“Cuore” di Edmondo De Amicis (mese di luglio)
bello che ti rimanga come ricordo dell’ultimo giorno l’immagine
vita per la sua amica. Ora tu stai per separarti dai tuoi maestri e
notizia triste. La separazione non durerà soltanto tre mesi,
sua professione, deve andar via da Torino, e noi tutti con
Dovrai entrare in una scuola nuova. Questo ti rincresce, non
la tua vecchia scuola, dove per quattro anni; due volte al
lavorato, dove hai visto per tanto tempo, a quelle date ore, gli
stessi parenti, e tuo padre o tua madre che t’aspettavano
ti s’è aperto l’ingegno, dove hai trovato tanti buoni
inteso dire aveva per iscopo il tuo bene, e non hai provato un
Porta dunque quest’affetto con te, e dà un addio dal cuore a tutti
disgrazie, perderanno presto il padre e la madre; altri moriranno
nobilmente il loro sangue nelle battaglie, molti saranno bravi e
onesti
oneste come loro, e chi sa che non ce ne sia qualcuno pure, che
paese e farà il suo nome glorioso. Separati dunque da loro
dell’anima tua in quella grande famiglia, nella quale sei entrato
che tuo padre e tua madre amano tanto perché tu ci fosti tanto
mio: essa ti levò dalle mie braccia che parlavi appena, e ora
studioso: sia benedetta, e tu non dimenticarla mai più, figliuolo.
dimentichi. Ti farai uomo, girerai il mondo, vedrai delle città
immense e
scorderai anche di molti fra questi; ma quel modesto edifizio
quel piccolo giardino, dove sbocciò il primo fiore della tua
all’ultimo giorno della tua vita come io vedrò la casa in cui sentii
la tua
vie intorno alla scuola non si sente parlar d’altro, da ragazzi, da
governanti: esami, punti, tema, media, rimandato, promosso tutti
ci fu la composizione, questa mattina l’aritmetica. Era
conducevano i ragazzi alla scuola, dando gli ultimi consigli per
accompagnavano i figliuoli fin nei banchi, per guardare se c’era
la penna, e si voltavano ancora di sull’uscio a dire: – Coraggio!
maestro assistente era Coatti, quello con la barbaccia nera,
mai nessuno. C’erano dei ragazzi bianchi dalla paura. Quando
Municipio, e tirò fuori il problema, non si sentiva un respiro.
ora l’uno ora l’altro con certi occhi terribili; ma si capiva che se
soluzione, per farci promovere tutti, ci avrebbe avuto un grande
cominciavano a affannarsi perché il problema era difficile.
nel capo. E non ci hanno mica colpa molti, di non sapere,
molto tempo da studiare, e son stati trascurati dai parenti. Ma
Derossi che moto si dava per aiutarli, come s’ingegnava per
un’operazione, senza farsi scorgere, premuroso per tutti, che
Garrone, che è forte in aritmetica, aiutava chi poteva, e aiutò
imbrogli, era tutto gentile. Stardi stette per più d’un’ora
immobile,
alle tempie, e poi fece tutto in cinque minuti. Il maestro
Calma! Vi raccomando la calma! – E quando vedeva qualcuno
mettergli animo spalancava la bocca come per divorarlo, imitando il
a traverso alle persiane, vidi molti parenti che andavano e
c’era il padre di Precossi, col suo camiciotto turchino, scappato
nel viso. C’era la madre di Crossi, l’erbaiola; la madre di Nelli,
ferma. Poco prima di mezzogiorno arrivò mio padre e alzò gli
mio! A mezzo giorno tutti avevamo finito. E fu uno spettacolo
domandare, a sfogliare i quaderni, a confrontare coi lavori dei
il totale? – E la sottrazione? – E la risposta? – E la virgola
andavano qua e là, chiamati da cento parti. Mio padre mi levò di
disse: – Va bene. – Accanto a noi c’era il fabbro Precossi che
figliuolo, un po’ inquieto, e non si raccapezzava. Si rivolse a mio
totale? Mio padre lesse la cifra. Quegli guardò: combinava. – Bravo,
mio padre e lui si guardarono un momento, con un buon
tese la mano, egli la strinse. E si separarono dicendo: – Al
passi, udimmo una voce in falsetto che ci fece voltare il capo: era
verbali. Alle otto eravamo tutti in classe, e alle otto e un quarto
volta nel camerone, dove c’era un gran tavolo coperto d’un
quattro maestri, fra i quali il nostro. Io fui uno dei primi
m’accorsi che ci vuol bene davvero, questa mattina. Mentre
aveva occhi che per noi; Si turbava quando eravamo incerti a
davamo una bella risposta, sentiva tutto, e ci faceva mille cenni
bene, – no, – sta attento, – più adagio, – coraggio. – Ci avrebbe
parlare. Se al posto suo ci fossero stati l’un dopo l’altro i padri
fatto di più. Gli avrei gridato: – Grazie! – dieci volte, in faccia
a
dissero: – Sta bene; va pure, – gli scintillarono gli occhi dalla
ad aspettare mio padre. C’erano ancora quasi tutti. Mi sedetti
punto. Pensavo che era l’ultima volta che stavamo un’ora vicini!
che non avrei più fatta la quarta con lui, che dovevo andar
sapeva nulla. E se ne stava lì piegato in due, con la sua grossa
ornati intorno a una fotografia di suo padre, vestito da
grosso, con un collo di toro, e ha un’aria seria e onesta, come
camicia un poco aperta davanti, io gli vedevo sul petto nudo e
la madre di Nelli, quando seppe che proteggeva il suo
dicessi una volta che dovevo andar via. Glielo dissi: –
via da Torino, per sempre. – Egli mi domandò se andavo
farai più la quarta con noi? – mi disse. Risposi di no. E allora
egli
continuando il suo disegno. Poi domandò senz’alzare il capo: – Ti
terza? – Sì, – gli dissi, – di tutti; ma di te… più che di tutti.
