Habemus Papam di Ercole Bonjean

  

Habemus Papam

Nell’ampia sala della Circoscrizione Cambiaso risuona un fragoroso applauso. Habemus Papam. I volti di Alessio, Riccardo, Daniele e Graziano diventano luminosi, li abbraccio ad uno ad uno, i miei ex alunni di classe quinta dello scorso anno sono ora campioni liguri, hanno dominato la settima edizione del Campionato Regionale studentesco iscrivendo il nome della loro scuola, la media Giovanni Boine, nel prestigioso Albo d’Oro della manifestazione che ha luogo ogni anno a Genova. I 24 incontri disputati con le altre sei squadre genovesi e spezzine, che avevano superato le precedenti selezioni provinciali, non hanno lasciato adito a dubbi: vincere le 23 partite del totale, un pareggio e nemmeno l’ombra di una sconfitta, è un’ impresa che accade in altri sport, chi è esperto del nobil giuoco sa benissimo che eventi del genere si verificano molto di rado.

Quattro anni prima in una sala ben più modesta, precisamente in un’aula delle scuole elementari di Piazza Roma era iniziato, per cinquanta alunni di classe terza, il primo appuntamento con gli scacchi. Poche scacchiere malridotte ed un maestro innamorato dei piccoli pezzi di legno, avevano iniziato con dei piccoli bambini di solo otto anni un’avventura che non si trova nei libri che raccontano le epiche imprese di grandi campioni del passato e nemmeno nei sacri testi di teoria degli scacchi. Una storia tutta da inventare e da vivere tra i banchi della scuola durante la pausa dopo la mensa, oppure durante l’intervallo. Tra un sorso di caffè e un pezzo di focaccia rispondo alle domande:”Maestro è scacco matto?”. “Sì, osserva, il tuo re non ha più case di fuga”. Nel banco adiacente qualcuno richiede il mio intervento:”Antonio bara”. Guardo il mio piccolo alunno dritto negli occhi e lo redarguisco con calma: “Non è possibile barare è uno dei pregi degli scacchi, Antonio è inutile, oltre che scorretto, tentare di ottenere la vittoria con l’inganno, cerca di permettere alla tua intelligenza di migliorare, chiedi scusa al tuo compagno e dagli la mano in segno di stima. Per domani mi scriverai solo poche righe in cui mi spiegherai le ragioni del tuo comportamento”. Suona la campana, si riparte con l’analisi logica, ma gli scacchi sono ancora con noi in veste di alleati molto potenti: alfieri e regine, torri e cavalli ci aiutano a trovare il soggetto di una frase, a riconoscere il complemento oggetto.

Gli anni scorrono veloci, ora gli alunni si destreggiano con notevole disinvoltura con alfieri, cavalli, re e regine. La scuola elementare sta per terminare e si gioca il torneo conclusivo di fine anno. La nostra aula è bellissima: i bidelli l’hanno tirata a lucido ed hanno preparato dei festoni colorati. Adagiate su dei banchi, con sopra un bel panno verde, troneggiano venticinque meravigliose coppe, cinquanta magliette estive aspettano di essere indossate: i disegni che vi sono incisi sono stati realizzati dagli stessi alunni, rappresentano tutti i pezzi degli scacchi. Alla premiazione i ragazzi sono emozionati ma al tempo stesso i loro occhi esprimono, in modo evidente, il proprio piacere interiore; per ogni alunno c’è più di un premio, scrosciano gli applausi per tutti, a mano a mano che li nomino, nell’ordine imposto dalla classifica finale. Marcello, oggi sorride, ha in mano una piccola grande coppa che stringe con forza e i compagni gli fanno festa. Alla fine usciamo dal protocollo e cantiamo tutti in coro “We are the world”. E’ l’ultimo atto di un’esperienza che è oramai giunta al termine e segna in maniera gioiosa la fine della scuola e l’inizio di una splendida estate fatta di mare, di giochi e di tanto sole.

Quando tutti se ne vanno rimango solo nell’aula, osservo i banchi oramai vuoti, rivedo mentalmente tutti i volti dei miei alunni per la paura, del tutto immotivata, di dimenticarne solo uno; rileggo il biglietto in cui Marcello motiva il suo comportamento. “Scusami maestro, ho barato perché io non capisco niente di scacchi, non sono bravo come i miei compagni.”

Ercole Bonjean

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