Come difendere l’io dall’AI

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Per comprendere fino in fondo “Umano, poco umano”, saggio filosofico di Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti, bisogna partire dal “senso di disagio” che li assale ogniqualvolta parlano a un assistente virtuale. È un disagio “umano”, costruttivo, figlio di una interazione uomo-macchina che nelle loro pagine diventa espediente speculativo per riflessioni, anzi, “esercizi spirituali” utili ad arginare l’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle nostre vite.
Il senso del libro, a conti fatti, è tutto qui.

“X Factor”

Perché il rischio che corre l’uomo – seguendo il loro ragionamento – è di perdere il proprio “X Factor”, generando il più tragico degli ossimori: smarrire la propria umanità. Diventare un “post uomo”, insomma, privo di quella “coscienza del sé” che per Socrate è ciò che connota gli umani.Si tratta di un timore fondato, perché l’irruzione dell’IA nelle nostre vite stravolgerà il paradigma antropocentrico che accompagna l’Occidente da secoli. Non solo.

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Il rischio accessorio è che gli uomini, per troppa fiducia nel progresso, subappaltino all’IA anche la propria “divinità”, quella capacità creatrice che deriva loro dall’essere stati generati “a immagine e somiglianza di Dio”.

Il precipitato – le pagine sono dense di indizi in tal senso – è che l’AI dia vita ad un neo-medioevo in cui il teocentrismo di un tempo assuma le sembianze del “sovranismo mentale”. Ecco perché in questo “manuale di sopravvivenza”, Crippa e Girgenti propongono una “resistenza spirituale” che attraverso dieci esercizi mutuati da Pierre Hadot e Martin Heiddeger e traendo la propria linfa dalla lezione dei primi maestri – Aristotele, Socrate, Platone, Eraclito, ma anche Ignazio di Loyola – trovi una cura. A quale malattia? A che l’uomo non commetta il più grossolano degli autogol: trasformare la propria vita in un dramma pirandelliano nel quale si disperde ogni orizzonte di senso. Gli esercizi – che danno il nome ai capitoli attingendo al pantheon filosofico del mondo classico – sono i pilastri su cui poggia la modernità (intesa come cultura occidentale e democrazia) e anche la barriera per difendersi dalla rivoluzione che non risparmierà nessun ambito: sfera sessuale inclusa.

L’interazione fisica

L’assunto è che l’interazione fisica – come l’empatia, nella doppia veste di “riconoscere sé stesso negli altri” e di “trovare sé stesso guardandosi dentro” – sia l’arma più potente per difendere l’io dall’IA. Il discorso vale in primis per i rapporti interpersonali che nel contatto trovano la loro piena espressione. Uno dei meriti di questo saggio – pochi libri sono stati così necessari – è quello di saper coniugare l’inquietudine dell’uomo (vale richiamare ancora Agostino) con la problematicità della nostra era; la ricerca di Dio (del sé) con gli aspetti pratici del vivere (privacy e sicurezza). Qual è, allora, la lezione che possiamo trarne? Che l’IA non è l’IO, “non ha madre e padre”, non è una persona, non è stata allattata né amata. Ecco allora che, se da un lato l’IA può aiutare l’uomo a superare le insicurezze legate all’escatologia, dall’altro rischia di ridurlo a un “nessuno digitale”. Questo è il fine ultimo del marketing, che nella standardizzazione trova un mare dove navigare (e pescare clienti a piacimento). Alla fine, unendo i puntini e passando dal piano delle idee – in senso platonico – a quello fenomenologico – in senso heideggeriano –, si impara che leggere e scrivere (a mano) diventano l’esercizio spirituale più importante per recuperare il valore dell’essere. E poi che guardare al passato non è una forma di luddismo o di scappatoia metodologica, ma una battaglia di avanguardia che Crippa (manager Mediaset) e Girgenti (docente di filosofia) portano avanti.

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