I buchi neri

I buchi neri, misteriosi e affascinanti, sono regioni dello spazio in cui la forza gravitazionale è così intensa da non permettere neppure alla luce di sfuggire. Queste entità cosmiche, predette dalla teoria della relatività generale di Einstein, giocano un ruolo cruciale nella comprensione della fisica del nostro universo.

I buchi neri si formano quando una stella massiccia esaurisce il combustibile nucleare e collassa sotto la propria gravità, creando una singolarità puntiforme con densità infinita.

Ci sono due principali classificazioni di buchi neri: quelli stellari, risultanti dal collasso di stelle massicce, e quelli supermassicci, presenti al centro delle galassie.

La caratteristica più sorprendente dei buchi neri è il cosiddetto “orizzonte degli eventi”, una regione oltre la quale nulla può sfuggire alla gravità del buco nero. Questa zona è il punto di non ritorno, e una volta attraversato, qualsiasi oggetto è destinato a cadere irrevocabilmente nel buco nero.

I buchi neri variano in dimensioni, dai buchi neri stellari con qualche volta la massa del nostro sole, ai buchi neri supermassicci che possono contenere milioni o miliardi di masse solari. La relazione tra la massa di un buco nero e le proprietà della sua singolarità è uno degli aspetti più studiati della loro natura.

Sebbene i buchi neri stessi non emettano luce, le regioni circostanti possono generare radiazioni. I buchi neri stellari, ad esempio, possono emettere raggi X quando estraggono materia da una stella compagna. Questo processo è noto come accrescimento.

I buchi neri hanno catturato l’immaginazione pubblica, apparendo in film, libri e altre opere di fantasia. La loro natura enigmatica e il potere gravitazionale estremo li rendono elementi affascinanti nella narrazione scientifica e nella cultura popolare. Fino a poco tempo fa, osservare direttamente un buco nero era sfidante. Tuttavia, le tecnologie moderne e l’evoluzione degli strumenti scientifici hanno reso possibile la rilevazione diretta. Nel 2019, la collaborazione Event Horizon Telescope ha presentato la prima immagine di un buco nero, situato al centro della galassia M87.

I buchi neri supermassicci, presenti nei centri galattici, svolgono un ruolo fondamentale nella formazione e nell’evoluzione delle galassie. La loro presenza influenza la struttura stessa delle galassie e la formazione delle stelle in esse.

Nonostante i progressi significativi nella comprensione dei buchi neri, rimangono ancora molti enigmi. La natura della singolarità al loro centro e la possibile connessione tra la fisica quantistica e la gravità generale sono aree di attiva ricerca.

I buchi neri rappresentano uno dei fenomeni più estremi e affascinanti dell’universo. La loro scoperta e comprensione continuano a sfidare e arricchire la nostra visione dell’astronomia e della fisica teorica, aprendo nuovi orizzonti nella ricerca scientifica.

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I campi magnetici di Sagittarius A*

Una nuova veduta di Sagittarius A*, il buco nero supermassiccio che si annida al centro della nostra galassia, ha permesso di scoprire che ai margini di questo mostro sono presenti campi magnetici intensi organizzati a spirale, di struttura analoga a quelli già osservati attorno al buco nero nella galassia M87. La nuova immagine che è stata ottenuta dalla collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) è la prima in luce polarizzata, una tecnica che permette di ricavare informazioni aggiuntive sull’intensità e l’orientamento delle linee di campo. 

La scoperta, pubblicata su due diversi articoli scientifici sull’Astrophysical Journal Letters, suggerisce che questa somiglianza non riguardi solo gli unici due buchi neri di cui sia stato finora possibile fotografare l’orizzonte degli eventi, ma si estenda anche agli altri: la presenza di intensi campi magnetici potrebbe essere comune a tutti i buchi neri.

La nuova veduta del buco nero Sagittarius A* nella luce polarizzata ottenuta dall’EHT. Questa è la prima volta che gli astronomi sono riusciti a misurare la polarizzazione, una caratteristica dei campi magnetici, così vicino al bordo di Sagittarius A*. Le linee sovrapposte nell’immagine segnano l’orientamento della polarizzazione, che è legata al campo magnetico attorno all’ombra del buco nero.
© EHT Collaboration

EHT: che cos’è e cosa ha fatto finora. Le osservazioni che hanno reso possibile l’immagine che vedete qui sopra (e nel confronto in apertura di pagina) sono state compiute nel 2017 da una rete di otto radiotelescopi sparsi per tutta la Terra, che unendo le forze creano un telescopio virtuale di dimensioni planetarie, l’EHT. Negli ultimi anni questo progetto ha studiato l’ambiente circostante di due buchi neri supermassicci, Sagittarius A* (l’asterisco si pronuncia star), che si trova al centro della Via Lattea, e M87*, situato al centro della galassia ellittica supergigante Virgo A (o M87).

