Mussorgsky e i Quadri di un’esposizione: quando la musica racconta la pittura

Musica e pittura sono straordinariamente vicine. Sanno evocare sensazioni e immagini, sanno trasportarci in luoghi immaginari. Questo rapporto si è fatto molto stretto nel Novecento, quando alcuni pittori hanno deliberatamente cercato quel dialogo attraverso le loro opere.

Il caso più celebre è quello di Wassily Kandinsky, l’artista che negli anni Dieci e Venti ha trasformato i quadri in sinfonie per gli occhi, cercando addirittura una corrispondenza diretta tra l’andamento delle masse cromatiche e le sonorità di Beethoven.

D’altronde Kandinsky era anche un violoncellista ed era per lui naturale riversare la musica in ogni aspetto della pittura, dai nomi dei dipinti (composizione, improvvisazione…) alla percezione dei colori (scriveva: “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”).

Edvard Munch invece si chiedeva “I colori sono consapevoli della loro musica? E la musica lo è dei suoi colori?”.

Non va dimenticato neanche Piet Mondrian: con Broadway Boogie-Woogie ha cercato, fin dal titolo, di riprodurre sulla tela il ritmo incalzante della nuova musica scoperta a New York dopo il trasferimento nel 1940.

Stessa cosa per Henri Matisse, di cui abbiamo già visto il libro Jazz, una raccolta di riflessioni e immagini pubblicata nel 1947 che hanno la freschezza spumeggiante di una jazz session.

Che pittura e musica abbiano tante affinità, d’altra parte, l’aveva intuito anche Paul Gauguin che nel 1899 scriveva: “Il colore, che è vibrazione come la musica, sta per raggiungere ciò che vi è di più generale e dunque di più vago nella natura: la sua forza interiore”. Senza saperlo il pittore francese aveva intuito l’analoga natura ondulatoria dei due fenomeni e il simile impatto psicologico.

Johann Wolfgang von Goethe scriveva invece nel 1810 (nella sua Teoria dei colori): “Colore e suono sono come due fiumi che nascono da un’unica montagna, ma che scorrono in condizioni del tutto diverse, in due regioni che nulla hanno di simile, cosicché nessun tratto dei due corsi può essere confrontato con l’altro”.
Ma quelli erano ancora tempi in cui la musica era per la pittura solo il soggetto di affascinanti allegorie…

… di scene di genere…

… o di magnifiche nature morte con strumenti musicali.

Quanto alla musica, da parte sua, non si era mai occupata della pittura. Aveva invece cercato, fin dal Settecento, di evocare atmosfere, visioni o narrazioni come fece Antonio Vivaldi con Le Quattro Stagioni (1725) o Ludwig van Beethoven con la Pastorale (1808).

Poi c’è un caso a parte, forse unico nel suo genere, in cui la musica “descrive” la pittura attraverso le sue sonorità. È quello che ha fatto il compositore russo Modest Petrovich Mussorgsky (1839-1881) con la suite Quadri di un’esposizione, scritta per solo pianoforte nel 1874 e successivamente orchestrata dal compositore francese Maurice Ravel nel 1922. Eccola, in questa seconda versione.

La storia di questa composizione inizia nel 1870 quando Mussorgsky conosce l’architetto e pittore Viktor Aleksandrovič Hartmann diventandone ammiratore e amico. Hartmann però muore pochi anni dopo per un aneurisma, nel 1873, a soli 39 anni.

L’anno successivo viene organizzata a San Pietroburgo una retrospettiva con 400 dipinti (soprattutto acquerelli) per commemorare l’artista. La visione di quella mostra, a cui aveva contribuito anche Mussorgsky con alcune opere in suo possesso, è per il musicista una folgorazione e in poco tempo scrive la partitura di Quadri di un’esposizione.

Purtroppo non è rimasto quasi nulla della produzione di Hartmann ma è certo che Mussorgsky si sia ispirato a dieci quadri, i cui titoli corrispondono ai brani della suite. Le ‘promenade‘, invece corrispondono al cammino tra una sala e l’altra della mostra e legano i vari ‘quadri’ attraverso un riconoscibilissimo leitmotiv. Questa è la struttura:

Promenade – Allegro giusto, nel modo russico; senza allegrezza, ma poco sostenuto

  1. Gnomus – Sempre vivo
Promenade – Moderato commodo e con delicatezza
  1. Il vecchio castello – Andante
Promenade – Moderato non tanto, pesante
  1. Tuileries (Dispute d’enfants après jeux) – Allegretto non troppo, capriccioso
  2. Bydlo – Sempre moderato pesante
Promenade – Tranquillo
  1. Balletto dei pulcini nei loro gusci – Scherzino. Vivo leggiero
  2. Samuel Goldenberg und Schmuyle – Andante
  3. Limoges: Le marché – Allegretto vivo sempre scherzando
  4. Catacombae: Sepulchrum Romanum – Largo
  5. La cabane sur des pattes de poule (capanna di baba-Yaga) – Allegro con brio, feroce
  6. La grande porta di Kiev – Allegro alla breve. Maestoso. Con grandezza

Questi, invece, sono sei dipinti di Hartmann ai quali i brani potrebbero riferirsi.

