L’arte di mentire: perché diciamo bugie?
La bugia perfetta? Deve essere “incorporata” in fatti veri, essere chiara e semplice da capire e contribuire a costruire un quadro plausibile. Deve essere detta di persona, preferibilmente a conoscenti e amici. Una delle più importanti ricerche recenti sulle bugie ha infatti messo a fuoco chi siano i mentitori “di professione” e come fanno a ingannare gli altri. L’hanno formulata Brianna Verigin e Ewout Meijer dell’Università di Maastricht (Paesi Bassi), studiando 194 persone, alcune delle quali si dichiaravano ottimi bugiardi. «A volte, anche in lavori scientifici, si legge che ognuno di noi mente circa 1 o 2 volte al giorno. Ma fare una media non è corretto: la gran parte delle bugie viene pronunciata da pochi individui, nel nostro studio dal 40% delle persone», afferma Verigin.
Anche se tutti, di tanto in tanto, non possono evitare qualche bugia, esiste dunque una buona quota di “bugiardi matricolati”. La strategia più usata tra tutti coloro che, nello studio di Verigin e Meijer, ammettevano di mentire era quella di tralasciare alcune informazioni (bugie di omissione). Ma i bugiardi esperti hanno aggiunto a ciò la capacità di tessere una «storia credibile impreziosita dalla verità», come dicono i ricercatori, rendendo le bugie più difficili da individuare. Del resto, per il vocabolario, la bugia è “una falsa affermazione detta per trarre altri in errore, di solito a proprio vantaggio”. Si tratta quindi di un’azione consapevole: chi mente ha un’alternativa, ma sceglie deliberatamente di non adottarla (ecco perché dire il falso è considerato sbagliato).
Bugiardi da record. Insomma, mentiamo perché ci serve. E perché ci è utile per primeggiare sugli altri. Quella che ci permette di mentire, per gli antropologi, è proprio la cosiddetta intelligenza machiavellica, la capacità di pensare a una strategia ingannatrice che possa portare vantaggi. Anzi, è stato addirittura ipotizzato che la necessità di sviluppare inganni ai danni di altri membri del gruppo per poter primeggiare sia stata una delle molle che ci ha consentito di sviluppare l’intelligenza. Vincere con l’astuzia è infatti un ottimo modo di evitare un conflitto aperto. Del resto, alcuni studi dimostrano che i bravi bugiardi hanno più facilità a ottenere un lavoro e trovare partner sessuali.
E (chi più e chi meno, come abbiamo visto) lo facciamo sempre, anche quando non ce ne sarebbe bisogno. In un celebre esperimento, condotto ormai circa vent’anni fa dallo psicologo Robert Feldman all’Università del Massachusetts, ad alcuni studenti è stato chiesto di parlare a uno sconosciuto per 10 minuti.
Le conversazioni sono state filmate di nascosto e poi riesaminate insieme a ciascuno studente per contare le bugie dette. Circa il 60% dei partecipanti ha mentito almeno una volta e le bugie andavano dalle esagerazioni intenzionali alle informazioni totalmente inventate.
Donne e uomini: chi mente di più? Inoltre, maschi e femmine mentivano con la stessa frequenza. Del resto, consideriamo le bugie per “autopromuoverci” praticamente inevitabili, per esempio quelle dette sul lavoro. Oppure, incontrando un possibile partner, potremmo affermare: “Sì, questo è il mio vero colore di capelli”. E così ci appaiono necessarie le menzogne di cortesia, pronunciate per esempio quando si conoscono persone nuove (“Ma che bella bambina è sua figlia!”). Non è sorprendente, visto che a mentire “a fin di bene” si impara fin dall’infanzia (“Non dire a Mario che è grasso”, “Dì alla zia che ti piace la camicia che ti ha regalato”).
Ma non mentiamo solo agli altri, tutti mentiamo anche a noi stessi. Molti studi provano che, mediamente, le persone si ritengono migliori di quanto non siano davvero, soprattutto quando si tratta delle proprie qualità morali (generosità, altruismo…). Il vantaggio evolutivo dell’autoinganno, secondo il celebre neuroscienziato Usa Michael Gazzaniga, sta nel fatto che se non si è consapevoli di mentire, non si può tradirsi con la voce o con le espressioni del volto, facendo trasparire – per esempio – la paura di essere scoperti.