Il buco nero M87*, un mostro di 6,5 miliardi di masse solari in una galassia a 56 milioni di anni luce da noi, è il protagonista della prima, storica immagine dell’ombra di un buco nero supermassiccio, “la foto del secolo”, pubblicata il 10 aprile 2019. Nel 2022 l’EHT ha pubblicato la prima foto del “nostro” buco nero, Sagittarius A*, un “pozzo” di 4 milioni di volte la massa del Sole che ingloba materia a 27.000 anni luce dalla Terra, più di mille volte più piccolo e meno massiccio di M87*.

Materiale in uscita. Nel 2023, una nuova immagine aveva catturato per la prima volta un potentissimo getto di materiale espulso dalla regione attorno a M87 – un getto relativistico. Gli studi sulle emissioni di luce attorno a questo buco nero avevano rivelato che i campi magnetici che lo circondano gli permettono di lanciare potenti getti di materiale nell’ambiente circostante. Anche se la caratteristica più spesso associata ai buchi neri supermassicci è quella di inghiottire materia e radiazioni nelle immediate vicinanze, questi mostri celesti possono emettere getti di plasma potentissimi che si estendono ben oltre le galassie in cui si annidano.

Su questo lavoro si fondano le nuove analisi, che ipotizzano che lo stesso sia possibile anche per Sagittarius A*.

Spiccata somiglianza. «Quello che vediamo ora è che ci sono intensi e organizzati campi magnetici a spirale vicino al buco nero al centro della Via Lattea», dice Sara Issaoun, astronoma del NASA Einstein Fellow dell’Harvard & Smithsonian Center for Astrophysics e membro della collaborazione EHT. «Abbiamo appreso che Sagittarius A* ha una struttura di polarizzazione sorprendentemente simile a quella osservata nel più grande e potente buco nero M87*, e anche che campi magnetici intensi e ordinati sono essenziali per le interazioni tra i buchi neri e il gas e la materia attorno ad essi».

Vedere l’energia. Come spiega l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «la luce diventa polarizzata quando passa attraverso determinati filtri: è ciò che accade, per esempio, quando attraversa le lenti degli occhiali da sole polarizzati, che perciò riducono i riflessi e l’abbagliamento e ci consentono di vedere meglio. Un fenomeno analogo accade quando la luce attraversa regioni molto calde dello spazio che sono pervase dai campi magnetici». Questo permette agli astronomi di osservare con un incredibile dettaglio quello che accade attorno ai buchi neri e di mappare le loro linee di campo magnetico.

«Mostrando la luce polarizzata dai gas roventi attorno ai buchi neri, stiamo deducendo direttamente la struttura e l’intensità dei campi magnetici che attraversano il flusso di gas e materia di cui il buco nero si nutre e che espelle» dice Angelo Ricarte, scienziato della Harvard Black Hole Initiative e co-coordinatore del progetto. «La luce polarizzata ci insegna molto di più sull’astrofisica, sulla proprietà dei gas e sui meccanismi che avvengono mentre il buco nero si nutre».

Un’ardua impresa. Riuscirci non era scontato, perché Sagittarius A* non rimane fermo e in posa per le foto: più piccolo di M87* inghiotte meno materia ma lo fa più rapidamente, e cambia di continuo. Per ottenere la nuova immagine sono stati necessari strumenti ancora più sofisticati di quelli messi in campo per M87*, con particolare riconoscimento al lavoro di due telescopi situati in Cile, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array (ALMA), di cui l’ESO è partner, e l’Atacama Pathfinder Experiment (APEX), gestito dall’ESO (European Southern Observatory).

Molte cose in comune. Le nuove osservazioni potrebbero consentire di arrivare a una regola più generale che riguarda i buchi neri.

