Andrea Ceccolini, l’italiano che crea il ghiaccio per salvare il mondo

Sta lavorando a una tecnologia che potrebbe ricreare il ghiaccio dell’Artico e aumentarne lo spessore.  “L’Artico si sta sciogliendo. Entro il 2050, cambierà colore. Vedremo il primo evento di oceano blu, dopo due milioni di anni. Le conseguenze? Enormi, per il riscaldamento globale. Il ghiaccio è l’aria condizionata del mondo. Va protetto, preservato e ripristinato”. 

Lui è Andrea Ceccolini e questa la sua seconda vita. Nella prima ha creato una startup fintech che ha conquistato il mondo. Poi ha lasciato tutto per seguire un piano B e restituire un po’ del suo successo. Informatico appassionato di ambiente, corsa in montagna e clima, ha portato intelligenza artificiale e robotica in una startup che sta creando droni sottomarini per ripristinare il ghiaccio dell’Artico. E per testare la sua tecnologia è andato in Alaska, tra gli Inut, in luoghi estremi. Dove tutto è ghiaccio, la temperatura scende anche -50 °C e il

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Il viaggio nel ghiaccio di Alex Bellini

Mentre leggete queste righe, magari comodamente seduti sul divano, dall’altra parte del mondo l’esploratore Alex Bellini è appena partito per percorrere in bicicletta 1.800 chilometri lungo l’antica rotta che collega Anchorage, la più importante città dell’Alaska, al villaggio di Nome. Terra di slitte trainate da cani, di antichi cercatori d’oro e di cacciatori, questa regione è cruciale per gli equilibri climatici del pianeta.
L’impresa in Alaska è parte del progetto Eyes on Ice (occhi sul ghiaccio), che prevede in tutto tre spedizioni nelle regioni polari e subpolari, allo scopo di testimoniare la loro bellezza e la loro fragilità.
Il prossimo anno, Alex percorrerà la Groenlandia sugli sci mentre nel 2026, sempre sugli sci, tenterà di raggiungere il Polo Nord geografico.
In questa prima missione l’esploratore italiano viaggia con l’amico di infanzia Alessandro Plona, sportivo appassionato di mountain bike, di sci alpinismo.
L’articolo prosegue sotto la diretta prepartenza

Grande amico di Focus, Alex è stato ospite al Focus Live lo scorso novembre. Lo abbiamo incontrato prima della partenza.
 
Qual è l’obiettivo del progetto Eyes on Ice?
Il progetto Eyes on Ice ha lo scopo di far conoscere l’importanza e la fragilità delle regioni polari e subpolari, che svolgono un ruolo chiave nella regolazione del clima della Terra, conservano una biodiversità unica, e danno sostentamento a milioni di persone. È stato ideato da mia moglie Francesca, che da oltre 15 anni mi stimola ad alzare gli occhi dall’esplorazione fine a se stessa e ad attribuirle un senso più ampio. Il progetto prevede tre spedizioni in Alaska, Groenlandia e al Polo Nord: aree fondamentali per il pianeta, su cui però le persone hanno idee molto vaghe. Per esempio, tutti sanno che qui ci sono gli orsi, ma la straordinaria biodiversità di queste zone è invece poco nota. L’esplorazione e l’avventura possono creare occasioni per sensibilizzare su questi argomenti, nella speranza di contribuire alla salvaguardia dei territori. 
 
La prima tappa sarà l’Alaska, che percorrerai su una speciale bicicletta. Perché l’hai scelta?
Nel 2002 e nel 2003 ho fatto due traversate a piedi in Alaska e ci ho lasciato un pezzo di cuore. Ora vado a riprendermelo. Venti anni fa avevo uno scopo diverso: avevo bisogno di capire quale fosse il mio posto nel mondo e quel viaggio mi aveva permesso di guardarmi da punti di vista diversi.

