Il marchio d’infamia imposto dal pensiero unico
I regimi dittatoriali del XX secolo come il fascismo, il nazismo, lo stalinismo, usavano mezzi violenti e coercitivi per reprimere il dissenso, e per questo sono da tutti considerate dittature esecrabili da condannare, nelle quali è vietato individuare anche il minimo e trascurabile aspetto positivo. Eppure, se quei regimi ci fossero oggi, non credo che ricorrerebbero ai gulag, alle torture o alle fucilazioni: basterebbero la televisione, i giornali e i social, che sono strumenti di coercizione psicologica ben più forti della violenza materiale. Le attuali pseudodemocrazie come la nostra se ne servono a piene mani, per diffondere un pensiero unico dal quale non è possibile dissentire, altrimenti si va incontro ad un marchio d’infamia che rinchiude il dissidente in un ghetto fatto di disprezzo, di avversione, di dileggio che lo fanno sentire inferiore, gli tolgono la gioia di appartenere ad una comunità e di poter esprimere liberamente le proprie convinzioni. Sotto questo aspetto la nostra “democrazia”, che con tanta buffonesca pompa viene esaltata dalla gonfia retorica del 25 aprile, è in realtà anch’essa una dittatura, perché il dettato dell’art.21 della Costituzione, che garantisce la libertà di parola, è in realtà vanificato dalla diffusione massiccia di determinate idee e principi che in alcuni casi impongono il silenzio al dissidente (vedi l’ingiustissima legge Mancino, che punisce penalmente chi s’ispira al fascismo e non chi esalta il comunismo, una dittatura ben più bieca e sanguinaria), mentre in altri lo lasciano parlare ma per colpirlo subito dopo con un marchio d’infamia che assomiglia in tutto a quello che nell’antica Roma si applicava agli schiavi fuggitivi, marchiati a fuoco sul volto.
Vediamo quali sono questi marchi d’infamia, queste etichette prefabbricate che, applicate ai dissidenti, sono capaci di escluderli dal dibattito sociale e farli sentire inutili, veri e propri rifiuti della società. Con quello che è successo negli ultimi anni gli esempi sono piuttosto numerosi. Cominciamo da quello più comune, buttato in tutte le salse come il prezzemolo: “fascista”. E’ applicato a tutti coloro che non condividono le idee radical-chic dei comunisti con il Rolex che dalle loro ville di Capalbio pretendono di dare a tutti lezioni di vita basandosi su di una presunta superiorità culturale ed umana. Di seguito aggiungo: “complottista”, detto di tutti coloro che non accettano come oro colato le verità della televisione (per dirla con De André) asservita al pensiero dominante, ma cercano di ragionare con la propria testa. Poi: “negazionista”, che è stato appiccicato addosso a tutti quelli che, pur non negando affatto l’esistenza della pandemia da Covid, hanno osato opporsi alla dittatura sanitaria dello sciagurato governo Conte 2, che prima ci ha tolto tutte le fondamentali libertà chiudendoci per mesi agli arresti domiciliari, poi ha trattato da delinquenti, togliendo loro addirittura il lavoro, coloro che non volevano vaccinarsi, imponendo quindi un trattamento sanitario obbligatorio. E fa ridere, al proposito, che i capi della sinistra parlino di “libertà” il 25 aprile quando stati proprio loro che ce l’hanno tolta con le minacce e la prevaricazione.