«Con un campione di due buchi neri, con masse molto diverse e galassie ospiti molto diverse, è importante determinare su che cosa convergono e su cosa no» conclude Mariafelicia De Laurentis, professore di astronomia e astrofisica all’Università di Napoli Federico II, ricercatrice all’INFN Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e viceresponsabile scientifica dell’EHT.

«Dal momento che entrambi ci stanno indirizzando verso forti campi magnetici, questo suggerisce che ciò possa essere una caratteristica universale e forse fondamentale dei sistemi di questo tipo. Una delle somiglianze tra questi due buchi neri potrebbero essere i getti (relativistici), ma mentre ne abbiamo già fotografato uno molto lampante in M87*, dobbiamo ancora trovarlo in Sagittarius A*».

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La storia delle immagini dei buchi neri

La prima scienza di Euclid: 5 foto mozzafiato

Euclid, il telescopio spaziale dell’ESA, inaugura la sua missione scientifica con cinque vedute senza precedenti dell’Universo, parte della sua campagna di osservazioni preliminari. Le immagini accompagnano i primi dati scientifici della missione, resi pubblici oggi e dettagliati in 10 articoli scientifici di prossima pubblicazione. Questo malloppo di informazioni scientifiche arriva a meno di un anno dal lancio del telescopio e sei mesi dopo le sue prime immagini a colori del cosmo.

Che cos’è Euclid. Euclid è un telescopio spaziale costruito e gestito dall’Agenzia Spaziale Europea con il contributo della NASA. È stato pensato per studiare l’espansione dell’universo, la materia oscura e l’energia oscura, tra i temi di maggiore interesse dell’astrofisica moderna. È partito il 1 luglio 2023 a bordo del Falcon 9 di SpaceX che lo ha messo in orbita a 1,5 milioni di chilometri dalla Terra. Nella sua vita operativa di sei anni mapperà circa 15.000 gradi quadrati di cielo extragalattico, pari al 36% di tutta la volta celeste, osservando 12 miliardi di galassie.

L’ammasso di galassie Abell 2390, a 2,7 miliardi di anni luce. La foto comprende circa 50.000 galassie, molte delle quali di dimensioni analoghe alla Via Lattea. Ammassi galattici come questo contengono una quantità esorbitante di massa, fino a 10 trilioni di volte quella del Sole, in buona parte sotto forma di materia oscura. Ecco perché sono candidati ideali per gli studi di Euclid.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Chi ben comincia… Le nuove immagini ottenute da Euclid e prodotte in appena 24 ore di osservazioni sono almeno quattro volte più nitide di quelle catturate da telescopi terrestri. Comprendono grandi porzioni di cielo che scrutano nella luce visibile e in quella infrarossa, a profondità straordinarie.
In un singolo giorno, il telescopio spaziale ha prodotto un catalogo che comprende 11 milioni di oggetti nella luce visibile e 5 milioni in quella infrarossa. Queste prime osservazioni hanno preso di mira 17 oggetti astronomici, dalle vicine nubi di gas e polveri agli ammassi distanti di galassie, in preparazione alla principale campagna di osservazioni del telescopio.

Un’abilità speciale. «La bellezza di Euclid è che copre vaste regioni del cielo con grande dettaglio e profondità, e può catturare un’ampia gamma di oggetti diversi tutti nella stessa immagine – da quelli deboli a quelli luminosi, da lontani a vicini, dai più massicci ammassi di galassie ai piccoli pianeti. Otteniamo una visione molto dettagliata e molto ampia allo stesso tempo. Questa straordinaria versatilità ha portato a numerosi nuovi risultati scientifici che, se combinati con i risultati delle indagini di Euclid nei prossimi anni, modificheranno in modo significativo la nostra comprensione dell’Universo» spiega Carole Mundell, direttore scientifico di ESA.

Il gruppo di galassie Dorado è uno dei più ricchi dell’emisfero meridionale. Euclid cattura in questa veduta le loro interazioni in corso, che lasciano come strascichi meravigliose code di marea (espulsioni di gas: tra le regioni più fertili dell’universo per la nascita di nuove stelle). Capire come le galassie evolvono e si scontrano nel tempo migliora i modelli sulla storia dell’Universo.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Un assaggio delle sue capacità. Le nuove immagini provano che il telescopio Euclid è capace di trovare pianeti che orbitano liberi da stelle in vaste regioni di formazione stellare; che riesce a mappare diverse popolazioni stellari per capire come le galassie sono cambiate nel tempo; che può individuare specifici ammassi di stelle in lontani ammassi di galassie; riconoscere nuove galassie nane mai identificate finora; seguire la luce di stelle strappate dalle loro galassie madri.

