuale” è composto da una serie di moduli inclusi nel contenuto di tre materie: biologia, educazione sanitaria ed educazione fisica. I programmi successivi, che coprono rispettivamente le fasce di età 10 – 12, 12 – 16 e 16 – 18 anni, sono obbligatori. Il numero totale di ore di insegnamento per tutti i gruppi è 140. Dal 2011 c’è poi un programma di training specifico per gli insegnanti che dura 110 ore. Ad oggi, quelli formati raggiungono circa il 20 per cento delle scuole. Esiste poi un gruppo di docenti esperti a livello centrale che elabora e diffonde le linee guida sul tema.
In Gran Bretagna, la legge sull’istruzione del 1996 stabilisce che l’educazione sessuale e relazionale sia obbligatoria nelle scuole pubbliche dall’età di 11 anni in poi. Dal 2019 è previsto sia obbligatoria anche nelle scuole private. Sono le scuole stesse ad assumersi la responsabilità di garantire che gli insegnanti siano adeguatamente preparati a impartire educazione sessuale e relazionale, così come hanno libertà di decidere programmi e contenuti mentre i materiali didattici sono spesso sviluppati da ONG ma anche da “organizzazioni religiose” spiega il rapporto. L’attenzione, però, pare si concentri prevalentemente sugli aspetti “fisici”.
In Estonia nel 1996, l’educazione sessuale è stata inclusa, per legge, come materia nel nuovo curricolo delle scuole primarie. Da allora il curricolo è stato adattato due volte, nel 2002 e nel 2011. Il Ministero dell’Istruzione e della Ricerca ne è ufficialmente responsabile, ma le autorità locali sono responsabili dell’erogazione dell’istruzione. Nella scuola primaria ( età 7 – 16) è una parte della materia dell’educazione personale, sociale e sanitaria. Durante l’intero programma, quasi tutte le questioni rilevanti riguardanti la sessualità e la salute vengono trattate in dettaglio ma c’è anche una forte enfasi sugli atteggiamenti e sullo sviluppo delle capacità comportamentali.
Anche in Finlandia l’educazione sessuale è obbligatoria, nella scuola primaria inserita negli “studi ambientali”, e successivamente nell’educazione sanitaria. Si va quindi dai 7 ai 17 anni. “Temi come gli aspetti biologici, la gravidanza e il parto, la contraccezione, le infezioni sessualmente trasmissibili e l’HIV, l’accesso all’aborto sicuro, i media online e la sessualità vengono trattati in modo approfondito” si legge nel report. Le scuole e gli insegnanti decidono poi in ultima analisi quanto tempo dedicare ai diversi argomenti. Molto all’avanguardia la formazione del personale docente. “Tutti gli insegnanti ricevono una formazione in educazione sessuale come parte del loro programma di formazione universitaria. Gli insegnanti di educazione sanitaria sono spesso specializzati in questa materia. La specializzazione prevede 33 crediti di studi universitari successivi alla laurea magistrale in Scienze Sanitarie”.
In Repubblica Ceca, infine, l’educazione sessuale è supportata dalla legge ed è obbligatoria sia nelle scuole primarie che secondarie. Le scuole hanno un “discreto grado di autonomia” nel decidere quali contenuti insegnare. Rientra nell’ambito educativo “L’uomo e il mondo” al primo grado della scuola primaria e nell’ambito dell’educazione sanitaria al secondo grado e nelle scuole secondarie. Non è però possibile specificare il numero di ore di insegnamento per le tematiche dell’educazione sessuale perché sono gli amministratori scolastici e gli insegnanti a decidere. I genitori, inoltre, possono discutere con la scuola sugli argomenti che preferiscono siano insegnati .
In Spagna nel 2022 è stata approvata ed è entrata in vigore la legge sulla libertà sessuale che prevede, tra le fitte attività di prevenzione, anche l’educazione sessuale, l’educazione sull’uguaglianza di genere e affettivo-sessuale che deve essere assicurata in tutti i cicli scolastici e obbligatoria in corsi universitari sanitari, dell’educazione e giuridici.
La Francia non è presente nel rapporto dell’istituto tedesco, ma dal 2001 la legge prevede che le scuole abbiano la responsabilità di educare i ragazzi all’uguaglianza di genere e alla sessualità con almeno tre lezioni annuali. Una legge che però non viene attuata fino in fondo al punto che quest’anno tre associazioni hanno deciso di citare il governo per la sua scorretta applicazione.
E arriviamo all’Italia che è invece agli ultimi posti: non solo non c’è una scheda dettagliata nel report tedesco, ma l’educazione sessuale non è obbligatoria, così come non lo è in Bulgaria, Cipro, Lituania, Polonia e Romania. Allargando lo sguardo a livello globale, l’Unesco ha rilevato che su 50 nazioni analizzate, solo il 20% ha una normativa sull’educazione sessuale e solo il 39% ha adottato iniziative specifiche al riguardo. E’ obbligatoria nella scuola primaria nel 68% e nel 76% della secondaria. Otto paesi su dieci forniscono anche formazione in Educazione alla sessualità agli insegnanti.
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