Open Day: i segnalibri

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Grande affluenza al secondo Open day alla Gramsci per conoscere le novità!

Grande partecipazione al secondo open day della Gramsci, due novità: Cl@sse 4.0 e Inglese potenziato
Sabato 14 gennaio la scuola secondaria di primo grado ha aperto le porte dell’Istituto, per la seconda volta, alle famiglie e agli studenti in occasione del primo open day dedicato alla condivisione delle numerose progettualità.

I visitatori sono stati accolti nell’Aula Magna dal vice preside, Prof. Moreno Pasqualone, e dalla funzione strumentale per l’Orientamento, la Prof.ssa Marilena Ferraro, che hanno illustrato l’offerta formativa della scuola e hanno introdotto le novità dell’A.S. 2023/2024: la scuola si arricchisce di altri due indirizzi specifici oltre al percorso Musicale ovvero sarà avviata la Cl@asse 4.0 e il corso d’Inglese Potenziato.
Tante le domande dei genitori che hanno seguito con interesse e d entusiasmo. Dopo la presentazione del Dirigente i genitori con i piccoli alunni sono stati divisi in gruppi e hanno visitato i numerosi laboratori presenti nella scuola: da quello multimediale alla Cl@sse 4.0, da quello scientifico a quello musicale, dal Progetto lettura in biblioteca al laboratorio espressivo passando per le attività di motoria e artistiche.

Il tour nei diversi laboratori ha permesso ai visitatori di porre domande, di conoscere l’offerta formativa attraverso le parole e l’operato dei veri e propri protagonisti della scuola cioè gli alunni.
Per il percorso ad indirizzo musicale sono stati illustrati i vari strumenti studiati facendo esibire i giovani alunni nei vari laboratori: pianoforte con il professor Polimanti, Tromba con il professor Catena, Flauto traverso con la professoressa Barbera e Violino con il professor Papa.

Nel laboratorio scientifico, con le prof.sse Paola Carusone e Francesca Sorrentino, gli spazi e gli strumenti per i vari esperimenti hanno catturato l’attenzione.

Nel laboratorio linguistico, con i professori Valerio Filippi, Ada Catalano, Patrizia Bisacco e Licia Acquafredda,  giochi interattivi e multiculturalità.

Nelle aule adibite come Laboratorio espressivo, i genitori e i piccoli ospiti hanno potuto assistere a delle rappresentazioni letterarie interessanti e coinvolgenti: gli alunni di 1^ B, coordinati dalla professoressa Maria Rosaria Salvi,  hanno rappresentato alcune favole, come “Il lupo e l’agnello” e “Il leone e il topo”.

Le alunne di 2^ B, invece, guidate dal professore Ragozzino Salvatore, hanno illustrato l’Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri anche attraverso la recitazione di versi tratti da alcuni canti. Infine, gli alunni di 2^ e 3^ C , insieme alla professoressa Lucia Decinti, hanno presentato le varie attività realizzate con le piattaforme di Book Creator e Canva.

Preso d’assalto dai piccoli alunni e dai loro genitori il laboratorio multimediale dove gli alunni della sezione A, guidati dalla prof.ssa Marilena Ferraro,  hanno illustrato le attività svolte in Italiano in Didattica digitale integrata.

Gli alunni hanno parlato anche di storytelling in realtà virtuale e aumentata facendo provare ai piccoli visitatori anche esperienze con i visori in 3D.

Di grande interesse per i genitori e per i ragazzi il nuovo corso Cl@asse 4.0 della sezione A che prevede l’utilizzo di metodologie didattiche attive e inclusive in un ambiente digitale. I genitori hanno ascoltato le spiegazioni degli insegnanti del consiglio di classe, prof.ssa Sabrina Barretta, prof.ssa Marilena Ferraro, prof.ssa Ada Catalano e prof.ssa Velia Farina,  per conoscere le modalità di insegnamento/apprendimento dimostrando grande interesse. Nell’aula 4.0 anche la disposizione dei banchi è importante per favorire l’apprendimento cooperativo e l’acquisizione di competenze didattiche e relazionali. Ogni alunno ha un dispositivo Chromebook su cui lavorare e durante l’Open day i ragazzi hanno realizzato, divisi in gruppi, tre prodotti digitali:
1 . Un poster collaborativo con Canva: “Contro Bullismo e Cyberbullismo”.
2.Una mappa interattiva con Google Earth sul viaggio di Ulisse.
3. Una mappa con Google Presentazioni per spiegare il Nome.

Qui di seguito riportiamo la presentazione del corso:

Presentazione classe 4.0 per le famiglie di marilenaferraro

Tra gli ambienti che hanno attirato l’attenzione degli ospiti la Biblioteca Scolastica è stata certamente la più sorprendente.