«Le immagini e i risultati scientifici associati sono straordinariamente diversi in termini di oggetti e distanze osservate. Includono una varietà di applicazioni scientifiche e allo stesso tempo rappresentano appena 24 ore di osservazioni. Forniscono solo un’idea di ciò che Euclid può fare. Non vediamo l’ora di avere i prossimi sei anni di dati!» dice Valeria Pettorino, astrofisica e Project Scientist del progetto Euclid.

L’ammasso di galassie Abell 2764, a 3,5 miliardi di anni luce, è una regione di spazio molto densa contenente centinaia di galassie orbitanti all’interno di un alone di materia oscura. Euclid ha catturato una vasta gamma di oggetti in questo angolo di cielo, come diverse galassie in background dalla luce molto tenue oltre a una stella molto luminosa vicina all’ammasso, Beta Phoenicis. La dimostrazione di come il telescopio riesca a “tenere insieme” oggetti di luminosità molto diverse in una stessa veduta, senza lasciarsi accecare dalle fonti più abbaglianti.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Cacciatore di materia ed energia oscure. Possiamo pensare ad Euclid come a un “detective dell’Universo oscuro” con una missione, se non impossibile, almeno assai ardua: indagare in che modo materia ed energia oscura abbiano agito per creare gli ammassi di galassie che noi vediamo. Sappiamo infatti che il 95% dell’Universo è fatto di queste misteriose entità la cui presenza, però, modifica in maniera molto sottile l’aspetto e il moto degli oggetti celesti, ed è pertanto di difficile comprensione.

Come spiegato su Asimmetrie, la rivista dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, «mentre la materia, oscura o visibile che sia, tende attraverso l’attrazione del campo gravitazionale a favorire la formazione delle galassie e la loro concentrazione in ammassi, l’energia oscura si opporrebbe a questa spinta, limitando la formazione di strutture cosmiche su larga scala. A seconda di quale di queste due “forze” domina, si ha una decelerazione o un’accelerazione nell’espansione dell’universo. Questo gioco di forze ha lasciato traccia di sé nella storia dell’universo: una traccia leggibile attraverso l’osservazione di come è distribuita la materia a diverse distanze da noi».

Qui Euclid ha osservato NGC 6744, una delle più grandi galassie a spirali oltre il nostro vicinato spaziale, a 30 milioni di anni luce. Questo è proprio il tipo di galassia che forma la maggior parte delle stelle nell’Universo vicino, e il telescopio è riuscito a catturare alcuni suoi magnifici dettagli, come le strisce di polvere simili a piume che emergono come “speroni” dai bracci della spirale. Le osservazioni consentiranno non solo di contare le singole stelle all’interno di NGC 6744, ma anche di tracciare la più ampia distribuzione di stelle e polvere nella galassia.
© ESA/Euclid/Euclid Consortium/NASA, image processing by J.-C. Cuillandre (CEA Paris-Saclay), G. Anselmi; CC BY-SA 3.0 IGO or ESA Standard Licence

Lenti e onde. Per rivelare come materia ed energia oscura influiscono sull’Universo visibile, nei prossimi sei anni Euclid osserverà forme, distanze e moto di miliardi di galassie negli ultimi 10 miliardi di anni luce. E arriverà a creare la più grande mappa 3D del cosmo mai realizzata.

Lo farà sfruttando il fenomeno delle lenti gravitazionali: oggetti celesti che, per la massa elevatissima, esercitano una forza di gravità tale da deviare la luce che passa loro accanto, e che sono utilissimi per studiare la distribuzione di materia e gravità nell’Universo.

Come spiegato su Media INAF, Euclid ci permetterà di scoprire un enorme numero di lenti gravitazionali, più di centomila, aumentando di oltre cento volte il numero di lenti attualmente conosciute. Il telescopio analizzerà anche le oscillazioni acustiche della materia barionica, periodici raggruppamenti di materia che hanno avuto origine quando le onde di pressione acustica attraversarono l’Universo primordiale e che hanno lasciato un segno nel fondo cosmico a microonde, fondamentali per lo studio dell’evoluzione cosmica.

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