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Pregiato ed elegante: il calice römer nei dipinti

DidatticArte didattica by DidatticArte didattica
Gennaio 7, 2023
in DidatticArte, Vedi tutti i blog di Didattica
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Home Vedi tutti i blog di Didattica DidatticArte

L’ho notato per la prima volta nelle nature morte di Pieter Claesz, un pittore olandese del Seicento specializzato in vanitas e tavole imbandite. È il calice römer (o roemer), un bicchiere di vetro costituito da una coppa tondeggiante posta sopra un grosso fusto cilindrico ricoperto da piccole borchie sporgenti.

In questo dipinto di Claesz, una Natura morta con limoni e olive del 1629, un grosso römer pieno di vino bianco fa bella mostra di sé assieme a un delicato calice alla façon de Venise (cioè in stile veneziano) di forma allungata e dallo stelo particolarmente lavorato. Limoni e olive, che nel bacino del Mediterraneo erano prodotti molto comuni, rappresentano su questa tavola del nord Europa beni di grande lusso.

Ma come nasce questo oggetto così particolare? La sua origine sarebbe da rintracciarsi in Renania, una regione della Germania in cui, fin dal III secolo d.C., si era sviluppata una fiorente manifattura vetraria in continuità con la produzione di età romana. Il termine römer, infatti, significa proprio romano in tedesco.

Quel bicchiere però compare nel Seicento diffondendosi subito nei Paesi Bassi assieme al riesling, un vino del Reno chiaro e aromatico, lo stesso che compare nei dipinti olandesi.

Il vetro ha una colorazione leggermente verdastra per via dell’ossido di ferro presente nelle materie impiegate per la fusione, provenienti dalle foreste: sabbia, cenere di legno e piante boschive. Per questo è chiamato in tedesco waldglas, che si può tradurre come ‘vetro di foresta’.

In genere il piede conico è realizzato con un filo di vetro avvolto a spirale. Le borchie lungo il fusto (che possono avere la forma di una prugna, di una testa o di una goccia) decorano la superficie ma soprattutto migliorano la presa. Questo aspetto era particolarmente importante in un’epoca in cui non si usavano le posate e le mani dei bevitori erano unte dal grasso delle portate. Per non parlare della presa che avevano i commensali dopo alcuni bicchieri di vino…

I bicchieri römer che possiamo osservare nella pittura olandese non erano però fabbricati in Renania ma direttamente nei Paesi Bassi dove, fin dalla metà del Cinquecento, si erano trasferiti numerosi soffiatori veneziani.

La grande fioritura dei manufatti in vetro ha avuto inizio ad Amsterdam alla fine del XVI secolo, in concomitanza con la diffusione del Calvinismo e della sua etica del lavoro.
La città ebbe in pochi anni una crescita economica e demografica mai vista prima anche grazie agli incentivi fiscali per le attività artigianali. In particolare l’industria del vetro godette di esenzioni dalle tasse, prestiti senza interessi, legna da ardere gratuita e restrizioni sul vetro di provenienza estera. 

È in quest’epoca che il römer appare in centinaia di dipinti olandesi, sia nature morte che scene di genere.

Quel bicchiere tuttavia non era un’invenzione del XVII secolo ma l’evoluzione di un modello medievale noto come becher a bugne (prunted beaker), un grosso cilindro con bocca svasata e gocce di vetro lungo tutta la superficie laterale.
Successivamente compare il krautstrunk (cioè gambo di cavolo), un bicchiere germanico tardomedievale con il bordo e il corpo convessi. Da questo oggetto discende un bicchiere conico, chiamato nei Paesi Bassi berkeimer, decorato con bugne vitree solo nella metà inferiore.
Questa parte decorata divenne in poco tempo un fusto indipendente su cui poggia la coppa. La tappa successiva è quella del römer, più slanciato e con la coppa convessa. Negli esemplari di passaggio, come quello del primo dipinto di questo articolo, il piede non ha ancora la forma conica ad anelli ma conserva le piccole gocce sotto il fusto.

Alcuni römer particolarmente preziosi avevano la coppa decorata con incisioni realizzate con punte di diamante. Uno dei più particolari, prodotto ad Amsterdam all’inizio del Seicento, presenta una dettagliatissima mappa del corso del fiume Reno da Magonza a Utrecht ripresa da una cartografia risalente al 1555.

Ce ne sono anche con incisioni calligrafiche o con vedute urbane. Ma la preziosa decorazione non toglie nulla alla funzionalità del calice, ergonomico ed elegante come un moderno pezzo di design.

Ma perché i pittori amavano tanto inserire il römer nei loro dipinti?

I motivi sono essenzialmente due: una natura morta con quello speciale bicchiere sarebbe stata molto gradita al compratore del dipinto perché avrebbe rappresentato il suo elevato status sociale…

… ma soprattutto quell’oggetto bombato in vetro avrebbe fornito al pittore l’occasione per una magistrale prova di virtuosismo. La sua superficie, infatti, si comporta come uno specchio convesso, tema molto caro già alla pittura fiamminga, su cui si riflettono finestre, oggetti e persone, con un raddoppio della difficoltà costituito dalla rifrazione all’interno del liquido.

L’esercizio di abilità tecnica può riguardare anche il riflesso di una fiamma sul römer, come in questa opera di Pieter Claesz. Naturalmente la composizione, che vede anche un paio di occhiali, uno spegnitoio a pinza e alcuni libri, ha anche un significato moraleggiante che rimanda alla transitorietà della vita umana, simboleggiata dalla candela quasi finita. Il bicchiere, a sua volta, incarna la fragilità della condizione umana.

Appena ci si comincia a fare caso si può notare che il römer è presente in migliaia di dipinti olandesi, generalmente pieno a metà e circondato da alimenti di ogni tipo.

Spesso è affiancato da contenitori in argento rovesciati, che danno dinamismo alla scena e collegano tra loro il primo piano e lo sfondo, contribuendo alla costruzione della profondità.

Raramente è proprio il römer ad essere rovesciato. In quel caso il riferimento alla caducità è ancora più evidente.  Non a caso questo accade soprattutto nelle vanitas, opere esplicitamente allusive alla vanità delle cose terrene.

Ognuno di questi quadri, naturalmente, potrebbe aprire infinite altre storie, perché ogni oggetto raffigurato è un pezzo di cultura materiale, il racconto di una società lontana e diversa che può essere riscoperta anche attraverso i suoi manufatti, come un semplice bicchiere.

***

Per scrivere questo articolo ho consultato tra gli altri l’interessante blog di Evelyn Meynard e la lettura interattiva di una natura morta olandese sul sito del New York Times

Continua la lettura su: http://www.didatticarte.it/Blog/?p=25501 Autore del post: DidatticArte didattica Fonte: http://www.didatticarte.it/Blog/

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