Ingannare se stessi. Tra l’altro, mentire a se stessi ci fa apparire migliori ai nostri stessi occhi come ha dimostrato Dan Batson dell’Università del Kansas con un esperimento (più volte replicato con i medesimi risultati da vari studiosi nel mondo). Ha fatto credere a un gruppo di studenti che dovevano assegnare un compito a se stessi e un altro lavoro a uno studente sconosciuto che non avrebbe mai saputo a chi doveva quella incombenza. Un compito era descritto come noioso, l’altro dava diritto a ottenere un biglietto della lotteria. Agli studenti veniva anche data una moneta, dicendo che potevano tirare a sorte tra i due compiti (ma non era obbligatorio). Sorpresa: anche tra coloro che sceglievano di tirare a sorte erano molti di più coloro che assegnavano a se stessi il compito più semplice e con il premio finale, indipendentemente dal risultato apparso sulla moneta. Si sentivano cioè onesti solo per il fatto di averla lanciata anche se poi non ne rispettavano il verdetto.
Mentivano quindi a se stessi per migliorare l’immagine che avevano di sé.
Del resto, le persone si autoingannano anche sulla propria capacità di smascherare chi mente, credono cioè di essere abbastanza abili. Ma gli studi hanno dimostrato che, mediamente, non siamo molto bravi a capire chi mente e chi no. Di solito il livello di successo è lo stesso di chi tira a indovinare. Perfino gli investigatori non sono granché migliori nell’individuare un bugiardo rispetto alle persone comuni. Secondo alcune statistiche statunitensi, la capacità dei detective di polizia di smascherare un colpevole varia tra il 45 e il 60%, con una media di appena il 54%.
Smascherare un bugiardo. Esistono però persone dall’abilità eccellente, dei veri e propri cacciatori di bugie. Ma si tratta di una qualità rarissima, su 12.000 persone esaminate dal neuroscienziato Paul Ekman, dell’Università della California, solo 20 erano abilissimi “smascheratori”. Forse perché riuscivano istintivamente a cogliere cambiamenti minimi nelle espressioni facciali e negli occhi dei mentitori. Per esempio quelli individuati l’anno scorso da un team di scienziati studiando con l’eye tracker, un apparecchio che registra caratteristiche e movimenti delle pupille, le persone intente a dire bugie. Risultato: i mentitori avevano la pupilla più stretta, fissavano più a lungo un determinato punto prima di spostare lo sguardo e gli occhi vagavano intorno di meno rispetto a chi dice la verità. Non era invece importante quante volte sbattessero le palpebre.
Con indizi così sfumati, non è sorprendente che non sia per niente facile stanare un bugiardo, specialmente in alcune situazioni. Per esempio un rapporto sentimentale. Le ricerche dimostrano chiaramente che i più creduloni in assoluto sono proprio gli innamorati. Lo hanno scoperto alcuni anni fa gli scienziati dell’Università di Monaco (Germania). Somministrando ossitocina (l’ormone che viene prodotto in grande quantità quando si crea un rapporto stabile) a un gruppo di volontari maschi e femmine, hanno verificato che dopo aver ascoltato alcuni attori dire bugie, gli uomini riconoscevano meno le frottole dette dalle donne che quelle dette dagli uomini, le donne viceversa.
Verità a ogni costo? Ma perché non siamo bravi a scoprire le bugie? Forse perché, dicono gli antropologi, i nostri antenati vivevano in gruppi promiscui dove era relativamente facile capire un inganno dai comportamenti altrui. Oggi che viviamo dietro a porte chiuse e in comunità ben più numerose, ingannare è molto più facile.
Resta il fatto che certe verità forse è più comodo non conoscerle: vogliamo davvero sapere la vera risposta alla domanda-saluto “E tu, come stai?”. E soprattutto, è più conveniente non dirle. Come fa notare Michael Gazzaniga: «La verità rende liberi, ma detta nel momento o alla persona sbagliata (per esempio a un irascibile capoufficio) potrebbe anche rendere… liberi con quattro figli e senza stipendio».
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10 cose che (forse) non sai sulle bugie
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