Ora cambia il mezzo ma soprattutto l’obiettivo. L’Alaska congiunge le regioni artiche e subartiche e ciò che accade qui ha conseguenza anche latitudini più meridionali. Questa regione si scalda circa 3 volte più rapidamente della media globale. Il ghiaccio marino si sta ritirando e le coste, non più protette, vanno incontro a fenomeni di erosione. Inoltre si sta sciogliendo il permafrost e questo fenomeno sprigiona metano, che è un potente gas serra, e libera i microrganismi che potrebbero portare malattie. L’Alaska è insomma una regione particolarmente colpita dal cambiamento climatico e mi aspetto quindi di trovare evidenze di quello che sta accadendo, che ha conseguenze molto profonde anche sulle popolazioni.

I circa 1.800 km che Alex Bellini e Alessandro Plona stanno percorrendo in bicicletta. Il percorso è quello della Iditarod race, la corsa dei cani da slitta che si tiene ogni anno in ricordo della vicenda del cane Balto. Lungo questa tratta, nota fin dall’antichità, si muovevano anche i cercatori d’oro.

Partirai da Anchorage per arrivare a Nome. Perché questo percorso?
Il percorso è quello che feci 20 anni fa ed è lo stesso della Iditarod race, famosa corsa dei cani da slitta che si tiene ogni anno a marzo, ispirata alla vicenda del cane Balto, del 1928. In quell’anno, il villaggio di Nome fu colpito da un’epidemia di difterite e 10 gruppi slitte trainate da cani fecero una staffetta per far arrivare il vaccino da Nenana (a nordest di Anchorage) salvando la popolazione. Il percorso, di circa 1.800 km, è stato usato fin dai tempi antichi per caccia e commerci. Su questa stessa rotta inoltre si muovevano i cercatori d’oro a fine ‘800. Iditarod significa “posto molto lontano” nella lingua delle popolazioni native. E lo è davvero. È un luogo selvaggio, ma con alcuni insediamenti ancora abitati, nati per soddisfare i bisogni di chi viaggiava su questa rotta. 

La bicicletta Impact è stata progettata ad hoc per questa impresa. Quali caratteristiche la rendono diversa da altre mountain bike?
Impact è una fatbike con pneumatici molto più larghi rispetto alle mountain bike, che permettono una facile guida fuoristrada, specie in terreno sconnessi, come può essere la neve o la sabbia. È stata studiata e progettata sulla base dei nostri bisogni da un collettivo di ingegneri e designer dei materiali con sede in Valtellina e in provincia di Milano. Per esempio dovendo caricare molta attrezzatura, Impact ha vani di carico interni al telaio che evitano di creare appendici per borse e borsoni. Il telaio è stampato in 3D ed è in plastica (policarbonato) riciclata; può essere sminuzzato e riciclato a sua volta fino a 5 volte, senza perdere le caratteristiche di resistenza, durabilità e resistenza alla torsione.

Alla fine di questo viaggio ne ricaveremo il materiale per produrre la slitta con cui viaggerò in Groenlandia e al Polo. Si tratta di una novità assoluta per le biciclette. In futuro i genitori che devono acquistare nuove bici via via che i bambini crescono potranno sminuzzare il telaio della vecchia bici e ristamparne uno nuovo, un po’ più grande, con l’aggiunta di poco materiale. 

Alex Bellini
© Giacomo Meneghello

Il prossimo anno sarà la volta della Groenlandia, che percorrerai per 2.600 km sugli sci, mentre nel 2026 raggiungerai il Polo Nord geografico, sempre sugli sci, partendo dal Canada. Quali sono gli obiettivi di queste future tappe?
L’obiettivo è lo stesso: usare la forza dell’esperienza dell’esplorazione per fare informazione e divulgazione. Io mi sento un esploratore nell’anima e l’esplorazione è la cosa migliore che riesco a fare per me e per le altre persone. In questo matrimonio fra divulgazione e avventura do un nuovo senso al mio mestiere, che è non più finalizzato solo a me stesso ma anche al pubblico che mi segue.
 
Questo ti rende diverso da altri esploratori, che sono magari più concentrati su di sé e sulla propria esperienza?
Credo che sia una questione di maturazione. Anche io sono stato molto concentrato su di me quando ho iniziato questa attività, a poco più di 20 anni. In questi 22 anni sono molto maturato e ho sciolto alcuni nodi personali. Questo mi ha permesso di alzare lo sguardo e scoprire che ci sono mille e più ragioni per esplorare e la conoscenza di sé non è l’unica.