Ma i marchi di infamia non sono finiti, ce ne sono almeno altrettanti che vanno ricordati. Il primo è “razzista”, espresso con profondo disprezzo contro tutti coloro che vorrebbero limitare l’invasione indiscriminata degli extracomunitari clandestini. Basta vedere come sono ridotti certi quartieri delle nostre città, vere latrine a cielo aperto, per rendersi conto che il problema esiste ed è anche bello grosso; ma guai a farlo notare, altrimenti il marchio d’infamia ti cala sulla testa come un macigno. Il secondo è “omofobo”, che colpisce come una stilettata alle spalle tutti coloro che considerano famiglia naturale soltanto quella fondata sull’unione tra persone di sesso diverso, e soprattutto non approvano pratiche obbrobriose come la maternità surrogata o “utero in affitto”, dovendosi riconoscere che per un bambino sarebbe preferibile, sia pure non in senso assoluto, avere un padre e una madre. Il terzo, molto diffuso in questi tempi, è “sovranista”, che di per sé non sarebbe una parolaccia ma tale lo diventa nell’uso comune, quando viene marcato a fuoco su persone che deplorano lo stato di soggezione economica e politica del nostro Paese alle potenze straniere, in particolare gli Stati Uniti d’America e l’Unione Europea. Questi poveri illusi che vorrebbero vivere in uno Stato sovrano e indipendente, capace di prendere da sé le proprie decisioni anziché prostrarsi pedestremente ai voleri altrui, non auspicano certamente l’isolamento dell’Italia, ma che almeno si eviti di diventare una colonia straniera come di fatto siamo diventati. Cavour, Garibaldi, Vittorio Emanuele II si sarebbero dati tanto da fare per liberare l’Italia dagli stranieri se avessero saputo che un secolo e mezzo dopo di loro saremmo di nuovo diventati terra di conquista, al punto che nessuno dei nostri governi, nemmeno l’attuale, riesce a renderci la perduta sovranità?
Di fronte poi all’attuale guerra fra Russia e Ucraina è stata creata una nuova etichetta per chi ha delle riserve sulla versione ufficiale dei fatti propinataci indistintamente da tutte le TV, i giornali e le altre fonti di informazione: quella di “putiniano”, cioè sostenitore del capo del Cremlino. Qui posso parlare personalmente: io non ho alcuna simpatia per Putin né intendo assolverlo in nulla, sia ben chiaro; ma sono convinto, come sono sempre stato, che quando c’è una lite o un conflitto, sia tra due persone, due gruppi, due nazioni ecc., è ben difficile che la ragione stia tutta da una parte e il torto tutto dall’altra. Se il personaggio in questione ha preso la sciagurata decisione di invadere un paese sovrano, evidentemente in qualcosa è stato provocato, e non solo dalla politica criminale di Zelensky (un dittatore, non un alfiere della democrazia), ma anche dall’espansionismo della NATO e dalla prepotenza americana, che mira a controllare tutto il mondo ed a ricondurlo all’interno della propria sfera di influenza. Se la NATO si era formata per contrastare l’Unione Sovietica durante la guerra fredda, una volta che il sistema sovietico è crollato avrebbe dovuto sciogliersi, non espandersi fino a porre testate nuclari a poche centinaia di chilometri da Mosca. Se questo vuol dire essere putiniano, allora vorrà dire che lo sono anch’io.
Come si vede, di marchi d’infamia ce ne sono per tutti i gusti, e ne vengono sempre coniati di nuovi per colpire e annientare chiunque si opponga al pensiero unico del “politicamente corretto” , di origine americana ma poi fatto proprio, con tanto zelo, dalla nostra sinistra. E tutto l’apparato informativo, concorde e coriaceo nel sostenere linee preordinate di pensiero e nel propagarle con una determinazione degna del Minculpop e di Goebbels, colpisce con questi anatemi chiunque si opponga, il dissidente è annientato con la violenza dell’insulto, dell’emarginazione, della beffa. I risultati ottenuti, quindi, ci dimostrano che siamo di fronte ad un sistema di potere organizzato e compatto che riesce ad eliminare il dissenso persino meglio di quanto facevano il secolo scorso i manganelli, l’olio di ricino, i campi di concentramento e i gulag. In un sistema politico come questo, dove il dissenso non trova spazio e dove ogni voce dissenziente dal pensiero unico viene messa a tacere, la parola “democrazia” diventa un orpello vuoto che non ha alcun collegamento con la realtà.
Continua la lettura su: https://profrossi.wordpress.com/2023/04/26/il-marchio-dinfamia-imposto-dal-pensiero-unico/ Autore del post: Prof Rossi Didattica Fonte: https://profrossi.wordpress.com