Luminosa, spaziosa e soprattutto ricca di creatività la biblioteca rappresenta per gli alunni della Gramsci un vero e proprio atelier di lettura e scrittura, uno spazio terzo nel quale prende vita il progetto lettura d’Istituto.

Ad accogliere i visitatori insieme con gli alunni le professoresse Barbara e Cinzia Pedrazzi e la professoressa Deborah Tosi.

L’intero Istituto, attraverso il progetto lettura, da diversi anni partecipa alle numerose iniziative di promozione alla lettura proposte dal MIUR e dal Cepell a livello nazionale.

Tra queste ricordiamo: Libriamoci, #ioleggoperchè, Il maggio dei libri oppure concorsi di lettura e scrittura nei quali i nostri alunni si sono sempre distinti ottenendo numerosi riconoscimenti.

L’open day è stata l’occasione per i ragazzi di condividere con le famiglie le diverse strategie offerte dal progetto lettura oltre che le metodologie e i prodotti finiti.

Ogni luogo della Biblioteca ha ospitato un diverso laboratorio: dal metodo caviardage alla mail art, dal laboratorio di poesia alla realizzazione di lap-book e libri pop-up, dal taccuino del lettore e dello scrittore agli organizzatori grafici.

Ad arricchire l’esposizione: segnalibri, panini imbottiti di libri, libri a fisarmonica, libri in una busta, libri in una pagina, libri in foglio e libri in scatola ispirati a Roberto Pittarello.

Ad attirare l’attenzione e la curiosità di molti anche il libro dal titolo “Racconti dal Lazio” realizzato dai nostri alunni in collaborazione con la casa editrice Psiche e Aurora.

Un altro percorso realizzato sempre all’interno del progetto lettura con il patrocinio del Comune di Aprilia, esposto durante l’open day, è il volumetto nato in occasione del 75° anniversario della Fondazione di Aprilia, dal titolo “Aprilia Raccontami”, dal suo seguito “Aprilia Raccontami 2” ed infine dall’ultimo volume “Aprilia Raccontami 3. Avventure nello spazio” che ha accompagnato la nostra mascotte oltre la Galassia.

Prossimo Open day il 14 gennaio alle ore 10,30.

Vi racconto lo Spinario

È una scultura classica apparentemente ordinaria: un ragazzino seduto su un roccia che si sta togliendo una spina dal piede. Eppure lo Spinario – questo il nome con cui l’opera è conosciuta – ha una storia affascinante e per certi aspetti ancora misteriosa.

Tanto per cominciare: è una statua greca o romana?La versione bronzea conservata ai Musei Capitolini è considerata un’opera eclettica di origine greca perché creata unendo una testa del periodo severo (V sec. a.C.) a un corpo ellenistico del I secolo a.C.Questo spiegherebbe il motivo per cui i capelli non scendono verso il basso, come sarebbe ovvio per un capo chino, ma fluiscono elegantemente ai lati del volto.

Tuttavia lo Spinario era un’iconografia diffusa, tanto che oggi se ne possono osservare diversi esemplari, egualmente antichi, generalmente di età imperiale.

Ma andiamo al soggetto. È un giovane pastore greco? Sì, è possibile. Nell’età ellenistica (IV-I secolo a.C.) la scena di genere, cioè la rappresentazione di episodi ordinari, di momenti di vita quotidiana, era piuttosto comune. In questo caso il gesto del ragazzo non avrebbe alcun significato particolare, sebbene per i Greci la puntura di una spina fosse metafora del dolore procurato dall’innamoramento.
Nella cultura greca però potrebbe anche essere Podaleiros, figlio di Asklepios, guaritore dei piedi.

Presso i Romani invece lo Spinario rappresentava probabilmente Ascanio, il figlio di Enea e l’iniziatore della gens Iulia. Dunque non si tratterebbe di un semplice pastorello ma di una figura fondamentale all’interno del mito fondativo della civiltà romana.

Ma potrebbe essere anche il giovane Marzio, il messaggero che nel IV secolo a.C., nel corso della guerra contro Veio, corse fino a Roma per avvertire dell’imminente attacco da parte degli Etruschi. La spina, che si sarebbe conficcata nel piede durante il percorso, verrà tolta solo a missione ultimata, a sottolineare l’eroismo del giovane e il suo sprezzo del dolore.

Quale che sia l’identità del ragazzo, è indubbio che quel gesto banale di estrarre una spina dal piede abbia ispirato gli artisti per secoli.
È presente in tante chiese romaniche, soprattutto in quelle lungo le vie di pellegrinaggio, sotto forma di bassorilievo nei portali. In questo contesto la spina rappresenta il peccato o l’inganno della ricchezza: il fedele è chiamato quindi a fermare il cammino per liberarsi dal peccato e dalle tentazioni, prima di proseguire. Eccolo nella ghiera del portale della Basilica di Vézelay, in Francia.

