Le aree di diffusione delle zanzare della malaria in Africa sono destinate a restringersi a partire dal 2025 e fino al 2100, in una misura maggiore rispetto a quanto stimato finora.
Lo rivelano una serie di modelli ambientali e idrologici che prendono in considerazione fattori finora trascurati negli studi di previsione sulla trasmissione di questa zoonosi, come la portata dei fiumi o l’evaporazione delle acque piovane. I risultati del lavoro, coordinato dall’Università di Leeds, sono stati pubblicati su Science.
Lasciate senz’acqua (come l’uomo). La malaria è una malattia da vettori provocata dai parassiti protozoi del genere Plasmodium e trasmessa dalla zanzara anofele, che nel 2022 ha causato 249 milioni di casi e 608.000 decessi in tutto il mondo. Il 95% dei casi riguarda l’Africa, anche se fortunatamente, negli ultimi anni, grazie agli sforzi di prevenzione e agli investimenti sui vaccini la trasmissione è rallentata.
Gli esperti di zoonosi ritengono che alcune conseguenze della crisi climatica, come la siccità, porteranno a un declino globale delle aree dove prosperano le zanzare della malaria, che nelle prime fasi di vita si sviluppano in ambiente acquatico.
Troppa acqua, o troppo poca. Proprio perché si diffonde attraverso la zanzare, la malaria è una delle malattie più sensibili ai cambiamenti climatici: le alterazioni nelle piogge e con esse la disponibilità di acqua stagnante possono espandere o restringere le aree che gli insetti usano per accoppiarsi e deporre le uova (ecco perché, per esempio, l’allarme malaria aumenta nei territori colpiti dalle alluvioni).
Tuttavia, finora i modelli che predicono l’impatto dei cambiamenti climatici sulla diffusione della malaria includevano soltanto valutazioni dell’acqua superficiale basate sulle precipitazioni, ignorando per esempio l’apporto dei fiumi.
Dove concentrare gli sforzi. Mark W. Smith, geografo esperto di sistemi idrici dell’Università di Leeds (Regno Unito), e colleghi, hanno inserito variabili come il deflusso superficiale delle acque piovane, la loro evaporazione e la portata dei fiumi, che hanno reso più precisi i modelli di previsione delle aree a rischio malaria, specialmente nelle zone densamente popolate vicino ai grandi sistemi fluviali, come quello nutrito dal Nilo.
È emerso che i cambiamenti nelle zone favorevoli alle zanzare dovuti alla crisi climatica saranno più diffusi nel continente di quanto si credesse, estesi dall’Africa occidentale fino al Sudan meridionale a est. Inoltre, l’areale delle zanzare anofeli è più sensibile ai diversi futuri scenari di emissioni di gas serra di quanto si credesse.
La coperta è corta. «Sebbene una riduzione complessiva del rischio futuro di malaria possa sembrare una buona notizia, avverrebbe al costo di una ridotta disponibilità di acqua e di un rischio maggiore di un’altra malattia significativa, la dengue» spiega Simon Gosling, Professore di Rischi Climatici e Modelli ambientali dell’Università di Nottingham (Regno Unito), coautore dello studio.
Negli ultimi vent’anni, infatti, proprio per l’aumento delle temperature, i casi di febbre dengue sono decuplicati in tutto il mondo.
In piena espansione. La dengue è una malattia di origine virale tipica delle zone tropicali e trasmessa dalla zanzara Aedes aegypti. A differenza della malaria, che predomina nelle località basse e paludose, nei delta dei grandi fiumi, nelle pianure alluvionali da essi percorse e lungo i litorali salmastri, la dengue è tipica delle aree densamente urbanizzate: temperature più alte prolungano il periodo di attività delle zanzare e aumentano le loro popolazioni.
L’oracolo dell’oceano. Un altro studio appena pubblicato su Science ha trovato una forte correlazione tra le anomalie di temperatura registrate nell’Oceano Indiano e l’estensione delle epidemie di dengue in entrambi gli emisferi terrestri. In base a un modello matematico sviluppato dall’Unità Malattie infettive dell’Istituto Pasteur di Parigi, anomalie (per eccesso) di temperature nei 3 mesi precedenti la stagione della dengue predicono in modo preciso entità e tempi delle epidemie di dengue in quell’anno per ciascuno degli emisferi, per via degli effetti di questi estremi termici sulle temperature regionali nelle aree tropicali e subtropicali.