Alex Bellini con Alessandro Plona, sportivo appassionato di mountain bike e di sci alpinismo, sulle Alpi durante la preparazione della loro spedizione.
© Giacomo Meneghello

In che cosa le avventure in Groenlandia e al Polo Nord saranno diverse da quella dell’Alaska?
C’è un primo aspetto di difficoltà tecnica. L’Alaska è più semplice e non ci sono rischi. La Groenlandia è già più complicata anche perché è molto lunga. La attraverserò da sud a nord con la slitta e gli sci e probabilmente con il un supporto di un kite per potermi muovere più velocemente. I crepacci rappresentano un rischio e poi c’è l’orso… Speriamo di essere fortunati…
Al Polo è ancora peggio. Sempre meno ghiaccio resiste negli anni e tutto quello che si forma è ghiaccio nuovo, non solido, non compatto e sottile.

Questo ha pregiudicato in passato altre spedizioni. Lo scorso anno sono state tutte cancellate perché i soccorritori non sarebbero riusciti ad atterrare in caso di emergenza. Di anno in anno possono esserci fluttuazioni, in meglio o in peggio. Spero in una buona stagione nel 2026. Per affrontare queste sfide progetteremo una slitta che possa essere usata anche come zattera e kayak, così da poter navigare attraverso i corridoi di acqua libera che si possono formare anche in pieno inverno.
 
In tante spedizioni negli anni hai documentato l’impatto delle attività umane sugli ambienti e gli ecosistemi. Quali aspetti ti hanno colpito maggiormente?
C’è purtroppo un generale disinteresse per il futuro del pianeta: le persone hanno attenzione e occhi rivolti al momento presente. E po c’è una credenza, trasversale alle diverse culture, classi sociali e fedi religiose, secondo cui il pianeta sa prendersi cura di sé o che qualcuno verrà a salvarci.  Dovremo invece essere noi salvarci e per farlo dobbiamo prenderci cura del pianeta e guardarlo come un sistema unico. Però fatichiamo a pensare che sia tutto interconnesso e ci illudiamo di essere in un mondo fatto di isole, in cui il benessere del pianeta è separato dal nostro. In realtà viviamo in una rete in cui tutto e interconnesso: tutto ciò che consumiamo è prodotto dalla natura, e tutto ciò che noi produciamo consuma la natura. La prima transizione ecologica, più che industriale ed economica, deve essere culturale. Dobbiamo introiettare questi concetti.
 
Alla fine del 2023 sei anche stato protagonista di un’impresa un po’ diversa dalle altre, che, in collaborazione con la Fondazione Avsi, ti ha portato in Mozambico, per documentare i flussi migratori che dal Sud raggiungono il Nord. Che cosa ti porti dietro da quel viaggio? 
Mi porto a casa uno scambio di battute con un uomo di Pemba, città a Nord del Mozambico, che ospitava una famiglia intera, fuggita da un villaggio attaccato da guerriglieri. Considerando la povertà della sua vita (viveva con la famiglia in una capanna di fango) gli ho chiesto che cosa lo avesse spinto a farlo, e lui ha detto soltanto che avevano bisogno di aiuto e loro glielo hanno dato. È un pensiero molto semplice che mi ha fatto però riflettere su un’altra separazione che riguarda noi occidentali.

La nostra idea di individuo viene prima di quella di comunità; abbiamo perso il senso di esistere come collettività. Ho la sensazione invece che in Mozambico, ma anche presso altre popolazioni povere che ho visitato, l’idea della collettività venga prima di quella di individuo.