Qui è in un rilievo dell’Abbazia di Cluny.

Mentre questo è a Milano, su uno dei portali della Basilica di Sant’Ambrogio.

Lo stesso significato religioso è presente anche nello spinario del mosaico pavimentale del Duomo di Otranto. In questo caso l’uomo che si toglie la spina corrisponde al mese di marzo nella parte dedicata al ciclo dei mesi.

È tutto enormemente più schematico e grezzo, ma il rimando è sempre al nostro antico ‘cavaspino‘. Stessa cosa nel mese di marzo della Fontana Maggiore di Perugia di Nicola e Giovanni Pisano del 1278.

Naturalmente ricompare nel Rinascimento, all’interno dell’ampia operazione di recupero della cultura classica. La prima apparizione si trova nientemeno che nella formella di Filippo Brunelleschi creata nel 1401 per il concorso per la porta Nord del Battistero di Firenze (competizione poi vinta da Lorenzo Ghiberti).Nella scena del Sacrificio di Isacco, nell’angolo in basso a sinistra, si può osservare un uomo seduto, intento a levarsi una spina dal piede.

Non si sa quale copia abbia visto Brunelleschi. Agli Uffizi se ne conserva una versione marmorea ma è certo che lo Spinario capitolino era conosciuto fin dalla fine del XII secolo, quando viene rinvenuto dal viaggiatore inglese Magister Gregorius da Oxford che lo cita nel suo De mirabilibus urbis Romae, anche se la vista dei testicoli che pendono tra le gambe hanno portato lo studioso a ritenere che si trattasse di una raffigurazione di Priapo.

Queste le parole con cui descrive lo Spinario:“De ridiculoso simulachro Priapi. Est etiam aliud aeneum simulacrum, valde ridiculosum, quod Priapum dicunt. Qui dimisso capite velut spinam calcatam educturus de pede, asperam lesionem patientis speciem representat. Cui si demisso capite velut quid agat exploraturus suspexeris, mirae magnitudinis virilia videbis.” 
Cioè: “La buffa statua di Priapo. C’è pure un’altra statua di bronzo, assai buffa, che si dice raffiguri Priapo. Egli, a capo chino, mentre sta per estrarre dal piede una spina appena calpestata, rappresenta l’immagine di chi sopporta un’acuta ferita. Se lo guardi con la testa chinata, come se tu cercassi di distinguere bene cosa vuol fare, potrai vedere le sue parti genitali di una misura notevole“.

Nel frattempo, nel 1471, papa Sisto IV sposta dal Laterano al Campidoglio la sua collezione di marmi e bronzi antichi per farne dono al popolo romano. Tra questi anche lo Spinario. Ed è qui che l’avrebbe visto Luca Signorelli, un altro artista rinascimentale, mentre era a Roma per disegnare statue e rovine. Affascinato da quel personaggio lo inserisce nelle scene sacre più diverse come un tondo con Madonna e Bambino del 1492 e un Battesimo di Cristo del 1508.

Un altro cavaspino è presente in un frammento della Pala Bichi, un’opera smembrata risalente al 1488-1489. Come quello del tondo, l’uomo in realtà non sta togliendo la spina ma sta compiendo l’operazione precedente e cioè togliersi la scarpa.

Non abbiamo più i disegni di Signorelli ma possiamo vedere simili studi sullo Spinario negli schizzi di Jan Gossaert (noto come Mabuse), il primo pittore fiammingo ad andare a Roma.Siamo nel 1509, l’epoca di papa Giulio II e dei grandi cantieri del Vaticano. Il corpo è più muscoloso dell’originale, ma è notevole il fatto che persino un artista del nord Europa, proveniente da tutt’altra cultura, sia stato attratto da quel bronzo.

Poco dopo cominciano a circolare le prime incisioni dello Spinario capitolino, come quella di Marco Dente del 1515-1527 con una vista laterale della statua (che improvvisamente ha sviluppato una schiena michelangiolesca).

… o quella più tarda di Diana Scultori Ghisi, datata 1581, conosciuta anche col titolo “Schiavo che rimuove una spina dal piede”. Grazie a queste opere, riprodotte in gran numero, la fama dello Spinario si diffonde a macchia d’olio.

Tante sono anche le copie tridimensionali della stessa epoca, come questa in avorio, di un autore tedesco.

La posa dello Spinario assume una tale forza visiva che gli artisti cominciano ad attribuirla anche a Venere. Eccola in due incisioni cinquecentesche mentre si asciuga un piede dopo il bagno e mentre si toglie una spina (secondo il mito, dalle gocce del suo sangue, cadute su una rosa bianca, nasceranno le rose rosse).