Chi si
fisso e serio con uno sguardo che diceva mille cose; e non disse
fingendo di continuare a disegnare con l’altra, ed io la strinsi
In quel momento entrò in fretta il maestro col viso rosso, e
voce allegra: – Bravi, finora va tutto bene, tirino avanti così
quelli
Sono molto contento. – E per mostrarci la sua contentezza ed
mostra d’inciampare e di trattenersi al muro per non cadere: lui, che
parve così strana, che invece di ridere, tutti rimasero stupiti;
non so, mi fece pena e tenerezza insieme quell’atto di
suo premio quel momento d’allegrezza, era il compenso di nove
dispiaceri! Per quello aveva faticato tanto tempo, ed era
malato, povero maestro! Quello, e non altro, egli domandava a noi in
cure! E ora mi pare che lo rivedrò sempre così in quell’atto,
anni; e se quando sarò un uomo, egli vivrà ancora, e
quell’atto che mi toccò il cuore; e gli darò un bacio sulla testa.
l’ultima volta alla scuola a sentire i risultati degli esami e a
pigliare
affollata di parenti, che avevano invaso anche il camerone, e
pigiandosi fino accanto al tavolino del maestro: nella nostra
e i primi banchi. C’era il padre di Garrone, la madre di
la signora Nelli, l’erbaiola, il padre del muratorino, il padre di
visti; e si sentiva da tutte le parti un bisbiglio, un brulichìo,
che
il maestro: si fece un grande silenzio. Aveva in mano l’elenco, e
promosso, sessanta settantesimi, Archini, promosso,
muratorino promosso, Crossi promosso. Poi lesse forte: – Derossi
settantesimi, e il primo premio. – Tutti i parenti ch’eran lì, che
lo
bravo, Derossi! – ed egli diede una scrollata ai suoi riccioli
bello, guardando sua madre, che gli fece un saluto con la mano.
promossi. Poi tre o quattro di seguito rimandati, e uno si mise a
sull’uscio, gli fece un gesto di minaccia. Ma il maestro disse al
sempre colpa, è sfortuna molte volte. E questo è il caso. – Poi
settantesimi. – Sua madre gli mandò un bacio col ventaglio.
settantesimi; ma a sentire quel bel voto, egli non sorrise neppure,
L’ultimo fu Votini, che era venuto tutto ben vestito e pettinato:
alzò e disse: – Ragazzi, questa è l’ultima volta che ci troviamo
ora ci lasciamo buoni amici, non è vero? Mi rincresce di
S’interruppe; poi ripigliò: – Se qualche volta m’è scappata la
volerlo, sono stato ingiusto, troppo severo, scusatemi. – No, no, –
no, signor maestro, mai. – Scusatemi, – ripeté il maestro, – e
sarete più con me, ma vi rivedrò, e rimarrete sempre nel mio
questo, venne avanti in mezzo a noi, e tutti gli tesero le mani,
le braccia e per le falde del vestito; molti lo baciarono,
rivederlo, maestro! – Grazie, signor maestro! – Stia bene! – Si
oppresso dalla commozione. Uscimmo tutti, alla rinfusa. Da
un rimescolamento, un gran chiasso di ragazzi e di parenti che
maestre e si salutavan fra loro. La maestra della penna rossa aveva
ventina attorno, che le legavano il fiato; e alla «monachina»
ficcato una dozzina di mazzetti tra i bottoni del vestito nero e
Robetti che proprio quel giorno aveva smesso per la prima volta
le parti. – Al nuovo anno! – Ai venti d’ottobre! – A rivederci ai
come si dimenticavano tutti i dissapori in quel momento!
geloso di Derossi, fu il primo a gettarglisi incontro con le braccia
baciai proprio nel momento che mi faceva il suo ultimo muso di
salutai Garoffi, che mi annunziò la vincita alla sua ultima
calcafogli di maiolica, rotto da un canto, dissi addio a tutti gli
altri. Fu
s’avviticchiò a Garrone, che non lo potevan più staccare. Tutti
addio Garrone, addio, a rivederci, e lì a toccarlo, a stringerlo, a
ragazzo; e c’era suo padre tutto meravigliato, che guardava e
abbracciai, nella strada, e soffocai un singhiozzo contro il suo
corsi da mio padre e da mia madre. Mio padre mi domandò: –
Dissi di sì. – Se c’è qualcuno a cui tu abbia fatto un torto, vagli
a
dimentichi. C’è nessuno? – Nessuno, – risposi. – E allora addio! –
disse
un ultimo sguardo alla scuola. E mia madre ripeté: –
Continua la lettura su: https://www.ercolebonjean.com/2022/11/cuore-di-edmondo-de-amicis-mese-di_9.html Autore del post: Maestro Ercole Fonte: https://www.ercolebonjean.com/