Robotica collaborativa, perché è la chiave per l’industria 5.0

Tra le tecnologie abilitanti l’industria 5.0, un ruolo importante è rivestito dall’intelligenza artificiale e dalla robotica collaborativa, tecnologie in grado di ridisegnare i paradigmi di produzione in diversi settori e di modificare il rapporto tra macchina e uomo così come è stato inteso tradizionalmente.I cobot sono una leva per un’industria che si avvia verso la fase 5.0 della propria evoluzione, con notevoli cambiamenti sulla società e nuovi scenari di applicazione di tali innovazioni.Indice degli argomenti
Il ruolo della robotica nell’industriaFino ad ora i robot sono stati principalmente impiegati in ambito industriale per tutte quelle operazioni usuranti o negli ambienti ostili in cui potesse sostituire l’uomo, si pensi alle operazioni di saldatura, verniciatura, di manipolazione di carichi ripetitivi o usuranti.L’impiego principale è da sempre stato nei settori tradizionali industriali quali il settore automobilistico, elettronico, della manifattura e della lavorazione dei metalli, per compiti quali la manipolazione di oggetti, la saldatura e l’assemblaggio in primis (dati tratti da international Federation of Robotics (IFR 2020).Il 2006 è stato il primo anno in cui il maggior numero di robot è stato impiegato fuori dal ramo dell’industria automobilistica, andando oltre il driver iniziale delle 3D che avevano favorito lo sviluppo della robotica industriale, ovvero ridurre o eliminare i lavori “ripetitivi, pericolosi e sporchi”, dall’inglese “Dull, Dangerous and Dirty” (Østergaard 2018).Anche se non così ben noto ai più, l’Italia rimane uno dei paesi principali utilizzatori di robot. Si deve considerare che nella classifica mondiale dei paesi utilizzatori di robot guidata dalla Cina con poco più di 140,000 unità per anno, l’Italia è posizionata in sesta posizione con 11,000 unità per anno, dietro Giappone, Stati Uniti, Corea e Germania confermando la sua vocazione industriale di paese manifatturiero, oltre che leader nel settore della robotica ed automazione industriale. Questo dato economico indiretto di per sé è infatti un indicatore positivo della dimensione economica industriale del nostro paese Italia.Che cos’è la robotica collaborativaCon robotica collaborativa ci si riferisce a quei sistemi robotici di nuova generazione che sono in grado di interagire fisicamente in sicurezza con l’uomo e di condividerne lo spazio, non rimanendo pertanto più confinati in una “gabbia” che separa lo spazio dell’uomo da quello del robot. Un vero e proprio cambiamento che apre la strada ad una modalità diversa di impiego della robotica in ambito industriale e non solo.Nell’interazione fisica uomo-robot PhHRI ovvero Physical Human-Robot Interaction gli aspetti della percezione dell’ambiente e la previsione dell’intenzione umana rappresentano un requisito fondamentale che deve possedere il robot collaborativo per poter coesistere e collaborare in sicurezza con l’uomo.In questo modo si viene a costituire un binomio uomo-robot che operando insieme beneficiano mutuamente dell’azione coordinata di entrambi. Il robot è in grado di sollevare l’uomo dalle operazioni gravose con un rischio biomeccanico elevato, quali ad esempio il trasferimento e la manipolazione di carichi elevati, l’esecuzione di mansioni ripetitive ed usuranti, e d’altro canto il robot può beneficiare delle abilità individuali dell’uomo, in grado di prevedere e risolvere situazioni imprecise, adattarsi alla flessibilità e alla variabilità dei compiti (Pieskä and Kaarela 2018).Le applicazioni dei cobotUn’applicazione rilevante del robot 4.0 è la possibilità di movimentare carichi da un punto all’altro in ambienti arbitrari, manipolando oggetti di diverso tipo, in un ambiente comunemente condiviso con gli esseri umani, anche in un layout di impianto altamente flessibile e non strutturato, come tipicamente accade nella piccola media impresa, dove è richiesta una maggiore flessibilità di linea e di prodotto.A tal fine, possiamo identificare un requisito importante che i robot devono soddisfare, ovvero la capacità del robot mobile di implementare la navigazione naturale in ambienti non strutturati, con la capacità di eseguire anche l’ottimizzazione del percorso, basata