Con il Ritratto del cardinale Antonio Pucci di Pier Francesco Foschi del 1540, facciamo un salto di qualità. Lo Spinario infatti non è presente come iconografia, come gesto applicato a un personaggio, ma come citazione dell’opera originale, presente in miniatura sul tavolo del porporato a simboleggiarne la vasta cultura.

Lo Spinario non smette di affascinare gli artisti neanche in età barocca. Ecco gli schizzi di Peter Paul Rubens del 1608 in cui il ragazzo appare simile alla versione capitolina (ma con i capelli che scendono verso il basso) e anche con una posa differente, voltato a guardare l’osservatore mentre asciuga il piede con una pezza.

L’olandese Pieter Claesz, invece, lo inserisce in una natura morta del 1628. Stavolta si tratta di un gesso di grosse dimensioni posato su un tavolo assieme a tanti altri oggetti, a creare una splendida vanitas.Ci sono gli strumenti dell’artista: lo Spinario, la bacchetta reggipolso, la tavolozza con i pennelli e il quaderno dei disegni.  Ci sono strumenti musicali posati per terra, tra i quali un violino e un liuto capovolto. E poi libri, un’armatura e un bellissimo calice römer.Ma se tutto questo simboleggia la vita attiva del pittore, ecco che intervengono alcuni oggetti che alludono alla caducità della gloria e della vita stessa: il teschio, la lucerna appena spenta e l’orologio.

Nel passaggio al secolo successivo e con la crescita dell’interesse verso l’arte classica, lo Spinario non può che rivivere un nuovo momento di gloria. Il primo che lo ripropone è Giovanni Paolo Pannini nella sua celebre Galleria di vedute di Roma antica del 1758.Si tratta di una sorta di museo immaginario che raccoglie i monumenti romani in forma di dipinti e le sculture più famose: una sorta di raccolta di souvenir classici ideata per il conte Étienne François de Choiseul. Ovviamente non poteva mancare lo Spinario, collocato su un piedistallo nell’angolo in basso a destra.

Nel dipinto dell’inglese Johan Zoffany del 1772 che raffigura Gli accademici della Royal Academy, lo Spinario è citato invece nella posa del modello sulla destra, a suggerire l’importanza della cultura classica nella formazione degli artisti.

Pochi anni dopo, esattamente nel 1785, lo Spinario capitolino è raffigurato con grande precisione in un’incisione di Francesco Piranesi, figlio di Giovanni Battista. Nel testo che accompagna la stampa il ragazzo è presentato come un atleta vittorioso che potrebbe essersi punto il piede nel corso di una competizione.

Una statua così attraente non poteva che far venire l’acquolina in bocca anche a Napoleone. E così lo Spinario fu portato nel 1798 a Parigi, per arricchire il Museo Universale sognato dal futuro imperatore. Per fortuna, grazie all’interessamento di Antonio Canova, nel 1815 il bronzo è ritornato a Roma.
Da quel momento farà parte integrante dello studio di qualsiasi aspirante artista, tanto che nel 1839 ne uscirà pure una versione ‘a raggi X‘.

Non si tratta di un’immagine satirica ma di una tavola tratta da “Elementi di anatomia fisiologica applicata alle belle arti figurative” di Francesco Bertinatti (anatomista) e Mecco Leone (artista), un genere a metà strada tra scienza e arte diffuso nella metà del XIX secolo. Dello Spinario hanno realizzato addirittura due vedute, in modo da mostrare al meglio ogni articolazione.

Nel frattempo era diventato talmente comune da essere citato anche in tanti quadretti di genere.

Una delle ultime apparizioni del giovane cavaspino è di un insospettabile Gustav Klimt. Nella sua Allegoria della scultura del 1889, la scultura è personificata da una figura femminile nuda con gioielli vagamente grecizzanti. Dietro di lei statue e rilievi classici in marmo, mentre accanto spicca il piccolo bronzo, visto di fronte. Un omaggio allo Spinario capitolino di grandissima raffinatezza.

Sono pochissimi i casi in cui un personaggio del mondo antico riesce ad attraversare senza soluzione di continuità tutta la storia dell’arte. L’appartenenza a una civiltà pagana tendeva, infatti, a far scomparire questi soggetti nelle epoche in cui l’arte era più orientata verso i temi sacri, specialmente nel Medioevo.  Abbiamo osservato questo fenomeno, tra i tanti, con le Grazie, la Medusa.
Ma lo Spinario fa eccezione grazie forse alla giovane età e alla semplicità dell’atto che sta compiendo, un gesto che si è ammantato di volta in volta di nuovi significati, anche opposti, passando dall’allegoria di stoicismo al simbolo di fragilità e inesperienza.

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