Si tratta di immagini piuttosto tradizionali legate al folklore russo, ai viaggi dell’artista e alla vita quotidiana. Tuttavia le sonorità ideate da Mussorgsky sono tutt’altro che convenzionali: per gli studiosi Quadri di un’esposizione è un’opera straordinariamente moderna, un ponte gettato verso il Novecento per le sue dissonanze e i suoi ritmi interrotti.

Già da Gnomus si sente che siamo lontani dalle armonizzazioni romantiche. Anzi, ricorda quasi una colonna sonora contemporanea! Forse è per questo che Quadri di un’esposizione ha ispirato persino una reinterpretazione in chiave rock da parte di Emerson, Lake & Palmer del 1971.

Ma la rivisitazione più interessante è quella realizzata da Wassily Kandinsky: il pittore russo infatti ha progettato le scenografie sulla musica di Mussorgsky per uno spettacolo al Teatro Friedrich di Dessau nel 1928.

In pratica, dopo che i quadri erano diventati musica, ha fatto il processo inverso, facendo diventare la musica dei quadri. Le sue immagini però non sono evocazioni figurative ma la trasposizione visiva delle sensazioni sonore. Dunque si tratta di composizioni astratte, geometriche, che dovevano interagire con la musica e la luce, secondo la teoria della sintesi delle arti portata avanti dal Bauhaus.

Ecco come immaginava probabilmente la rappresentazione: una sinestesia di forme in movimento, colori in sequenza e suoni di pianoforte.

Quando Mussorgsky completò i Quadri, tuttavia, la suite fu accolta con poco entusiasmo. Le novità erano troppe e il musicista preferì accantonarla e dedicarsi a nuove composizioni. Da quel momento, però, la sua carriera iniziò un inesorabile declino, anche per via dell’alcolismo che lo affliggeva fin da giovane. 

Nel 1881  è ricoverato per l’aggravarsi delle sue condizioni di salute. Risale a questo periodo l’unico ritratto del musicista, realizzato da Ilja Repin. Nel dipinto il grande compositore appare stanco, scarmigliato.

Gli resteranno pochi giorni ancora: con i soldi che gli aveva dato il fratello corruppe una guardia per farsi portare del vino. La sua ultima bevuta gli sarà fatale: morirà all’alba del 28 marzo 1881, una settimana dopo aver compiuto quarantadue anni. 

La sua suite verrà pubblicata cinque anni dopo da Nikolaj Rimskij-Korsakov, compositore russo e caro amico di Mussorgsky. Ma la versione originale vedrà la luce solo nel 1931, per i cinquant’anni dalla scomparsa del suo autore.

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Musica e pittura sono straordinariamente vicine. Sanno evocare sensazioni e immagini, sanno trasportarci in luoghi immaginari. Questo rapporto si è fatto molto stretto nel Novecento, quando alcuni pittori hanno deliberatamente cercato quel dialogo attraverso le loro opere.
Il caso più celebre è quello di Wassily Kandinsky, l’artista che negli anni Dieci e Venti ha trasformato i quadri in sinfonie per gli occhi, cercando addirittura una corrispondenza diretta tra l’andamento delle masse cromatiche e le sonorità di Beethoven.

D’altronde Kandinsky era anche un violoncellista ed era per lui naturale riversare la musica in ogni aspetto della pittura, dai nomi dei dipinti (composizione, improvvisazione…) alla percezione dei colori (scriveva: “Il colore è un mezzo per esercitare sull’anima un’influenza diretta. Il colore è un tasto, l’occhio il martelletto che lo colpisce, l’anima lo strumento dalle mille corde”).
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Non va dimenticato neanche Piet Mondrian: con Broadway Boogie-Woogie ha cercato, fin dal titolo, di riprodurre sulla tela il ritmo incalzante della nuova musica scoperta a New York dopo il trasferimento nel 1940.
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Quanto alla musica, da parte sua, non si era mai occupata della pittura. Aveva invece cercato, fin dal Settecento, di evocare atmosfere, visioni o narrazioni come fece Antonio Vivaldi con Le Quattro Stagioni (1725) o Ludwig van Beethoven con la Pastorale (1808).
Poi c’è un caso a parte, forse unico nel suo genere, in cui la musica “descrive” la pittura attraverso le sue sonorità. È quello che ha fatto il compositore russo Modest Petrovich Mussorgsky (1839-1881) con la suite Quadri di un’esposizione, scritta per solo pianoforte nel 1874 e successivamente orchestrata dal compositore francese Maurice Ravel nel 1922. Eccola, in questa seconda versione.

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