su sensori di visione artificiale LIDAR multipli e SLAM ottimizzati.Le previsioni per i cobot: una tecnologia in crescitaQuesto rivoluziona da un lato l’utilizzo dei robot nei settori tradizionali, quali quello dell’automazione, ad esempio nel settore automobilistico e della manifattura, dall’altro apre dei nuovi settori importanti industriali, in quello che viene definito il mercato della robotica di servizio.La robotica di servizio trae infatti nuova linfa attraverso applicazioni nel settore industriale ed anche civile, sia domestico sia professionale. E l’innovazione in questo ambito viene fatto per la gran parte da aziende start-up innovative che sono in grado di generare nuove idee di robotica, portando sul mercato soluzioni innovative e paradigmi originali di interazione con l’uomo e di produzione.Dai dati estratti dall’ultimo report IFR 2020 della International Federation of Robotics sulle prospettive di crescita della robotica di servizio, si vede come il settore indubbiamente in crescita maggiore in termini di migliaia di unità impiegate sia quello della robotica per la logistica .Figura 1 – Rappresentazione grafica delle unità di robot vendute nei diversi settori , elaborazione grafica sulla base dei dati di IFR 2020, con una proiezione dei dati fino al 2023.Casi aziendali, dove trovano impiego i cobotUn grosso impulso in questa direzione è stato dato anche da aziende come Amazon, che ha investito notevolmente nell’automazione dei propri magazzini.È il 2003 quando viene fondata a Boston Kiva Systems, definita “Kiva the Disrupter” dalla Harvard Business Reviews (Mountz 2012) , riconosciuta oggi come una delle aziende che ha rivoluzionato il mercato della robotica per la logistica, i cui fondatori sono annoverati nella “National Inventors Hall of Fame” (NIHF). americana, con l’obiettivo di introdurre un nuovo concetto di piattaforme robotiche in grado di cambiare la logistica tradizionale. E’ storia nota che Amazon poi nel Marzo 2012 acquisì Kiva Systems per 775 milioni di dollari.Tra le storie di successo made in Europe, Swisslog nel 2014 viene invece acquisita da Kuka, e diventa uno degli attori protagonisti della logistica 4.0, realizzando soluzioni di automazione all’avanguardia per centri di stoccaggio e distribuzione orientati al futuro, registrando nel solo comparto della logistica nel 2019 ordini per 750,2 milioni, segnando un +24,8 % rispetto all’esercizio del 2018. E sono tante le altre storie di successo che si potrebbero raccontare simili a queste, che delineano un chiaro modello di “open innovation” nella robotica. Come evidenziato dalla grafica sopra riportata, un altro settore in forte espansione è rappresentata dalla robotica per pulizia.La Gaussian Robotics, fondata a Shanghai nel 2013, è un’azienda di Shanghai che sta rivoluzionando il mercato della pulizia robotica, la quale ha chiuso a Settembre 2020 un round da 22 milioni di dollari. E’ interessante notare che il fondatore e CEO di Gaussian Robot Cheng Haotian si è laureato presso l’Università di Cambridge in Ingegneria Elettronica, per tornare quindi poi in Cina e portare una innovazione dirompente in questo settore.La robotica collaborativa nella pandemia da coronavirusIn questo periodo di pandemia anche la robotica per disinfezione ha dimostrato di poter dare un contributo fondamentale per la sanificazione degli ambienti attraverso irradiazione UV-C o il rilascio controllato di vapori freddi, tutelando quindi la sicurezza dell’uomo (Tiseni et al. 2021),Figura 2 – Esempio di robot di disinfezione mediante radiazione UV-C sviluppati presso la Scuola Sant’Anna.La manutenzione predittivaNon da ultimo, e non meno trascurabile, è la categoria dei robot per ispezione e per la manutenzione, che grazie alle tecnologie di visione artificiale potenziate dall’Intelligenza Artificiale sono in grado di potenziare il paradigma della manutenzione predittiva, ovvero un tipo di manutenzione che prevede ed anticipa il guasto, attraverso la misura con sistemi di sensori di parametri fisici di sistema e di modelli matematici che consentono di identificare il tempo residuo prima del guasto.Verso Industria 5.0Ma anche nell’ambito industriale tradizionale la robotica collaborativa introduce un importante cambio di paradigmi, pienamente in linea e sintonia con il concetto di Industria 5.0, un paradigma di produzione per un’industria più sostenibile, resiliente e incentrata sull’uomo, in accordo alla doppia transizione verde e digitale (EU Directorate 2021). Industria 5.0 nasce anche dal desiderio di restituire l’uomo al centro del processo di manifattura e produzione, e di poter quindi usare la tecnologia per ritornare a dare valore all’uomo nel processo di manifattura, con la possibilità della personalizzazione anche nella produzione di massa. I prodotti dell’industria 5.0 sono prodotti che richiedono il coinvolgimento dell’uomo e del “tocco umano” nella loro realizzazione, con un unico imprinting dell’artigiano e del designer umano (Østergaard 2018).Il concetto di micro-fabbrica proposto da Arrival, all’opposto delle giga-fabbrica, dove rispetto alla fabbrica seriale in cui i processi di manifattura sono condotti in serie, secondo il principio del nastro trasportatore, si rende tutto più flessibile con l’introduzione della robotica mobile.Robotica collaborativa e occupazioneLa robotica collaborativa consente inoltre di ridurre la soglia di accesso per la gestione e la programmazione di queste macchine. La collaborazione uomo-robot nello spazio condiviso è infatti un potente abilitatore per il trasferimento di capacità tra esseri umani e robot, dal momento che diventa possibile la programmazione del robot attraverso la dimostrazione guidata del compito da eseguire e la manipolazione fisica del robot. Lavori recenti hanno mostrato i progressi e le prospettive di presentare le istruzioni per mezzo di robot fisicamente collaborativi utilizzando approcci di insegnamento enattivo, più simili a quello umano (Ajoudani et al. 2018).Si prevede che la prossima generazione di robot autonomi funzionerà con maggiori capacità senza o con limitata supervisione, così come la prossima generazione di robot interattivi, con capacità cognitive, sociali e fisiche intuitive, sicure ed efficienti notevolmente migliorate, per assistere ed interagire con gli esseri umani.Questo è in linea con la visione della International Federation of Robotics (IFR) che nel suo position paper su “L’impatto della robotica sull’occupazione” riconosce le crescenti esigenze di flessibilità e resilienza della produzione e come una maggiore adozione di robot offra grandi vantaggi anche per i lavoratori della produzione , creando ruoli nuovi e interessanti con nuovi profili di competenze. In Italia diversi enti si occupano della promozione della Robotica collaborativa, recentemente il Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) ha favorito la creazione di Artes 4.0 centro nazionale di competenza incentrato proprio sulla Robotica Collaborativa e le tecnologie e sistemi digitali 4.0 abilitanti.È ampiamente dimostrato che l’automazione non porta alla sostituzione del lavoro, ma piuttosto a una riallocazione sia dei lavori che delle attività in cui i robot completano e aumentano il lavoro umano eseguendo attività di routine o pericolose. Per fare in modo che i robot si integrino e aumentino il lavoro, il futuro prevederà che robot e umani lavorino insieme, in modo che i robot sostituiranno le attività lavorative, ma non sostituiranno i posti di lavoro._NoteSLAM acronimo inglese per Localizzazione Simultanea e Ricostruzione dell’ambiente ↑BibliografiaAjoudani, Arash, Andrea Maria Zanchettin, Serena Ivaldi, Alin Albu-Schäffer, Kazuhiro Kosuge, and Oussama %J Autonomous Robots Khatib. 2018. ‘Progress and prospects of the human–robot collaboration’, 42: 957-75.EU Directorate, Reseach and Innovation. 2021. “Industry 5.0 Towards asustainable, human-centric and resilient European industry.” In, edited by European Commission.Mountz, Mick. 2012. “Kiva the Disrupter.” In Harvard Business Review.Østergaard, Esben H %J Retrieved on February. 2018. ‘Welcome to industry 5.0’, 5: 2020.Tiseni, Luca, Domenico Chiaradia, Massimiliano Gabardi, Massimiliano Solazzi, Daniele Leonardis, Antonio %J IEEE Robotics Frisoli, and Automation Magazine. 2021. ‘UV-C Mobile Robots with Optimized Path Planning: Algorithm Design and On-Field Measurements to Improve Surface Disinfection Against SARS-CoV-2’.

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